domenica 10 febbraio 2019

Il fidanzato di mia sorella (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/10/2016 Qui - Niente di eccezionale ma piacevole da vedere questo film con Pierce Brosnan. Diretto da Tom Vaughan regista televisivo inglese, con pochi film all'attivo per il grande schermo a partire dal 2012, e scritto da Matthew Newman, alla sua prima sceneggiatura, Il fidanzato di mia sorella (titolo non peggiore dell'originale How to Make Love Like an Englishman) 2014, è una commedia romantica che apre molte problematiche sulla vita di un maturo professore universitario di letteratura inglese, dedito alla conquista delle sue studentesse, superficiale, irresponsabile, non cresciuto, sulla scia del padre Gordon, anch'egli professore, che si è curato poco di lui, rappresentando semmai uno sciagurato modello di vita. Richard Haig, l'ormai ultracinquatenne professore ha il fascino, l'elegante ironia e la duratura avvenenza di Pierce Brosnan (decisamente più a suo agio in questi film come in Non buttiamoci giù che in film d'azione brutti come The November Man e Survivor), che fa perdonare molte lacune della storia e della definizione dei personaggi, lui compreso, spesso spaesato e sballottato dagli eventi. Così la sera in cui Kate, la sua ultima  conquista (Jessica Alba) dovrebbe presentargli il padre, tanto ricco quanto fantasma, conosce poco prima la sorellastra della giovane studentessa, Olivia (una altrettanto bella Salma Hayek che compete in ironia con Brosnan) nota editor di scrittori di romanzi, legata infelicemente ad uno di essi, e capace di tenere testa al professore, etichettandolo come dongiovanni, narcisista e privo di autocritica, e sprofondando in una sincera preoccupazione per la sorellina, che al suo arrivo annuncia di essere incinta. Incurante della sua carriera Richard si farà trasportare in California, a Malibu, in una dimora spettacolare, dono dell'invisibile suocero. Trova un posto in un'Università minore e, con la paternità, comincia ad avvertire il primo vero sentimento profondo d'amore per il suo bambino e quindi i primi sensi di responsabilità. Tutto si complica quando Kate, divenuta gelida donna d'affari, si innamora di un giovane collega (Ben McKenzie) e vuole divorziare, mentre il nostro professore non può nemmeno concepire di allontanarsi dal figlioletto. Da qui si assiste a spesso improbabili snodi narrativi, problemi per l'immigrazione, in caso di divorzio, trattati con leggerezza a favore di un intreccio dove la comparsa di Olivia e di Gordon (il padre di Richard, uno straripante Malcom McDowell) avranno decisa influenza.
Il fidanzato di mia sorella parte con toni da commedia leggera alquanto modesta oltreché derivativa e infarcita di motti (Carpe diem) e cliché per poi inoltrarsi, in maniera goffa, risibile, in territori più impegnati palesando ambizioni del tutto ingiustificate. Un minestrone allungato (giacché dopo una ventina di minuti lo spunto si esaurisce e affiorano il nulla e la noia) nel quale trovano spazio temi impegnati(vi) e seri, sempre trattati con l'approssimazione dello studentello svagato e la spocchia di chi pensa che citando continuamente grandi nomi si possa giustificare il proprio bassissimo livello. Un dilettantismo che, finché rimane nello spensierato tra personaggi-macchietta, contrapposizioni elementari e gag da sagra dello stravisto, perlomeno non disturba, ma che, una volta messi in campo conflitti paterni mai risolti, problematiche (tragiche) legate all'immigrazione, scontri generazionali (l'insegnante che non sa comunicare con gli studenti) e conseguenze dell'alcolismo, sbaglia malamente modi, tempi, taglio, battute, sbrodolando nell'irritante. Con i soliti equivoci da pessimo tempismo, fotografia patinata di paesaggi californiani, beghe d'immigrazione ridotte a espediente comico, immancabili gag a base di marijuana e ubriachezza molesta. Una trama banale e scontata, sebbene piacevole, ma che non porta nulla di nuovo sotto il cielo della commedia rosa all'americana, equivoco, redenzione e buonismo di personaggi stereotipati in una storia a tratti fin troppo surreale sono gli ingredienti principali di questo lungometraggio. Dove, in un calderone di stereotipi, troviamo la bella Jessica Alba (decisamente meno sexy che in Sin City: Una donna per cui uccidere) relegata in un ruolo fastidiosamente isterico tanto da non riuscire a costruire alcun tipo di empatia con la sua dolce metà ma la "la strana coppia" Brosnan/Hayek regala una ventata di aria (nuova) e fresca a più momenti del film. L'ossimoro che si crea infatti nelle scene in cui lo humor inglese del Don Giovanni brizzolato Brosnan si incontra/scontra con quello latino della caliente Hayek (che negli anni non è mai cambiata, da The Faculty per esempio) da vita a esilaranti siparietti. Siparietti che, purtroppo, non riescono da soli a salvare l'andamento di una pellicola destinata a schiantarsi contro il muro della mediocrità. Con un un finale, dove e come non si sa, e poco importa, in realtà, il figlioletto è riabbracciato, il nuovo amore (la Hayek) pure, mentre i titoli di coda congelano una visione dimenticabilissima. Infine tra gli attori sprecati per un film la cui banalità è veramente imbarazzante, merita un menzione, non fosse perché felicemente e costantemente sopra le righe, il buon Malcolm McDowell. Comunque il buon Pierce, si spupazza, nell'ordine, Jessica Alba, una biondina sexy e la di lei "sorella(stra)" Salma Hayek (protagonista di una scena piccante ridicola), ovvero, data l'indubbia avvenenza delle due (peraltro in formissima), l'unica nota positiva di questa ennesima commedia trascurabile, anche se non è mi piace tanto vedere uno di 60 con una di 20. Insomma, una pellicola leggera, adatta soprattutto come puro e semplice divertissement, ma davvero mediocre e abbastanza scontata. Voto: 5,5