Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/03/2018 Qui - Il motivo preciso per cui ho voluto vedere Effie Gray: Storia di uno scandalo (Effie Gray), film del 2014 diretto da Richard Laxton, proprio non lo so. Forse perché ogni tanto c'è se sempre tremendamente, e più, bisogno d'amore e il film, pur volgendo lo sguardo indietro nel tempo, ci permette una volta di più di capire quanto il sentimento per antonomasia non sia da considerare automatico e dovuto, bensì da conquistare. Prima sognato, poi bramato, conquistato un istante e a lungo assente ingiustificato, il film del regista britannico non si fa mancare nulla delle sue declinazioni ma, mentre in alcune parti è puntuale e trasparente nella sua formulazione, in altre manca dello scatto definitivo, rischiando di spiaggiarsi completamente, soprattutto quando in scena entra Riccardo Scamarcio, anche se per fortuna in modo marginale. La pellicola infatti, ambientata nella Londra vittoriana del 1840, che narra il triangolo amoroso che coinvolse il critico d'arte John Ruskin, sua moglie Euphemia "Effie" Gray (una delle prime donne a imbarcarsi in un'iniziativa malvista e ostacolata, quasi, da tutti) e l'artista John Everett Millais, è molto spesso noiosa. Tuttavia la discreta eleganza formale (seppur lapalissiana e manichea), che fotografa la posizione subordinata della donna ma anche quel fuoco interiore proprio di chi voglia conquistare la felicità, e grazie alla conferma dell'ex bambina prodigio Dakota Fanning, che sforna una prova sentita e matura (certamente migliore che in American Pastoral), essi contribuiscono alla riuscita di un film che riesce a coinvolgere e mantenere in costante interesse lo spettatore fino alla fine per scoprire come va a finire.
Vanno sommati, inoltre, i meriti di una regia sobria, una fotografia apprezzabile, trucco e costumi curati (scelti con scrupolo e altresì gli ambienti, interni o esterni che siano, costituiscono un valido supporto nell'accompagnamento dello sviluppo) e un ritmo narrativo, seppur compassato, lineare e senza grossi cedimenti. Oltretutto il film, sceneggiato da Emma Thompson, presente anche in un piccolo ruolo ritagliato ad hoc per rendersi simpatica, conferma l'abilità dell'attrice e sceneggiatrice britannica che, proponendo uno script di una certa presa emozionale, nonché morale, affrontando temi come il divorzio, la sottomissione e la dipendenza dalla famiglia e, in maniera molto velata, l'attrazione di un uomo adulto verso le ragazze giovanissime, si fa sufficientemente apprezzare. Allo stesso tempo, il cast ha buone note tra le figure femminili, con ovviamente Dakota Fanning sugli scudi nel delineare una trasformazione continua in quanto a consapevolezza e Julie Walters estremamente aderente al ruolo di suocere attenta al proprio tornaconto, mentre gli uomini variano dall'odiosa precisione algida di Greg Wise fino alla scarsa empatia di Tom Sturridge (già detto invece di quell'altro). In ogni caso, l'aspetto più evidente di Effie Gray rimane comunque la sua implosione, che avviene proprio quando dovrebbe riuscire a esondare in colori e suoni, risultando preciso nella descrizione di una repressione sistematica e meno deciso nell'allungo successivo, titubante nei cambi d'intonazione e debole quando è chiamato ad andare oltre le descrizioni di base. Nessun reale disastro, ma fin troppo mansueto, tale però da meritare comunque una visione. Voto: 6
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