mercoledì 30 settembre 2020

Paura e delirio a Las Vegas (1998)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Non il miglior film di Terry Gilliam, ma sicuramente uno dei suoi film più iconici. Ho conosciuto il regista proprio grazie a questo allucinato film che però ho rivalutato (in ribasso) riguardandolo nel corso degli anni, soprattutto guardando (in particolar modo nell'ultimo anno) il resto della filmografia del regista. D'accordo, è un film biografico, forse un campo meno fertile per il virtuosismo di Gilliam, ma praticamente si esaurisce dopo 45-50 minuti (per capirci dalla prima tentata fuga di Depp dalla città). Per il resto la seconda parte del film è la totale, stanca, ripetizione della prima e il finale è anche un po' insulso. Alla fine del film cosa ti resta dentro? Poco o niente, visto che la sceneggiatura del film va a farsi benedire ben presto in questo vortice di trovate sempre oltre il limite del paradosso, overdose di luci, colori, e droghe, quasi un ricettario di sostanze illegali dall'inizio alla fine del film. Tratto da un libro autobiografico del giornalista Hunter S. ThompsonPaura e delirio a Las Vegas non ha esattamente infatti il proprio proverbiale asso nella manica nella trama, che gira costantemente intorno a se stessa, confusionaria e superficiale. E poi, lungo quasi due ore, rischia di stancare a causa di ciò, ma si salva principalmente grazie alla regia illuminata di Gilliam e alle interpretazioni tanto stralunate quanto rigorose nella (ri)costruzione dei personaggi di Johnny Depp e Benicio Del Toro, davvero convincenti nelle scene in cui i due perdono il lume della ragione a causa del pesante abuso di droghe, scene che costituiscono il vero piatto forte del film: raptus di violenza, tic, allucinazioni, dialoghi nonsense, luci psichedeliche, vomito. Il resto, come detto, è poca roba, nonostante un sacco di camei di buoni attori (su tutti Harry Dean Stanton e Michael Jeter) e una girandola di facce notte (Christina RicciEllen BarkinCameron DiazTobey Maguire). L'impressione è così quella di un film probabilmente minore, però furibondo, repentino e irrisolto, ma curioso, che merita sempre e comunque una visione, per le buone interpretazioni del duo protagonista, per la buonissima OST anni '70 e qualche scena ancora oggi da ricordare. Voto: 6 [Qui Scheda]

Wajib - Invito al matrimonio (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - One day road movie in salsa palestinese (scritto e diretto da Annemarie Jacir), laddove tuttavia l'enfasi non sta sul dramma, quanto piuttosto sulla rappresentazione della normalità, ossia sul modo in cui il popolo vive, attraverso i quattro occhi del rapporto tra un padre legato alla sua terra (Bakri senior) e un figlio (Bakri junior) fuggito dalla tradizione ed emigrato in Italia. L'arte del compromesso contro la violenza e la volontà di cambiare contro la rassegnazione all'abitudine. Il problema di un affresco di questo genere sta nell'eccessivo minimalismo: succede poco, la fotografia è molto naturale e di bellezza su schermo ce n'è poca, la regia si limita a raccontare senza farsi notare in alcun modo. Insomma, viene un po' a noia. Meglio scritto che diretto, Wajib è un film che ci illustra un lato nascosto della "questione palestinese", meno drammatico, non per questo meno interessante e da sottacere, tuttavia senza riuscire a coinvolgere ed a far riflettere, molti altri son riusciti, questo (acclamato eccessivamente) no. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Hellboy (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Torna Hellboy, il demone cacciatore protagonista del fumetto di Mike Mignola, ma prende le distanza dai due (fantastici) capitoli firmati da Guillermo del Toro in un reboot che la butta sull'horror splatter caciarone, pieno di battute scorrette e volgari, mostri di ogni tipo e di ogni misura e riferimenti anche alla saga di re Artù, per via della strega Milla Jovovich, che intera, o fatta a pezzi in cinque parti, resta la cosa più sexy del film. Bravino il nuovo interprete di HellboyDavid Harbour, benché faccia rimpiangere non poco Ron Perlman (anche a causa di un make up che non è che faccia pensare al nuovo attore che lo interpreta), che deve persino combattere contro un uomo cinghiale, servo della strega Jovovich, che ricorda, non poco, quello delle Tartarughe NinjaIan McShane, rimpiazza John Hurt nel ruolo di "padre" di Hellboy, ma, ahimé non lo ricorda affatto, visto che pure lui ci da forte con le volgarità (almeno nell'edizione italiana). Non che siano non necessarie le volgarità, ma, lo sono davvero? Medio, perché anche se dicono che questo film s'avvicina allo stile del fumetto di Mignola, citandolo più volte, fa solo rimpiangere la gestione cinematografica passata, che aveva anche un lato romantico, che qui è completamente assente. Non è male come intrattenimento, ma, come tanti altri remake/reboot, il film non riesce a creare un'atmosfera valida, e dire che Neil Marshall alla regia auspicava delle buone aspettative, considerando che gli horror (The Descent) sa anche farli. Il contrasto fra l'umorismo non sempre funzionante e una violenza con elementi splatter spesso gratuiti (nonché ripugnanti) risulta stridente. In conclusione, pellicola fine a se stessa, da dimenticare. Voto: 5 [Qui Scheda]

On the Milky Road - Sulla Via Lattea (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Discontinuo è l'aggettivo che più si attaglia all'ultima fatica di Emir Kusturica (che torna alla regia dopo diverse esperienze come attore): alterna bei momenti e scene riuscite ad altri che lo sono molto meno, piccole cose raffinate, eleganti e molto belle ad altre che sfondano la porta del kitsch se non addirittura del trash (tanti i generi che si mischiano e non in modo sempre efficace, il regista sembra incontrare il cinema di Terry Gilliam ma fa un pastrocchio). In particolare risulta fastidiosissimo e pacchiano l'uso della computer grafica, nonché di qualche simbolismo troppo scoperto. I temi principali sono cari al regista: gli orrori della guerra e l'amore, ma in questa tipizzata favola a tema bellico rimangono in superficie. Buoni il ritmo e la colonna sonora, ma la storia è davvero poca cosa e la durata sfiancante. E il realismo magico (di cui sembra intrisa la pellicola) invece di far sognare ti addormenta. Meglio infine non parlare di Monica Bellucci, più convincente della sua media sì, ma sempre e spesso non all'altezza. Voto: 5 [Qui Scheda]

The Banana Splits Movie (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Il Banana Splits Show era un programma per bambini, anche di un certo successo, andato in onda tra gli anni '60 e '70 (mai vista una puntata), che viene riportato sullo schermo in chiave horror. Per quanto sulla carta poteva anche essere carina come idea, alla resa dei conti ci si trova davanti ad uno slasher mediocre (con qualche omicidio simpatico e piuttosto gore), piuttosto lento nel suo sviluppo (la svolta horror è random e poco sensata) e tutto sommato privo d'interesse (a non funzionare sono la suspense, inesistente, e un cast mediocre, quest'ultimo praticamente sconosciuto). Un minimo d'attenzione la meritano per lo meno gli effetti speciali splatter, per una volta artigianali e ben realizzati, ma nel complesso questo film (diretto da Danishka Esterhazy) lo si può definire come la classica commediola slasher, con robot killer su modello anni '80 (e tuttavia non bastano suoni meccanici per far sembrare attori in costume delle macchine omicide), a tratti divertente ma molto superficiale. Le premesse per un prodotto divertente e grottesco c'erano, dispiace ma in questo caso sono state completamente disattese (anche se non che mi aspettasi granché). Voto: 5 [Qui Scheda]

Wildlife (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Il tradimento, la perdita della figura Paterna, il proprio mondo che finisce sotto il fuoco divorante, tutto visto attraverso gli occhi di un adolescente che diventa adulto. Il fuoco fa terra bruciata intorno a lui e serve per ricostruire tutto. Un film, scritto e diretto dall'attore Paul Dano, al suo esordio alla regia, basato sul romanzo Incendi di Richard Ford, non certo perfetto, noioso e poco originale (il ritmo è un po' lento e il comportamento dei genitori particolare). Tutto affidato al buon cast che cerca di salvare il salvabile (tra gli interpreti principali della pellicola figurano Jake GyllenhaalCarey Mulligan e Ed Oxenbould), non certo il matrimonio però. E non possono o riescono, a parer mio, a salvare neanche tutto il resto, la pellicola nel suo complesso per esempio, una pellicola fredda e distaccata. Certo, alcuni potranno dire che lo scopo della pellicola (e probabilmente quello del romanzo omonimo) è proprio far vedere il distaccamento e la freddezza che si crea in una coppia, ma è così forte che valica lo schermo e intorpidisce lo spettatore. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Ricordi? (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Prendi e lascia, tocca e fuggi: quante storie d'amore (amore?) sono fatte in questo modo, vivendo di tormenti e passioni, di memorie felici e traumatiche, di eccezionali momenti di armonia e feroci incomprensioni. Ricordi? prova a raccontarne una, piuttosto generica, ma incisiva e realistica nei toni e negli argomenti, e lo fa in maniera indubbiamente riuscita, al di là di qualche difettuccio minimale, sul piano estetico. C'è qualche assonanza nella storia con quella di Dieci inverni, pellicola d'esordio del regista Valerio Mieli e unica opera da lui diretta fino a questo film, ma Ricordi? brilla di luce propria anche e soprattutto grazie alle atmosfere ovattate che egli sceglie e riesce a imprimere al suo lavoro, dalla sceneggiatura (di cui è unico autore) alla messa in scena. Luca Marinelli in scena prevale su Linda Caridi, volto meno noto e probabilmente anche a ragione, senza toglierle nulla, ma riconoscendo le buone doti dell'attore romano (nei ruoli circostanti i nomi più importanti sono quelli di Camilla DianaDavid Brandon e Giovanni Anzaldo). Contando che la storia non dice sostanzialmente niente di originale, il plusvalore finale del film deriva senz'altro dalle capacità del regista, che sceglie di raccontare per flashback soggettivi mantenendo però una patina soffocante di incomunicabilità, di inutilità sui personaggi e su tutta la storia. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Midway (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Premettendo che sono un grande estimatore del cinema di Roland Emmerich (StargateIndependence Day e The Day After Tomorrow i miei preferiti), in questo caso purtroppo devo dire di non aver troppo digerito questo film di guerra incentrato sulla battaglia delle Midway (all'indomani dell'attacco da parte dei giapponesi alla marina americana a Pearl Harbor), il film infatti delude abbastanza, molto più di quanto successe anni fa con Independence Day - Rigenerazione. I titoli all'inizio ci dicono che è basato, in maniera precisa, su fatti storici sia negli eventi che nei dettaglia tattici, più o meno è vero anche se i libri consultati sembrano quelli da terza media anni '80. I personaggi non aiutano, alcuni troppo pompati da risultare ridicoli (e pensare che a disposizione c'era un cast di attori di tutto rispetto), per non parlare della controparte giapponese: figurine attaccate tanto per far vedere che sono orientali (come si è ridotto Tadanobu Asano?!). Cosa dire invece dei dialoghi se non che sono pessimi. Alcuni hanno stroncato le battaglie e gli effetti speciali con computer grafica annessa, sono invece l'unica cosa a salvarsi ed il regista, almeno, qui, ci sa fare (nel campo è infatti maestro). Non il peggior film di guerra di sempre (è comunque migliore di Pearl Harbor anno 2001), ma di certo nel marasma di quelli finiti nel dimenticatoio. Voto: 5+ [Qui Scheda]

Hammamet (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Esprimere un giudizio su questo film di Gianni Amelio è difficile. Il regista non racconta la biografia di Bettino Craxi ma solo il suo ultimo scorcio di vita, cioè i suoi anni privati di "esilio" ad HammametPierfrancesco Favino è ancora una volta dopo Il traditore strepitoso in questa interpretazione, in cui la sua mimesi è totale. Ciò che invece lascia perplessi è la narrazione, non si approfondisce il discorso politico, ma ci si sofferma esclusivamente su quello umano. Il regista non prende posizione, non esprime giudizi e fa bene, tuttavia parlando di una delle personalità nodali della politica italiana del secolo scorso, che nel bene o nel male ha segnato un periodo storico, sarebbe stato opportuno sviluppare almeno alcuni spunti, mentre invece la sceneggiatura si mantiene troppo in superficie. Nel complesso il film non è quindi perfetto come la prova di Favino, ci sono infatti elementi noiosi che sfiorano argomenti politici non noti da tutti (in tal senso il film fa l'errore di dare tutto per scontato), e poi oltre a Favino il vuoto, personaggi di contorno stereotipati e poco incisivi, a volte perfino fastidiosi (quello inventato dal regista soprattutto). Ma nonostante queste perplessità è da apprezzare questo film, perché anche se comunque non lo reputo come film "necessario", alcune cose buone ci sono in questo prodotto, un prodotto solo sufficiente. Voto: 6 [Qui Scheda]

Sulle ali dell'avventura (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Dall'autore francese letterario e cinematografico, definito anche avventuriero, Nicolas Vanier, quello di Belle & Sebastien (altro caso di film & romanzo), ecco arrivare un'avventura per ragazzi, ma non solo. Dalla storia vera, alquanto incredibile, dell'ornitologo Christian Moullec, prende il via, anzi, prende il volo questa pellicola, una pellicola che racconta una storia in cui è protagonista la Natura in tutta la sua bellezza, la sua primitività e la sua forza. Una storia molto gradevole, che si differenzia dalla solita melensaggine ambientalista (insomma non è una storia alla Greta), ma insegna il rispetto per la natura e gli animali. L'ambientazione del film è splendida non solo per la bellezza naturale delle lagune della Camargue, ma anche per i laghi, le foreste e i fiordi del Nord con eccezionali riprese aeree. Molto bravi gli attori specie Jean Paul Rouve (in C'est la vie - Prendila come viene) e Mèlanie Doutey, ma anche bravo Louis Vazquez al suo esordio cinematografico (il buon cast infatti, che si porta in dote anche Dominique Pinon, l'attore feticcio del regista Jean-Pierre Jeunet, sa dare un volto e una voce non estremamente scontati in un contesto che poteva, e rischiava, di suggerirlo, solo grazie a loro, anche se il dramma latita un pochino, la pellicola porta a casa la sufficienza). La direzione registica infine appare sicura e non deraglia nel sentimentalismo, ma riesce a raccontare una storia avvincente. Certo, il finale a lieto fine, forse un po' ovvio, è quello che tutti si aspettano. Ma dopo qualche tempo finalmente una storia per la famiglia, un racconto morale, senza moralismi, che fa sorridere, diverte, anche se innestato in una struttura narrativa attesa e prevedibile. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Shaun, vita da pecora: Farmageddon - Il film (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Divertente sequel (di Shaun, vita da pecora - Il film) che vede di nuovo protagonista la pecora Shaun e i suoi amici della fattoria. Stavolta ci sarà addirittura un alieno a rendere più movimentata la vita tranquilla nella campagna inglese. Il tema di fondo è quello sempreverde dell'amicizia tra persone diverse, ma è declinato qui abbastanza spassosamente e senza melodrammoni fuori luogo. Trattandosi di fantascienza non mancano nemmeno svariati riferimenti a capisaldi del genere che rendono la visione gustosa anche per i più grandi (e non sono poche queste gustose citazioni). Il film infatti, seppur non esplosivo come il precedente film, offre ugualmente molti momenti di puro divertimento, dopotutto questo Farmageddon è una sorta di E.T. in salsa cartoonesca, e quindi l'intrattenimento come le risate non possono mancare. Certo, rispetto al primo film la comicità sembra più debole e il ritmo più blando, si tratta tuttavia di un'opera godibile, segnata da una tecnica eccellente. Ma dopotutto Shaun, vita da pecora: Farmageddon - Il film, film d'animazione in stop motion (tecnica sempre piacevole) diretto da Will Becher e Richard Phelan, al loro debutto alla regia di un lungometraggio, è prodotto dalla Aardman Animations, casa di produzione quasi sempre garanzia di qualità, perciò niente di cui sorprendersi. Sorprende invece che sia stato leggermente sottovalutato, per di più ingiustamente, genuino e ingegnoso, intuitivo, da vedere. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Favolacce (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Dopo il duro e disperato La terra dell'abbastanza, i fratelli D'Innocenzo ci riprovano, e fanno ancora centro, più e meglio di prima, presentandoci una pellicola forte, per niente compiaciuta e che non lascia mai spazio alla speranza, ambientata in una periferia logora, stanca e sempre arrabbiata, insomma una fotografia esemplare di tante realtà nostrane. Il film dei fratelli D'Innocenzo ben rappresenta infatti il disagio di un quartiere romano che potrebbe comunque essere la periferia di qualsiasi città italiana. Duro e sporco, come un film che affronta certe problematiche (in primis quella famigliare) deve essere. Il ritratto dipinto di un'Italia borgatara e incolta che pur ancestrale e remota sembra specchio del tempo in cui viviamo. In una sostanziale immobilità dell'esistere l'attenzione si sposta su personaggi che, pur essendo genitori, non hanno evidentemente i mezzi e le capacità per ricoprire questo delicato ruolo. La loro colpa principale è di non riuscire a fare da filtro tra la vita reale e il mondo dell'infanzia, dove i loro figli ancora vivono. Non riescono insomma ad educarli, ad avvicinarli in maniera graduale alla realtà della vita adulta, anzi, i loro figli diventano solo valvola di sfogo per le frustrazioni accumulate e i desideri repressi. Cosicché questi genitori non riesco più a raccontare delle favole ma solo delle "favolacce" di cui essi stessi sono indiscutibili protagonisti. I fratelli D'Innocenzo tessano le fila di un dramma nero, originale, ottimamente orchestrato, premiato al Festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, che colpisce, come un pugno nello stomaco. Ammirevole il coraggio della regia che affonda il coltello del dramma nel burroso sentimentalismo dello spettatore, senza remore, con i protagonisti impegnati in scene e dialoghi crudi, sconvolgenti nella loro sconsideratezza, spingendosi fino ad un ardito finale. E nello scorrere della trama si apprezzano le doti recitative del cast, ben diretto e perfetto per rappresentare quel sostrato di umana miseria della quale spesso si nega l'evidenza (tra gli interpreti coinvolti, efficacissimi e spesso inquietanti, riconosciamo, oltre ad Elio Germano, il piccolo efebico Justin Korovkin, visto, apprezzato e qui non meno problematico di come appare in The Nest). Solo la prosopopea della voce narrante può risultare inopportuna e la parte fonica non è all'altezza del compito (tra dialoghi sussurrati e per di più in accento romanesco ci sono dei frangenti in cui è davvero difficile seguire le conversazioni), ma nel complesso notevole. Voto: 7 [Qui Scheda]

mercoledì 16 settembre 2020

Profondo rosso (1975)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Un film pieno di idee buonissime, con alcune scene memorabili (il gioco di specchi in corridoio è una roba magistrale e terrificante), però non è il capolavoro di Dario Argento, che secondo me rimane Suspiria. Tuttavia Profondo Rosso, è insieme al quel grandissimo film il massimo dell'espressione artistica del regista, ed uno dei migliori film di genere horror italiani degli anni '70, di conseguenza di sempre. Il film infatti, seppur imperfetto (l'imperfezione è data da alcuni espedienti forzati, quest'ultimi poco credibili), è manifesto del cinema italiano, di quegli anni, del genere, di un regista. Grande padronanza nell'utilizzo e nel posizionamento della macchina da presa, notevole intelligenza nelle scelte luministiche e cromatiche, suspense genuina e scene di omicidi violenti che fanno paura, con la musica dei Goblin ritornello immortale. La trama "gialla" è sviluppata con (abbastanza) perizia (la sceneggiatura è perforabile) e lascia perfino spazio a un intreccio sentimentale fra i due protagonisti, che però non guasta. Buone le prove di David Hemmings, e della musa del regista Daria Nicolodi, mentre fra i caratteristi bene la grande Clara Calamai (questa fu la sua ultima interpretazione). Nonostante ciò, a mio modesto parere manca sempre qualcosa per farne un capolavoro, ed essere il suo migliore. Sarà la sceneggiatura o cosa ogniqualvolta non so, ma è così. Qualche effetto un po' troppo plateale chissà, in ogni caso gran film. Voto: 7,5 [Qui Scheda]

La Llorona - Le lacrime del male (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Spin-off abbastanza inutile del mondo The Conjuring (l'anno scorso quasi completamente da me sviscerato, qui). Lo si annovera tra i tanti prodotti del franchise di James Wan: film più o meno tutti uguali, realizzati tecnicamente sempre abbastanza bene, tecniche di spavento stra-collaudate riciclate ma sempre dignitose. E' un film (inutilmente cupo) che forse visto lontano dalle altre pellicole del franchise risulta anche dignitoso. La realtà però è che sembra di vedere più o meno sempre la stessa cosa. Qui il tutto sembra diventare troppo folkloristico, peccato perché si poteva entrare meglio nell'inquietudine delle tradizioni esoteriche sud americane, invece c'è quell'aria macchiettistica un po' su tutto il film, che lo rende scontato e stonato. Di conseguenza uno sviluppo narrativo prevedibile, malgrado una buona prestazione della Linda Cardellini. Un film fatto con il pilota automatico (fin troppo lineare, diretto con la diligenza del buon padre di famiglia, in questo caso da Michael Chaves) che purtroppo non regala sorprese. Qualche buona sequenza ma null'altro da segnalare. Comunque, valido per provare qualche brivido senza troppi pensieri. Voto: 5 [Qui Scheda]

Tolkien (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - La vita dello scrittore e filologo britannico J. R. R. Tolkien non mi è sembra (ora che la conosco) cosi tanto cinematografica, soprattutto se commetti l'errore più grande di tutti, non parlare de Il Signore degli anelli. Perché ovviamente chi si avvicina a questo genere di film si aspetta dei rimandi costanti al famoso libro, ma soprattutto ai film che ne sono venuti fuori. Niente di tutto ciò, un biobic tradizionale di una vita piuttosto noiosa, una vita del qui giovane scrittore, di fatto abbastanza convenzionalmente Dickensiana. E ne viene perciò fuori un film, seppur ben curato dal punto di vista tecnico-scenografico, incolore, senza anima ed inconcludente. Poco coinvolgente malgrado il piglio della buona interpretazione di Nicholas Hoult, e nonostante la presenza della bella Lily Collins. La narrazione si svela infatti in maniera talmente canonica e standardizzata da risultare anonima. Debole è il legame fra l'opera dello scrittore inglese e il suo percorso formativo, e questo francamente è un punto debole che non mi aspettavo. Poco caratterizzati i caratteri degli altri personaggi e per l'importanza data da Tolkien (che attenzione si legge Tolkin) al concetto di fratellanza è un'altra mancanza grave. Il film del regista Dome Karukoski, alla sua prima pellicola in lingua inglese, è insomma dimenticabile, indicato solo ai fan dello scrittore e non della sua scrittura. Voto: 5 [Qui Scheda]

The Lodge (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Per come si presentano le dinamiche in questo film, lo spettatore arriva facilmente a intuire la piega che prenderà la storia, soprattutto perché la sceneggiatura presenta qualche ingenuità evidente e nei dialoghi c'è più di qualche indizio che rendono l'epilogo prevedibile. Tra i pregi ci sono l'ambientazione (casetta sperduta in montagna, avvolta nella neve), qualche momento tensivo ben ricreato (dai registi Veronika Franz e Severin Fiala, quelli di Goodnight Mommy, che ancora mi manca) e la prova della protagonista (brava e duttile Riley Keough, sospesa tra buoni propositi e regressioni psicotiche). I difetti riscontrabili, oltre a quelli già evidenziati, sono da cercare nel ritmo piuttosto lento, nella dilatazione di alcune situazioni e nel fulcro della parte finale che rende il tutto abbastanza sterile e quasi ridicolo. Si nota l'influenza dell'horror sui generis perfettamente rappresentato da Ari Aster (di cui cita anche la casa in miniatura), ma il risultato finale è decisamente inferiore. The Lodge, il classico horror patinato e ben diretto, con una bella atmosfera cupa e glaciale e un'ambiguità di fondo che non ti fa capire chi prende in giro chi, che regge abbastanza bene fino a quando non svela tutte le sue carte, da lì in poi si impantana nelle sabbie mobili scivolando lentamente fino a un finale che più banale non si può. Mediocre, ma si fa vedere. Voto: 5+ [Qui Scheda]

Countdown (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - In un mondo oramai dominato dai social e dalla multimedialità con smartphone sempre più complessi dove puoi raccogliere foto, messaggi, mail, giochi, vari social e scaricare ed installare le applicazioni più disparate perché non crearne una che con un conto alla rovescia irreversibile ti indichi esattamente il giorno, l'ora, i minuti ed i secondi in cui morirai? Countdown, scritto e diretto da Justin Dec, trae spunto da questo, un film horror-thriller abbastanza lineare che fa riflettere a modo suo sul potere che il progresso multi-mediatico può esercitare sulla massa. Si tratta un tema di pura fantasia ovviamente, ma un messaggio di fondo viene comunque percepito (sotto un certo punto di vista inquietante). Resta in ogni caso un leggero teen horror soprannaturale in cui vengono sì inserite alcune forzature di sceneggiatura per rendere più appetitosa la trama (molestie sessuali sul lavoro, il prete esorcista moderno e l'hacker rivenditore), ma che in maniera più onesta possibile da quello che promette, intrattenimento senza far venire nessun abbiocco allo spettatore, anzi, grazie ad una certa ironia che gli da un tocco di originalità, riesce pure a distinguersi leggermente dalla massa. Peter Facinelli, il patriarca di Twilight, dimostra anche qui di essere un attore mediocre e la sua carriera la dice lunga, al contrario sia P. J. Byrne, sia Talitha Bateman che l'esordiente Elizabeth Lail, dimostrano di saperci sguazzare bene nel genere, con appunto questo film senza infamia né lode, dimenticabile ma vedibile. Voto: 6 [Qui Scheda]

Pokémon: Detective Pikachu (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Nessuna colpa da imputarsi ai Pokémon, alla sceneggiatura tutta la colpa, il primo film dei Pokémon realizzato in live action, non convince. Perché certo, meno peggio e meno straniante di quel che si potrebbe pensare, bisogna poi rendere atto al film che l'uso di tecnologia e effetti speciali è pregevole, riuscendo nel compito, già arduo di partenza, di mantenere intatta la sospensione dell'incredulità, peccato che, benché l'occhio voglia sempre la sua parte, non si tratta dell'unica parte in gioco. Il film, infatti (di Rob Letterman, quello del pregevolissimo Piccoli Brividi), un po' rifacendosi quanto possibile all'omonimo videogame da cui prende le mosse, un po' delineando una sua identità narrativa indipendente, manca tutti gli altri bersagli. La trama è debole, estremamente specifica (oltre il limite del ripetitivo) in alcuni punti quanto convenientemente ambigua in altri, i colpi di scena sono tutti prevedibili e, pur prevedendo un target di pubblico molto pronunciato verso il basso, poco gratificanti. I due personaggi umani principali, interpretati da Justice Smith e Katryn Newton, non se la cavano male ma il loro spazio viene divorato da un Pikachu efficace ma ingombrante, doppiato in lingua originale da Ryan Reynolds, di cui condivide l'ironia sfrenata e iconoclasta (sprecati Bill Nighy e Ken Watanabe). La combinazione straniante di comico e tenero funzionerebbe pure, se trovasse il giusto spazio e agisse di concerto con il resto del film, così, invece, risulta alquanto stridente. Resta a difesa del film la meraviglia visiva di un paio di sequenze brillanti, specie nella prima metà, e qualche trovata che strappa il sorriso. Quasi niente, comunque, che non si sia già visto, gestito meglio, in Zootropolis. Il finale è fiacco, e non basta la tematica della paternità, pazientemente intessuta, a riscattare a un epilogo audace. Voto: 5+ [Qui Scheda]

L'ospite (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Il Daniele Parisi di Orecchie, in un'altra brillante, sarcasticamente credibile, commedia. Potrebbe essere infatti lo spaccato di vita di chiunque quello raccontato da Duccio Chiarini in questo film. Una vita ordinaria, fatta di alti e bassi (forse più bassi che alti) tra un amore che finisce, una famiglia che preoccupa, malattie e stress, problemi lavorativi e la continua ricerca di sé stessi, crescita e perdita, figli forse voluti ma non cercati, amicizia e tradimento. Insomma, la vita nella sua (normale) quotidianità. A sopperire la mancanza di originalità c'è il garbo e l'eleganza emotiva del racconto, attraverso gli occhi del protagonista che condivide con il pubblico le sue paure, le emozioni e le incertezze, sotto una regia pulita, un ritmo narrativo lineare e una discreta prova attoriale (del protagonista ma anche di Silvia D'Amico e Sergio Pierattini, nonché di tutti gli altri). Un film centratissimo, fatto di incastri "diabolici" e che, soprattutto, sa usare l'arma dell'ironia e del sarcasmo anche quando la situazione sembra implodere (come succede spesso nella realtà). Una sceneggiatura equilibrata che non cede mai spazio a ruffianerie e sdolcinature fini a loro stesse (menzione obbligata per la coppia di genitori del protagonista: memorabili). Non il massimo in ambito dramedy, ma pellicola meritevole di attenzione. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Thelma (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Horror parapsicologico, anche thriller paranormale, raffinato e disteso che, con tempi lenti da film nordico, narra la presa di coscienza di una ragazza della propria diversità, sia sessuale (attratta da una coetanea, sembrerebbe, dai desideri promiscui, è Kaya Wilkins) che psicofisica. Come la più famosa Carrie di Stephen King/Brian De Palma, questa Thelma (efficacemente interpretata da Eili Harboe) è stata compressa da una famiglia iper-religiosa. Ovviamente, non potrà che esplodere, finendo per accettare senza problemi la propria diversità, pur caratterizzata da una tendenza inconsapevolmente omicida. Joachim Trier (nessun legame di parentela con Lars Trier, conosciuto come Lars von Trier, e poi norvegese uno, danese l'altro) racconta quindi la difficoltà di questa ragazza nella crescita della sua indipendenza, nella consapevolezza di essere diversa dagli altri e nella presa di posizione nei riguardi della sua famiglia che la controlla in maniera quasi asfissiante. Il regista usa la metafora del paranormale per imbastire la sua storia, purtroppo lo fa in maniera lenta e arzigogolata, specialmente nella seconda parte del film, tuttavia, pur viaggiando sul sottile filo della noia mortale (complici anche i molteplici silenzi e il ritmo sostanzialmente tutto uguale, totalmente privo di colpi di scena), il film riesce a mantenere abbastanza alta l'attenzione, probabilmente anche grazie alla buona dose di ansia che mette addosso. Insomma, non mi sono annoiato, però non è un film che rivedrei ancora. Voto: 6 [Qui Scheda]

Le ragazze di Wall Street (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Questo film è tratto da una storia vera, basato sull'articolo del New York Magazine del 2015 The Hustlers at Scores di Jessica Pressler, scritto e diretto (abbastanza bene) da Lorene Scafaria, già regista del gradevole The Meddler. Un piccolo gruppo di belle spogliarelliste che nel pieno della crisi del 2008 decidono di rubare ai ladri, i lupi di Wall Street. Usano l'arma della seduzione, del fascino, della bellezza per irretire uomini spietati, che traggono il loro benessere dalla povertà degli altri. E lo fanno con gli stessi strumenti, il ricatto, la bugia, il furto. Questo il senso di questo film che esalta (forse troppo, c'è una eccessiva carica erotica) la prorompente bellezza nonché dirompente fisicità di Jennifer Lopez perfettamente a suo agio nella parte di Ramona, una bella quarantenne (cinquantenne in realtà) che riesce a gestire le più giovani colleghe (si corre il rischio infatti di confondere il carisma innegabile del corpo-icona-Lopez con meriti di recitazione che le sono in parte riconosciute, come visto anche in Ricomincio da me, ma resta senza dubbio lei il principale motivo di interesse dell'intera operazione). Le lap dancer (tra queste Constance Wu, la giovane e bella Lili Reinhart di Riverdale e Keke Palmer) reagiscono alla crisi attaccando chi la crisi l'ha provocata, e lo fanno senza mezze misure, senza paura. Diventano lupi con i lupi anche se alla fine pagheranno un conto salato con la giustizia. Se il primo tempo è molto divertente e ricco di pungente satira sociale, il secondo tempo diventa più riflessivo e a tratti persino dolce e malinconico. Un buon film che pur non raggiungendo livelli ottimali (resta sullo sfondo la dimensione privata, così come risulta estremamente debole la critica al sistema capitalistico americano), si lascia guardare (se tenuti a freno i bollenti spiriti) in maniera gradevole. Voto: 6 [Qui Scheda]

Tutti pazzi a Tel Aviv (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Intelligente e divertente commedia satirica che ha il merito di parlare di cose drammatiche in maniera allegra. Samed Zoabi, al suo secondo lungometraggio, scrive la sceneggiatura, descrive situazioni che conosce benissimo, e lo fa con ironia e padronanza del mezzo. Il film infatti, sa divertire ma anche far riflettere sul difficile rapporto fra palestinesi e israeliani. Con toni alla Woody Allen (difficile non pensare a Pallottole su Broadway), si racconta la storia di Salam (interpretato dal bravo Kais Nashef), giovane palestinese che fa l'assistente ai dialoghi per una notissima e seguitissima soap-opera anti-sionista, intitolata "Tel Aviv on fire" (è Lubna Azabal la star). Fermato al checkpoint dai soldati israeliani, per non avere problemi fa credere ad Assi, il soldato israeliano che comanda il checkpoint, di essere lo sceneggiatore della soap-opera, che anche le mogli dei soldati israeliani guardano assiduamente. Ma il povero Salam invece di semplificarsi la vita se la complica, perché si trova ora a dover accontentare sia suo zio, il produttore della telenovela, che Assi, che vuole che la soap-opera diventi filo-israeliana. Eppure per Salam sarà una grande occasione, che gli insegnerà non solo a scrivere sceneggiature ma anche a comprendere meglio le persone e ad invitarle in qualche modo a dialogare. Dotato di una sceneggiatura brillante, il film si fa apprezzare anche per questo invito al dialogo, quanto mai necessario soprattutto in quelle terre. L'unico neo del film, a mio modesto avviso, è che è tutto girato in interni e non abbiamo quindi la possibilità di apprezzare, conoscere meglio, e distinguere bene, le due realtà in conflitto. Ma nel complesso riuscito. Voto: 6 [Qui Scheda]

L'albero del vicino (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 Qui - Nel terzo film del regista islandese Hafsteinn Gunnar Sigurðsson, da titolo internazionale Under the Tree, è proprio un albero a costituire "il pomo della discordia" tra due famiglie vicine di casa nella storia qui raccontata. Una storia che quindi sonda in profondità i disagi di una convivenza forzata tra esseri civili che perdono il reale senso della convivenza secondo principi civici consolidati. Svariati dispetti e ripicche reciproche coinvolgeranno così entrambe le famiglie e soprattutto condurranno al peggio la situazione, per non dire addirittura alla tragedia. L'Albero del vicino è una sorta di commedia noir che attraverso l'ironia sottile ed alcune scene esilaranti presenta in realtà una situazione generale parecchio tragica. Intanto, ogni protagonista della storia, chi più, chi meno, si trova in una situazione personale già di per sé piuttosto problematica, ma quello che conduce il tutto a deflagrare in una ferocia e violenza inaudite, è proprio la caparbietà, l'orgoglio e la cattiveria insita umana che fanno sì che ogni esponente della vicenda incontrerà una fine cruenta ed irreversibile che gli cambierà per sempre in peggio l'esistenza. Il regista in non oltre 90 minuti riesce perfettamente a condensare la storia e la sua tematica attraverso una regia lucida, ben scandita ed all'insegna dell'essenzialità. Un'opera, dunque, riuscita, che induce lo spettatore, divertendolo anche in parte e sia pure amaramente, a riflettere sulla, a volte, stupidità  umana e sulle conseguenze a cui essa può portarlo. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Pinocchio (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/09/2020 QuiMatteo Garrone è uno dei più importanti registi italiani di oggi, ed è giusto attendere (anche e soprattutto dopo Dogman) tanto da un suo nuovo film, e le aspettative non vengono deluse. Nonostante non fossi entusiasta della sua scelta di riportare sullo schermo la fiaba di Carlo Collodi, nonostante non mi sia interessato al progetto come ai precedenti devo ammettere che, la pellicola mi ha piacevolmente sorpreso, perché, anche se resterà probabilmente un'opera minore nel percorso del regista come già lo era Il racconto dei racconti, al tempo stesso questo Pinocchio (vincitore di 5 David di Donatello a fronte di 15 candidature all'edizione 2020) può contare su qualità visive (nonché sonore) e di sostanza tutt'altro che disprezzabili. Purtroppo il regista sconta la circostanza di arrivare tardi a dirigere un adattamento fedele al libro che non può avvalersi della libertà di invenzione di altre versioni precedenti, e questo lo rende meno originale, meno memorabile nel complesso rispetto alla versione di Luigi Comencini, che resta probabilmente la migliore in assoluto pur essendo girata per la televisione. Il regista si avvale della collaborazione dell'attore Massimo Ceccherini per lo script, sicuramente fedele allo spirito e anche alla lettera, per quanto possibile, di Carlo Collodi: la narrazione si dipana in maniera episodica, in maniera abbastanza fluida, con alcune scelte insolite come la Fata Turchina sdoppiata in una versione da bambina e una da adulta. Alcuni personaggi come Mangiafoco fanno una comparsa piuttosto rapida e forse avrebbero necessitato di più spazio, in una galleria di comprimari dove spicca senz'altro il Geppetto reso da Roberto Benigni senza eccesso di istrionismo e con un calore umano sempre tangibile (bravissimo secondo me pure Teco Celio nei panni del Giudice Gorilla). Il Pinocchio che sta al centro del racconto non ha l'incisività e il colore di quello del 1972, ma il regista riesce comunque ad inscrivere il suo romanzo di formazione in una prospettiva moderna a cui giovano i numerosi tocchi realistici presenti soprattutto nella scenografia. E la fotografia riesce a disegnare con la luce quadri tutt'altro che privi di fascino e reminiscenze pittoriche che ammaliano l'occhio dello spettatore. Quindi nel complesso un film forse parzialmente risolto ma che merita sicuramente una visione. Voto: 7 [Qui Scheda]

venerdì 4 settembre 2020

Inland Empire - L'impero della mente (2006)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2020 Qui - Appena trascorse le 2 ore e 52 minuti di Inland Empire, oltre ad essere talmente confuso da non ricordarmi chi fossi, con quel piccolo barlume di razionalità che mi era rimasto, mi sono detto che forse questa volta David Lynch aveva tirato troppo la corda (il film non è assolutamente chiaro, la spiegazione non esiste, ognuno dice la sua e nessuno concorda). Inland Empire è indubbiamente uno dei film più contorti e deliranti di ogni tempo, ma questa volta si ha la netta sensazione che dietro l'angolo ci sia la propensione da parte del regista statunitense, all'auto-celebrazione tramite qualche esercizio di stile, peraltro talvolta neanche riuscito alla perfezione (per non dire venuto male). Eloquente il fatto che Laura Dern (che ritorna ad essere attrice protagonista, come ritornano dopo precedenti esperienze con il regista Harry Dean StantonJustin TherouxGrace Zabriskie e Diane Ladd, c'è la new entry Jeremy Irons) abbia dichiarato di non aver capito il suo ruolo nella pellicola, anche se viene da chiedersi chi l'abbia poi realmente capito, o se c'era poi qualcosa da capire in queste quasi tre ore che scorrono più lente di un film di Terrence Malick mandato avanti con il rallenty. Le numerose sequenze inutili e i punti morti spezzano in maniera netta l'atmosfera inquietante e oscura della prima parte, che ritorna solo in parte nei minuti finali. Decisamente non il miglior film di David Lynch, anche perché della "trilogia del sogno" questo è il peggiore, il più pesante e il più stancante. Vale dunque la pena impiegare 3 ore del proprio tempo per Inland Empire? Non proprio, seppur, per onestà intellettuale, si dovrebbe, non è comunque detto che non ci possa trovare un capolavoro in quest'opera, di certo non è una perdita di tempo (almeno non del tutto). In ogni caso dargli una valutazione generale è pressoché impossibile, l'unica soluzione in questo specifico caso, di questo che di David Lynch è un riepilogo completo ed abnorme del suo cinema, fatto di deliri, follia, esplorazione della mente umana, immagini ossessive e apparentemente senza senso, che comunque turbano lo spettatore, lo incuriosiscono e lo travolgono in un turbinio di emozioni contrastanti, è il voto politico, l'unico mezzo per non scontentare nessuno e non denigrare un regista così importante ed amato. Voto: 6 (politico) [Qui Scheda]

Velluto blu (1986)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2020 Qui - La prima considerazione a cui sono giunto dopo aver visto questo film è che, per essere un lavoro di David Lynch, sembra piuttosto lineare. Blue Velvet, infatti, si presenta come un semplice noir, nel quale un ragazzo (Kyle MacLachlan chi sennò) tornato in paese per occuparsi degli affari del padre vittima di un incidente, decide di scacciare la noia indagando su un misterioso orecchio ritrovato in un campo. Ma se David Lynch non può importare nella trama la sua dimensione onirica, allora è la realtà stessa trasformarsi in sogno. I colori esagerati dei giardini della borghesia americana, il tratteggio di una popolazione in pieno stile Happy Days, i sogni romantici della figlia del poliziotto (Laura Dern chi sennò), subiscono il contrasto del mondo depravato, oscuro e maligno, che alberga a pochi passi dal quartiere residenziale. La distorsione è completa, e si manifesta quando le due realtà, inevitabilmente, finiscono per intrecciarsi, quasi che il protagonista, attraverso le proprie indagini, abbia il compito di mostrare ai figli del sogno americano quale incubo si celi dietro i suoi colori sfavillanti. La corruzione è ovunque, incarnata da un demoniaco e capriccioso Dennis Hopper, e si palesa tra le villette tormentate proprio mentre va in scena il classico scontro tra il bullo e il rivale che gli ha rubato la pupa. In questo squarcio anni '50 compare Isabella Rossellini, che, nuda, gira per strada colpendo definitivamente l'idea di innocenza che aleggia sul quartiere borghese. Cadono tutti i teli che i padri hanno utilizzato per proteggere i figli dalla violenza della vita, ma, in fin dei conti, basta saperci fare i conti e tutto torna alla normalità. Velluto Blu è un film (dove eccezionali sono le musiche di Angelo Badalamenti, qui alla prima collaborazione con Lynch) che matura ben dopo la visione, una di quelle opere che non finiscono mai di costruire spunti di riflessione e di far pensare a se stesse. Magari non sarà un giallo eccezionale, ma è ricco di fauna strana, di forti contrasti e di depravazione. A dimostrazione che David Lynch, anche quando deve fare i conti con una sceneggiatura che lo costringe a stare nei ranghi, è in grado di proporre sempre qualcosa di indimenticabile. Voto: 7 [Qui Scheda]

Mulholland Drive (2001)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2020 Qui - Lungo Mulholland Drive una donna perde la memoria in seguito ad un incidente automobilistico. L'incontro con Betty, aspirante attrice, le sarà di aiuto per tentare di ricostruire la sua identità. Nel frattempo sceglie di chiamarsi Rita ed inizia una relazione con Betty. Altro viaggio nella mente contorta e malata di una persona, nel caso specifico una Naomi Watts semplicemente bravissima nel trasmettere allo spettatore gli stessi medesimi stati d'animo e mentali in cui si ritrova (non male neanche un giovane Justin Theroux ed una sexy Laura Harring). Messa in scena ipnotica alla maniera di David Lynch, ma anche criptico alla maniera di David Lynch, anzi, in questo senso penso che gli aggettivi solitamente più associati al regista (criptico, emblematico, misterioso, incomprensibile) trovino qui la loro massima espressione e oltre. Prendere o lasciare. Personalmente non mi è dispiaciuto, anzi, è forse il miglior film di David Lynch a parer mio, l'unico problema di questo film è che ti fa sentire idiota, per il semplice fatto che non si riesce a capire, tutto sembra andare liscio come l'olio, la trama è intrigante, qualche scena che non si capisce da dove salti fuori, ma tiene incollati. Poi gli ultimi dieci minuti si stravolge ogni cosa e si perde completamente il film. Il punto è che emoziona, senza farsi capire. E anche se può essere fastidiosa, la cosa funziona. E il film è comunque più che gradevole. Poi però bisogna andare a cercarsi l'interpretazione corretta su internet, ma anche qui ognuno si discosta dall'altro, anche solo in piccoli dettagli, è come se il regista voglia lasciare allo spettatore la sua personale spiegazione, come dire la mentalità di ogni persona è diversa rispetto alle altre. David Lynch costruisce infatti una storia basata sul doppio, sul sogno e sull'immagine, con uno svolgimento atemporale difficile da comprendere. Le attrici protagonisti cambiano nome e prospettiva durante lo svolgimento, cosi come cambiano funzione gli altri partecipanti al film (tra gli altri attori partecipanti ecco Melissa GeorgeAnn Miller e Robert Forster, e pure Angelo Badalamenti, che si dedica anche alle musiche, belle musiche). Il sogno è il protagonista del film, non solo perché costituisce il nucleo centrale della narrazione ma per l'intero impianto della storia e della messa in scena. La dimensione del sogno sta nel fatto che è costantemente impossibile distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è, dialettica che porta alle estreme conseguenze la natura stessa del cinema. Alcune cose non convincono di questo film, che a parer mio è esagerato aver definito il miglior film del ventunesimo secolo, comunque questa storia d'amore tormentata, che si ripercuote nel tempo, va vissuta tutto d'un fiato e seppur lasci perplessi, al fine di tutto anche meravigliati per un'opera notevole di uno dei registi migliori di sempre. Voto: 7,5 [Qui Scheda]

Eraserhead - La mente che cancella (1977)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 04/09/2020 Qui - L'opera prima di David Lynch (che ha avuto pure un gestazione piuttosto complicata) contiene già i prodromi di quello che sarà il suo cinema, fatto di visioni surreali e personaggi inquietanti che danno vita ad un Mondo tanto affascinante quanto stralunato. Ma aldilà di un messaggio autobiografico sulla paura (o meglio, il terrore) di diventare genitore non c'è molto altro da leggere in questo dramma orrorifico, perché alla fine la pellicola è un compendio di incubi ad occhi aperti misto ad un pugno di dialoghi deliranti messi in fila senza un vero filo logico. Ma il vero protagonista del film, più che il bravo Jack Nance ed il suo faccione stranito che attraversa tutta la storia senza darci punti di riferimento, è il suo terrificante figlio deforme: un essere sconvolgente dalla testa di vitello e difficile da dimenticare, realizzato impeccabilmente anche a livello tecnico. E quindi originale, onirico, simbolico, inquietante, enigmatico, impenetrabile, a questo film (uno dei film più angoscianti e disturbanti che abbia mai visto, anche se in certe fasi mi ha purtroppo portato quasi all'ilarità) potremmo associare moltissimi aggettivi, però personalmente non riuscirei a definirlo capolavoro, in quanto per esser tale dovrebbe avere un consenso ampio sia tra il pubblico sia tra la critica e questo film sembra soddisfare più quest'ultimi (e comunque non è un film perfetto, è decisamente lento e pure a tratti ripetitivo). Nonostante tutto il film merita di essere visto, sia per l'originalità sia per la capacità del regista di rendere il film una pura rappresentazione di un sogno, sensato quando lo viviamo durante il sonno e incomprensibile ripensandoci al risveglio. Un film in ogni caso a cui viene difficile dargli un voto, anche perché non è un film che si può giudicare in maniera tradizionale o razionale, però devo e questo è. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

David Lynch Filmography

Post pubblicato su Pietro Saba World il 04/09/2020 Qui - Detto e ribadito che di David Lynch avevo al massimo spizzicato alcune visioni, dei due suoi film più "commerciali" per esempio, ma prontamente visti interamente negli ultimi mesi, parlo ovviamente di Cuore Selvaggio e Dune, era più che dovuto che altri avrei recuperato, non bastasse in tal senso una Promessa cinematografica inerente all'anno in corso. Ebbene, dopo averne visti (letteralmente) di tutti i colori, posso ora affermare che David Lynch è un regista incredibile, così tanto che quasi non fa per me. Ora, questo non vuol dire che i suoi film non mi sono piaciuti per niente, anzi, oltretutto (anche se è una serie, però non sono sicuro) Twin Peaks (soprattutto le prime stagioni che la serie sequel recente) ho dannatamente adorato (penso sia questo il suo miglior lavoro) ma è così strano il suo cinema e la sua visione che in crisi mette (e comunque esprimere un giudizio obbiettivo o in termini di numeri è tremendamente difficile, tanto che il voto "politico" è forse l'unico mezzo). Tuttavia con lui non è stato affatto tempo perso, però vedere questi 4 film in poco più di 2 settimane è stato, seppur affascinante, decisamente pesante. I prossimi suoi film che vedrò, perché alcuni ancora mi mancano, saranno perciò a distanza di tempo, la mia psiche potrebbe non reggere a fare ciò che ho fatto per fare questo post, vedere appunto quattro dei suoi film in una botta sola, per di più quattro dei suoi più controversi e chiacchierati. A parte gli scherzi, davvero difficile è parlare, ancor più scrivere, dei film del regista statunitense, ma l'ho fatto e spero di non pentirmene o di aver turbato i suoi tanti estimatori.

Eraserhead - La mente che cancella (1977)
Velluto blu (1986)
Mulholland Drive (2001)
Inland Empire - L'impero della mente (2006)