lunedì 15 aprile 2019

17 anni (e come uscirne vivi) (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/03/2018 Qui - Prodotto dal James L. Brooks dei mitici Simpsons17 anni (e come uscirne vivi), film del 2016 scritto e diretto da Kelly Fremon Craig (al debutto come regista), analizza il percorso di crescita e formazione che dall'adolescenza porta all'età adulta, catturandone la confusione e la complessità che i diciassette anni comportano. Un tema certamente non nuovo nella cinematografia americana, d'altronde The Edge of Seventeen (da titolo originale), è il classico teen movie americano (come uno dei tanti prodotti) adattato all'epoca contemporanea, in cui tutto è regolato dal principio della visibilità (sei non sei qualcuno non sei nessuno), ma questo, forse uno dei più belli (e meno banali) ultimamente prodotti, senza infamia e senza lode (dove non accade molto ma ogni cosa è al suo posto), si mantiene su un livello accettabile (un po' come fu L'A.S.S.O. nella manica), anche se appunto non dice niente di nuovo sul tema. Abbiamo infatti una ragazza brava, ma piena di problemi, molti sono reali, altri solo della sua età (di un'età "tormentata", il classico rito di passaggio, duro, ma necessario), e altresì seguiamo le sue vicende, in definitiva perciò il film è tutto qua. Tuttavia, il modo in cui la pellicola approccia la narrazione e il tema (con una fresca collezione primavera-estate di dialoghi micidiali e battute puntute, ma anche momenti di autentico dolore e malinconia post-puberale), fa di questa pellicola una piacevole novità. In bilico tra commedia e dramma, l'esordiente regista ha trovato infatti il modo di unire ironia, sensibilità e sincerità, raccontando appunto la storia di una ragazza, Nadine, alle prese con le paturnie dell'inadeguatezza e dell'insicurezza, sconvolta prima dalla perdita del padre e poi dalla scoperta che la sua migliore amica (l'unica amica Krista, la Haley Lu Richardson di Split) se la fa con l'odiato fratello (il Blake Jenner del bel Tutti vogliono qualcosa) palestrato e di successo (senza dimenticare il rapporto stravagante che ha/non ha con la madre interpretata da Kyra Sedgwick), in modo adeguato e non convenzionale. Certo, come tanti altri film, il suddetto procede banalmente verso la svolta emotiva e caratteriale della protagonista, che capirà che è lei stessa causa del suo male (dopotutto Nadine è sola anche perché è parecchio antipatica e non fa niente per farsi accettare dagli altri che considera quasi tutti stupidi e superficiali), e cambierà rotta e bersaglio (grazie soprattutto ad un insegnante amico, apparentemente cinico, che però sorprendentemente sarà di grande aiuto) anche sul piano dei sentimenti puntando le sue attenzioni sul coreano innamorato, imbranato, ma teneramente sincero e non sul belloccio arido e materiale che voleva solo fare sesso con lei, ma soprattutto si chiuderà con il classico finale, un finale non trascendentale, però in linea con l'evoluzione narrativa ed emotiva della storia.

Una storia insomma contemporanea e senza tempo in cui c'è nulla di nuovo, ma tutto sempre nuovo, se sai dosare i dettagli, le invenzioni che spiazzano e le variazioni sul canone, anche grazie alla "folle" protagonista (è lei il cuore pulsante di 17 anni, una pellicola che scivola piacevolmente via nella sua oretta e mezza, strizzando l'occhio a divertenti passate cinematografie e trasferendo empaticamente a noi pubblico quell'adolescenza perduta che noi vorremmo, a parte alcuni probabilmente, tornare a vivere). In questa "originale" storia infatti, dove i personaggi sono interessanti, dove c'è un discreto ritmo con buone idee e dialoghi, lo "specifico filmico" sta nel viso imbronciato della (bravissima e sempre bella) Hailee Steinfeld, ordinaria quanto basta, logorroica, aggressiva, depressa, vestita malissimo, dotata di un umorismo folgorante, terrorizzata dal "dover passare il resto della mia vita con me stessa", convinta com'è di non avere qualità. Non per niente si parte da un annuncio di suicidio (un'ambigua variazione che da incredibilmente una marcia in più al film), polemicamente incoraggiato dal geniale professore di storia (ecco, negli sfoghi mai banali di Nadine al suo professore, in cui la ragazza esprime i suoi problemi, il suo bisogno di un rapporto con una figura adulta e le sue frustrazioni, stanno i momenti più alti di questo film, che non sarà un capolavoro ma che ha più di qualche spunto di interesse), e si prosegue stabilendo la fondamentale divisione nel mondo fra "le persone che emanano sicurezza, eccellendo nella vita, e quello che sperano che i primi muoiano in un'esplosione". In tutto questo Woody Harrelson (sempre eccellente) è il padre-prof che tutti vorremmo essere, spietato, sarcastico, distaccato, eppure anche tenero, presente, consapevole della necessità di rispettare tempi e libertà altrui, e per questo poco avvezzo ai sermoni. Lui non educa, lui è, sta, agisce solo quando serve. Tutte le cose che rendono il film leggero, emozionante e divertente, perché nonostante il tema più duro di quel che sembra, 17 Anni è una pellicola che si lascia guardare con piacere, riuscendo ad intrattenere e a far riflettere al contempo. In più fa anche ridere ogni tanto, con intelligenza e simpatia. Tanto che una visione la si può dare tranquillamente. Voto: 6+