domenica 16 giugno 2019

Nelle pieghe del tempo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/03/2019 Qui - Anche la Disney può sbagliare. Lo sappiamo da sempre (è già successo, ricordate Alice attraverso lo specchio? No? Meglio) eppure si rimane ancora sconcertati di fronte alla possibilità della casa dei sogni di fallire. Questa volta poi si rischia di toccare il punto più basso del percorso cinematografico del mondo immaginifico creato agli inizi degli anni Venti, una caduta rovinosa in cui nessuno, davvero nessuno, riesce ad uscirne illeso. La colpa di tali ferite è causata dall'ultimo lungometraggio targato Disney del 2018, intitolato Nelle pieghe del tempo (A Wrinkle in Time), pellicola tratta dal romanzo omonimo del 1963 scritto da Madeleine L'Engle e diretta da Ava DuVernay, che dai fatti reali di Selma - La strada per la libertà passa all'inverosimile e all'astratto in questo suo ultimo lavoro. Un lavoro che non soddisfa (ma per niente proprio) le aspettative, dimostrandosi fallimentare sotto molteplici punti di vista. Perché sì, senza mezzi termini, Nelle Pieghe del Tempo (che va avanti tra scenari ridicoli, personaggi inutili e momenti completamente piatti) è sia un film brutto sia un film sbagliato, non c'è scampo. Anche capire da dove partire per descrivere il fallimento del film è compito arduo, perché davvero non c'è un aspetto che si salvi. Manca il grande senso di avventura e scoperta dei film per ragazzi, manca l'intrattenimento puro, con le scene allungate fino a che il già poco senso di esse non diventi autentica e inspiegabile tortura. Forse a dare più fastidio è la costante ripetitività del nulla che il film propone. I protagonisti sono sballottati avanti e indietro senza che se ne capisca il senso. Se l'emozione latita, la tensione manca totalmente, ed assistiamo ad un carrozzone di colori e CGI tirato avanti col pilota automatico. Insomma un film, che si fa quasi fatica a definirlo un vero film, davvero sconclusionato, malfatto e goffo. Un film che pecca di un'eccessiva noncuranza dei dettagli. Giocando senza logica con lo spazio e il tempo, il film dimentica spesso la basilare regola della consequenzialità causa-effetto, alternando eventi incoerenti tra loro con improbabili deus ex machina risolutivi. Tra enormi lacune narrative e mancanze para-sintattiche, la storia si snoda pertanto con fatica, rendendo la visione non eccessivamente difficile ma indubbiamente fastidiosa. A peggiorare la situazione, non manca poi il classico buonismo della Disney che, nonostante in altre pellicole sia perfettamente equilibrato, qui produce una perenne e paternalista atmosfera moraleggiante.
Il grande problema di Nelle Pieghe del Tempo non è però la melassa zuccherosa col quale è rivestito, né i mille colori dell'esagerato trucco e parrucco col quale si cerca di differenziare i personaggi, né ancora la CGI davvero scadente (con 100 milioni di budget si deve fare molto meglio di così): il vero problema del film è la sua essenza, imperdonabilmente sbagliata, di voler essere un film d'avventura senza poggiarsi sulle basi di un film d'avventura, ovvero il pericolo. I protagonisti non saranno mai in pericolo, lo spettatore non sarà mai in tensione per loro, e il cuore del film (che dovrebbe essere il ritrovamento del padre misteriosamente scomparso in un non precisato buco temporale, e quindi l'avventura attraverso l'universo e il tempo che i giovani protagonisti dovrebbero vivere per raggiungerlo) finisce con l'essere una semplicistica e stucchevole metafora sul credere in se stessi, della quale ci si stufa subito. In tal senso è davvero difficile immaginare che dietro la sceneggiatura di questo film davvero poco riuscito ci sia quella stessa Jennifer Lee che ci ha regalato perle dell'animazione (personalmente due su tre di questi) come Ralph Spaccatutto (come sceneggiatrice), Frozen (come sceneggiatrice e regista) e Zootropolis (ancora come sceneggiatrice). Diviso tra il fantasy e il didascalico, Nelle Pieghe Del Tempo non soddisfa poi nemmeno da un punto di vista prettamente cinematografico. Se la storia intervalla lezioni quasi scolastiche a momenti ridicolmente straordinari, la regia di Ava DuVernay (che dimostra di non essere ancora in grado di gestire cast così ampi, composti da così tante star, e soprattutto budget così importanti) non riesce ad intrecciarsi con le logiche del blockbuster hollywoodiano, dando vita ad un prodotto scisso tra una naturale commercialità e un'abbozzata (e in questo caso insensata) autorialità. L'uso spasmodico di primissimi piani, inquadrature dal basso e soggetti lateralmente decentrati fanno presagire lo sforzo della DuVernay di delineare un proprio stile personale. Il tentativo è tuttavia a dir poco fallito: le riprese più particolari sembrano infatti inadatte al contesto di riferimento, risultando quasi seccanti se accostate ai passaggi più spettacolari. Oltre alla resa narrativa e alla regia, non meno criticabili sono alcuni dettagli particolarmente tecnici, come il montaggio visivo e il mixaggio sonoro. Nel primo caso, varie sequenze mostrano veri e propri errori di raccordo tra inquadrature, con personaggi immobili che mutano incomprensibilmente la distanza tra loro. Nel secondo caso, gli intermezzi musicali non sia allineano con le immagini, dando vita a delle parentesi sonore estremamente artificiose.
Da ultimo, insalvabile è perfino il cast. Se la protagonista Storm Reed è anonima e monocorde, Oprah Winfrey e Reese Witherspoon non riescono a dare naturalezza ai propri personaggi, non favorendo alcun tipo di immedesimazione. Ma non va benissimo manco a tutti gli altri, da André Holland a Chris Pine, da Michael Pena a Zach Galifianakis, da Gugu Mbatha-Raw a Mindy Kaling. Deludente anche il giovane Levi Miller che, dopo la passabile performance offerta nel riadattamento di Peter Pan (quest'ultimo comunque rivedibile), qui appare completamente inespressivo. Colpa ovviamente della pellicola, che già dalla presentazione dei protagonisti, compresa la protagonista del film, Meg, una studentessa svogliata e scontrosa, ma anche di tutti gli altri, mostra subito il fianco a svariati problemi. Charles Wallace (Deric McCabe) è il piccolo fratellino di Meg, un personaggio finto e fastidioso (complice probabilmente anche il doppiaggio italiano). Dovrebbe essere infatti una specie di bambino prodigio, ma sentirlo parlare tutto il tempo come un adulto erudito, per evidenziare quanto sia "brillante", è veramente un espediente ingenuo, poco credibile e tra l'altro già visto. Poi c'è Calvin, l'amico che spunta dal nulla, quello buono e senza macchia, che siccome "sentiva che doveva venire qui", si unisce al gruppo così, senza troppe motivazioni. Anche l'entrata in scena di una delle magiche "signore" che controllano lo spazio e il tempo (uno deve intuirlo perché non è che si capisce molto), è buttata in scena veramente con un calcio nel sedere poco convinto. Signora che, non ricordo chi tra Chi, Cosé o Quale (d'altro canto ero impegnato a chiedermi quanto potesse essere di cattivo auspicio un prologo del genere, esatto, a chiedermi ma "che cazz è") è tra l'altro vestita in maniera ridicola. Per non parlare delle altre due, vestite anche peggio (per quello che io capisco di costumi). Soprattutto il vestiario della povera Oprah Winfrey è una vera baracconata senza il minino buon gusto. Ma d'altro canto non esiste in senso estetico in questo film, che si barcamena tra il trash, il kitsch e la banalità fino alla fine, in svariate sequenze (tra pretesti poco elaborati e poco comprensibili finalizzati ad innescare l'ambigua trama) che si alternano praticamente senza alcun senso, per cercare questo benedetto padre in varie zone dell'universo totalmente slegate tra loro, soprattutto a livello stilistico. L'azione, quando c'è, non è degna, nonostante il film "abbia i soldi" e si veda negli effetti speciali di buona qualità tecnica (ma sempre senza alcuna personalità), tutto di riduce a leziosi siparietti in cui vediamo com'è forte il livello d'amicizia/amore tra i personaggi.
Il film non nasconde nemmeno la pochezza della sua scrittura con qualche pezza. Non c'è nessun tipo di ironia a smorzare la stupidità di una trama incredibilmente tanto banale e semplicistica quanto confusa nella messa in scena. Non un singolo dialogo che non sembri scritto da uno sceneggiatore di un qualsiasi show di Disney Channel destinato ad un pubblico dai 6 ai 12 anni. Accadimenti telefonatissimi, e una prevedibilità nemmeno implicita ma proprio esibita con fierezza, quasi a trattare veramente gli spettatori, giovani o meno che siano, come imbecilli. Come se tutto ciò non bastasse (come già accennato), questo film ha seri problemi tecnici e di messa in scena. Inquadrature shakerate senza motivo, un montaggio spesso senza alcuna grammatica, un milione di inutili primi piani su interpreti mediocri per dare enfasi a quelle 4 frasi qualunquiste, banali e zeppe di retorica che recitano. E poi un indugiare disgustoso su tutti i momenti più sdolcinati del film, per nulla supportati poi da un crescendo di pathos e senso attesa che li dovrebbe precedere, visto che tutto il film (pieno di buchi narrativi) sembra una semplice scampagnata tra bislacchi paesaggi poco memorabili e poco minacciosi. Ed è così dunque che le pieghe del nuovo film Disney si trasformano magicamente in piaghe, un passo falso per i film non animati della compagnia, la quale mette a segno una delle sue peggiori operazioni cinematografiche, se non addirittura la peggiore. Nelle Pieghe del Tempo è un film stupido, inutile, palloso e mal concepito. Non che l'idea di partenza fosse per forza da buttare via. Non conosco il libro, ma ne poteva comunque nascere qualcosa di carino. Qualcosa di meglio rispetto ad un film che onestamente si fa quasi fatica a definire un vero film. Dispiace, perché parliamo del primo blockbuster diretto da una donna, Ava DuVernay, ma se il film è scritto, diretto, concepito nella maniera più raffazzonata possibile, la responsabile è soprattutto sua. Il soggetto è infatti gestito davvero con una superficialità imbarazzante (anche perché invece di sfruttare il materiale a disposizione, limite e pregi, il film va avanti, troppo, senza una bussola tematica e visiva), e anche a volersi accontentare della superficie, questa risulta talmente priva di carisma e personalità, pregna com'è di stereotipi, macchiette e un buonismo esibito senza la minima creatività, che nemmeno i giovanissimi secondo me potrebbero apprezzare. Perché si è vero, Nelle Pieghe del Tempo è destinato ai bambini e ai ragazzini, ma non significa che non ci debba essere dietro della sostanza, i film Pixar (e non solo) sono un chiaro esempio di questo. Non c'è difatti divertimento vero nella storia, non c'è l'intento pedagogico che avrebbe almeno dato uno scopo. Solo parole vuote, solo immagini brutte, solo grande banalità: per segnare l'immaginario dei bambini (ma anche dei più grandi) ci vuole ben altro. E quindi bocciato su tutta la linea. Voto: 3