mercoledì 30 settembre 2020

Favolacce (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/09/2020 Qui - Dopo il duro e disperato La terra dell'abbastanza, i fratelli D'Innocenzo ci riprovano, e fanno ancora centro, più e meglio di prima, presentandoci una pellicola forte, per niente compiaciuta e che non lascia mai spazio alla speranza, ambientata in una periferia logora, stanca e sempre arrabbiata, insomma una fotografia esemplare di tante realtà nostrane. Il film dei fratelli D'Innocenzo ben rappresenta infatti il disagio di un quartiere romano che potrebbe comunque essere la periferia di qualsiasi città italiana. Duro e sporco, come un film che affronta certe problematiche (in primis quella famigliare) deve essere. Il ritratto dipinto di un'Italia borgatara e incolta che pur ancestrale e remota sembra specchio del tempo in cui viviamo. In una sostanziale immobilità dell'esistere l'attenzione si sposta su personaggi che, pur essendo genitori, non hanno evidentemente i mezzi e le capacità per ricoprire questo delicato ruolo. La loro colpa principale è di non riuscire a fare da filtro tra la vita reale e il mondo dell'infanzia, dove i loro figli ancora vivono. Non riescono insomma ad educarli, ad avvicinarli in maniera graduale alla realtà della vita adulta, anzi, i loro figli diventano solo valvola di sfogo per le frustrazioni accumulate e i desideri repressi. Cosicché questi genitori non riesco più a raccontare delle favole ma solo delle "favolacce" di cui essi stessi sono indiscutibili protagonisti. I fratelli D'Innocenzo tessano le fila di un dramma nero, originale, ottimamente orchestrato, premiato al Festival di Berlino per la migliore sceneggiatura, che colpisce, come un pugno nello stomaco. Ammirevole il coraggio della regia che affonda il coltello del dramma nel burroso sentimentalismo dello spettatore, senza remore, con i protagonisti impegnati in scene e dialoghi crudi, sconvolgenti nella loro sconsideratezza, spingendosi fino ad un ardito finale. E nello scorrere della trama si apprezzano le doti recitative del cast, ben diretto e perfetto per rappresentare quel sostrato di umana miseria della quale spesso si nega l'evidenza (tra gli interpreti coinvolti, efficacissimi e spesso inquietanti, riconosciamo, oltre ad Elio Germano, il piccolo efebico Justin Korovkin, visto, apprezzato e qui non meno problematico di come appare in The Nest). Solo la prosopopea della voce narrante può risultare inopportuna e la parte fonica non è all'altezza del compito (tra dialoghi sussurrati e per di più in accento romanesco ci sono dei frangenti in cui è davvero difficile seguire le conversazioni), ma nel complesso notevole. Voto: 7

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