sabato 5 gennaio 2019

Carl Morck: 87 minuti per non morire (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/06/2016 Qui - Carl Morck: 87 minuti per non morire è un sorprendente, avvincente e incalzante thriller scandinavo del 2013. La pellicola, dal nome originale 'Kvinden i buret' (The Keeper of Lost Causes) si basa sul romanzo giallo di Jussi Adler-Olsen, "La donna in gabbia". Alla regia di questo primo film tratto appunto da un romanzo di Adler-Olsen c'è Mikkel Norgaard, che ha diretto anche il secondo della saga: "The Absent One", che probabilmente e prossimamente manderanno in onda, almeno spero, perché questo intrigante film danese girato nella fredda e ambigua Scandinavia mi è piaciuto così tanto che aspetto con impazienza il secondo. Comunque la pellicola racconta di un burbero detective, Carl Morck, che dopo parecchie vicissitudini (e dopo essere stato 'degradato' perché ferito in servizio), viene affiancato nel nuovo dipartimento Q, un reparto che si occupa di casi ormai prossimi all'archiviazione, da un nuovo assistente, il siriano Assad. I due però, dopo accurate indagini (e stanchi di non fare niente), riaprono il caso di Merete Lingaard, archiviato come suicidio cinque anni prima. Secondo la versione ufficiale infatti, la donna si è gettata da un traghetto nel Mar Baltico. Contattando il fratello della vittima, però, Carl e Assad portano a galla una cruda verità difficile da immaginare. Una verità che sarà però ancora peggiore di quella che immaginavano, e che scoprirà senza autorizzazione, affrontando ostacoli e pericoli di ogni genere. In questo dramma umano, perché di questo si tratta, l'eroe è lui (Carl), anche se la vera, disumana sofferenza, appartiene a lei (Merete), la prigioniera che vive in uno spazio angusto, nella più totale solitudine, respirando aria compressa, e senza mai vedere la luce del sole. Tuttavia, le due angosce palpitano all'unisono. Lui ignora cosa stia succedendo alla donna, ma in fondo è come se sapesse. Non può fare a meno di cercare in ogni modo di venire in suo soccorso, facendosi largo tra i  tanti dubbi e i mille punti oscuri, per raggiungere la certezza da dimostrare e la vittima da salvare.
Se questo film non fosse così insistentemente lambito dalla tentazione dei cliché ad effetto dell'action movie commerciale, sarebbe una finissima poesia di tensione condivisa a distanza, di ansia che brancola nel buio ma non smette mai di lottare, pur nell'apparente assenza di speranza. Il ritmo è scandito dal battito dell'ostinazione, che ha la forza di passare attraverso l'assurdo e il silenzio, in mezzo ad un mistero fitto ed impenetrabile come il mutismo indifferente di Uffe, il fratello cerebroleso di Merete, unico testimone dei fatti che Carl sta tentando di ricostruire. La chiave del giallo è sepolta al di sotto del livello della coscienza, appesa ad un filo di irrazionale consonanza tra anime. Le storie di Carl e Merete occupano due pagine vicine, che però, fino all'ultimo, si voltano fatalmente le spalle. Per come la vedo, la vittima non è solo Merete, ma anche il suo carnefice (il motivo lo si capisce durante la visione). Certo, ciò non lo giustifica. Morck, è vittima di se stesso, invece, anche se alla fine si riscatterà. Ciò che succede a Merete è orribile, ma quel che fa il capo di Morck (insieme a colui che aveva seguito le indagini), lo trovo angosciante. Purtroppo, posso dare al film, solo un misero 6, per la troppa lentezza, ma il film è veramente interessante e sconvolgente, che consiglio di non perdere. Voto: 6+

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