sabato 26 gennaio 2019

La famiglia Bélier (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 01/06/2016 Qui - La famiglia Bélier è una delicata ed emozionante commedia francese del 2014 che affronta con la giusta ironia tematiche quali il sordomutismo e la musica. Detto così verrebbe da chiedersi come possono coesistere insieme questi due argomenti e lungi dal voler fare dello "spoiler" posso dire che la pellicola parla anche e soprattutto di adolescenza, della vita in provincia, di responsabilità, di musica e amore per la famiglia e lo fa in maniera frizzante, lasciandomi a fine visione piacevolmente sorpreso, divertito ed entusiasta da questa bella commedia francese dove emerge soprattutto la voglia di vivere di affrontare il mondo attraverso i gesti gli sguardi i comportamenti e il pensiero e i sogni di un adolescente nel periodo più importante della sua vita, il passaggio alla maturità come concetto di donna. Certo però che la famiglia Bélier è proprio strana, alquanto particolare. Tutti sordomuti, tranne Paula, la maggiore di due figli. Quella dei Bélier è comunque una famiglia che appare tutt'altro che disagiata, lavora, si mantiene dignitosamente, cresce i figli al meglio, legge, si informa e si esprime in maniera moderna. Gestiscono una fattoria in un villaggio francese e producono formaggio. Paula dà anima e corpo per agevolare l'attività di famiglia, si occupa del bestiame, parla con i fornitori, accompagna i genitori dal medico, studia con ottimi risultati. Fin quando un giorno, mossa da una cotta, scoprirà un talento che ignorava di avere, beffa del destino, una meravigliosa voce, e decide di fare le selezioni per una nota scuola di canto parigina. Paula però è un'interprete indispensabile (il punto di riferimento) per i suoi genitori e il fratello minore, preziosa e fondamentale per il funzionamento della loro fattoria, ed è quindi indecisa sul da farsi, restare con la sua famiglia o seguire la sua vocazione? Non sarà una scelta facile per lei perché sa che la strada che la spinge verso Parigi avrà grandi ripercussioni sulla sua famiglia, deve perciò fare una scelta di vita. Una scelta di vita che significherebbe la distanza dalla sua famiglia e un passaggio inevitabile all'età adulta. Paula cercherà in segreto un compromesso impossibile, ma con un talento esagerato e una famiglia (ir)ragionevole niente è davvero perduto.
La famiglia Bélier è un film che parla della diversità, e lo fa con uno spiccato senso dell'umorismo e con un tono semiserio che, nel suo insieme, risulta assai piacevole. Ma, nella fattoria felice dei Bèlier, c'è anche altro, ovvero il voler raccontare uno spaccato diretto e sincero dei piccoli drammi adolescenziali che hanno il compito non facile di traghettarci verso una dimensione più adulta. I presupposti della commedia impegnata ci sono tutti, temi forti, società, politica. E nella sua idea centrale, quella cioè che tocca l'umanità di chi vive un handicap, lo subisce e prova a crescere, tutto l'impianto funziona. Infatti c'è una certa grazia stilistica nel conferire ai Bèlier un'aura di perfetta sintonia tra se stessi e il mondo, il quale gli ricorda ogni giorno la loro condizione, ma, quantomeno, non sembra indifferente o, in un certo senso, infierire più di tanto ostentando menefreghismo, e i pregiudizi, dove appaiono, sembrano essere piuttosto velati. Un aspetto originale quindi, che punta più all'ilarità e alla sdrammatizzazione che alla denuncia concreta. Di una certa sensibilità risultano anche i momenti legati a Paula, ai suoi primi fermenti amorosi (la sua vita infatti non è facile, esattamente come quella di tanti altri adolescenti che si trovano a dover gestire il corpo che cresce, il primo innamoramento, il bisogno di arginare l'invadenza dei familiari, le decisioni sul proprio futuro) e al fratello Gabriel (unico protagonista realmente sordomuto del film), tipici di un'età di transizione, ma non completamente in balia dei cliché del genere, meravigliosa la scena in cui Gabriel seduce a dovere l'amica di Paula e scopre, proprio quando arriva il bello, di essere allergico al lattice. Ma sotto la corteccia di questo film che sembra intenzionato a mostrare il lato più profondo di un racconto atipico, si nasconde un qualcosa che sfuma e inibisce le virtuose premesse di base. I lati meno narrativi, quelli che in certo senso hanno il compito di definire e arricchire tutto il progetto filmico, lasciano, in più di un'occasione, una percezione di leggerezza fin troppo evidente. Perché spingere l'acceleratore dei sentimenti, innalzare il lato emotivo parlando dei classici affetti familiari (una madre che, piangendo, fa un'isterica autocritica e si chiede dove ha sbagliato con la figlia, risulta un passaggio assolutamente evitabile), di abbracci, di piccoli litigi e l'immagine di una campagna limitante rispetto alla città vista ancora come simbolo eterno di distanza e grandi opportunità, sono di certo piccoli escamotage mirati e, forse, meno riusciti. Come meno riuscita è la parentesi politica, in cui Rodolphe Bélier tenta di candidarsi per sconfiggere alle elezioni il sindaco affarista che vuole sottrarre terreni a favore di grandi strutture. Sequenze minori, che danno tutta l'aria di essere un riempitivo contestualmente forzato, sviluppato in maniera frettolosa e scontata, atto a racimolare facili consensi e a lisciare il pelo al pensiero buonista del politicamente corretto, dilatando in maniera impropria il tema della diversità e aggiungendo dosi d'inverosimile e velleitario senso comune.
La cosa strana poi, è che praticamente non conoscevo (prima almeno) nessuno dei cantanti francesi e delle loro canzoni della pellicola, difatti da quelle parti non sono proprio dei geni in ambito musicale, ma nonostante questo sono tutte belle, e tra le pause appunto di questa (tanta) musica comunque melodica e spiccatamente poetica, che fa da colonna sonora, da richiamo d'amore e da esercizio di bel canto, stona non poco perfino l'interpretazione dei coniugi Bélier (Karin Viard e François Damiens), nei panni dei due genitori bizzarri ma di cuore, due attori piuttosto noti del cinema francese con una grande carica comica e drammatica, caratteristiche queste, piuttosto antitetiche, che entrambi riescono a dosare con straordinaria disinvoltura e naturalezza, anche se un po troppo sopra le righe nel mostrare il loro linguaggio dei segni, tanto da spingerli spesso sotto la soglia di credibilità interpretativa. Bene invece Louane Emera che, scovata dal regista tra i finalisti del talent The Voice, assolve dignitosamente il compito di trasmettere i disagi, i dubbi e le paure tipiche della sua età. Per la sua interpretazione infatti ha vinto un César come miglior promessa femminile. Tutti i personaggi recitano comunque perfettamente dove ognuno occupa uno spazio ben preciso merito di una sceneggiatura semplice ma curata nei minimi particolari, perfetta simbiosi tra comicità, sentimento e drammaticità di quello che la vita riserva ai splenditi genitori, ma senza mai cadere nel patetico. La famiglia è al centro della vicenda dove valori sempre più sconosciuti nel mondo di oggi riemergono in tutta la loro importanza un esempio che dovrebbe far riflettere. Film strutturato perfettamente cambi scena perfetti, dialoghi fatti anche con gli occhi, espressioni vere, la dolcezza dei gesti completa il quadro della vita. Ambientazione vera gioiosa campagnola in classico stile francese. Quindi, quella dei Bélier è una storia divertente che si spinge oltre il consueto e va alla ricerca di sentimenti positivi, oltre che puntare l 'attenzione alla valorizzazione del talento e alla consolidazione di certi valori universali legati alla famiglia. Il risultato, seppur altalenante, allieta e, comunque, non dispiace in toto. Certo che quando si parla di una commedia portatrice di straordinari effetti benefici, sorprendente, quando si evoca la virtù di un film evento destinato a lasciare il segno, di un autentico caso cinematografico si fa evidentemente riferimento più alla premesse che al risultato finale (successo al botteghino a parte). Il paragone con Quasi amici, per esempio, non sembra neanche proponibile. Perché il ripetersi in maniera quasi ossessiva di motivi soavi, qualche buona trovata umanamente toccante e coinvolgente (il papà che appoggia la mano sulla gola della figlia per percepire le vibrazioni del canto, ad esempio) e un'ironia positiva dispensata per l'intera pellicola non riescono a celare fino in fondo un cuore leggero e convenzionale che caratterizza assai troppo le trame di questa moderna commedia francese. Una commedia, un film acchiappa pubblico, dove si ride, si piange, si partecipa ad un dramma che si stempera nella semplicità e sconsideratezza di complici atteggiamenti di cameratismo e amori giovanili che sbocciano con irruenza. E come non emozionarsi di fronte alla bella voce della nostra bionda protagonista che intona un addio, o quantomeno un arrivederci, ai propri genitori semplici, amorosi pur se resi goffi e buffi da un problema che per loro è più una caratteristica che un handicap. Una commedia per gli amanti della musica, del canto corale, delle politiche sociali e di quelle giovanili. Il regista, Eric Lartigau forse al suo primo vero successo avendo come regista pochissimi lavori, spero che sia un buon inizio. Da vedere e ri-vedere senza nessun dubbio. Perché come giustamente dice la locandina questo film vi farà bene, soprattutto al cuore. Voto: 7

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