Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/01/2018 Qui - Continua il viaggio nella filmografia di Denis Villeneuve e forse questo era l'ultimo tassello importante che mi mancava (anche se in verità devo ancora vedere Maelström e ho ancora da recuperare l'ultimo Blade Runner 2049). Polytechnique infatti, film del 2009 diretto dal regista canadese, mi era, in che modo e perché non so, sfuggito. Ma per fortuna l'ho visto, poiché il film, che racconta la strage avvenuta il 6 dicembre 1989 all'École polytechnique di Montréal, quando il venticinquenne Marc Lépine (ben interpretato da Maxim Gaudette) uccise a colpi d'arma da fuoco quattordici studentesse, per poi togliersi la vita, esplicitamente dedicato alla memoria delle vittime del massacro e in generale a tutti gli studenti e gli impiegati dell'Ecole Polytechnique e alle famiglie delle vittime, basato sulle testimonianze dei sopravvissuti, in particolare attraverso gli occhi di Valérie e Jean-François (il bravo Sébastien Huberdeau e la carinissima Karine Vanasse), due studenti che videro la loro vita messa a rischio quando un estraneo si introdusse nella scuola con il proposito di uccidere quante più donne possibile, è un film potente, uno dei migliori sul tema. Molto più intimista e autoriale del precedente Elephant (2003) di Gus Van Sant, quest'opera intensa e a tratti straziante infatti tratta questa storia cosi dolorosa con rispetto, riuscendo ad emozionare in numerosi frangenti. Anche perché, costruito come la docu-fiction del resoconto romanzato di una tragedia annunciata, il terzo film di Denis Villeneuve è il piccolo olocausto di una follia sessista, la fredda meccanica di una epurazione di genere che sembra prendere le mosse dallo squallore emotivo e dalla disperazione di chi, abbandonato a sé stesso dalla famiglia e dalle istituzioni, sembra avere smarrito quel senso di empatia e di umana pietà che fa di un modesto studente universitario l'elemento di un disordine sociale in grado di riversare sulle proprie vittime innocenti l'odio e la violenza di una istintiva intolleranza verso un diverso con cui da sempre si identifica il nemico.
Peccato che, seppur il film mostra, senza sensazionalismi e spettacolarità alcuna, le gesta del folle killer viste dagli occhi dei due protagonisti, dato che quello che interessa al cineasta non è tanto capire il perché di un gesto cosi folle e insensato, quanto sottolineare gli effetti di un'esperienza cosi lacerante su chi l'ha vissuta, non tutto è perfetto. Perché anche se le ragioni psicologiche potrebbero apparire più o meno credibili (questo ognuno poi si fa un concetto), Denis Villeneuve non evita di eccedere in una immancabile schematizzazione degli elementi drammaturgici (compreso il rendez-vous shakespeariano di un'amore spezzato), presentandoci da un lato le debolezze del carnefice (Marc) che scrive alla madre distante e invisibile la sua disperazione postuma e dall'altro quelle dell'agnello sacrificale (Jean-François) che dopo la visita ad una madre comprensiva e amorosa assume su di sé le colpe di una intolleranza di genere. Ma, si sa, per indagare i misteri dell'animo umano e cavarne qualcosa di buono a volte si deve pur rinunciare al rigore ed all'eleganza delle cose non dette. Tuttavia molto bella è la sua regia, comunque attento a non cadere in eccessi spettacolari e mantenendo quel giusto tono distaccato che accentua un senso di frustrazione verso una tragedia cui possiamo assistere impotenti. Il film infatti, gelido nei movimenti quanto brutale nelle rappresentazioni delle morti, annichilisce lasciando inebetiti. Il tema però, legato al sessismo, è ancora più pesante del corrispettivo di Gus Van Sant, appesantito ulteriormente da un malinconico (seppur in parte estremamente efficace) bianco e nero, ma la narrazione sfilacciata (che percorre i fatti andando avanti e indietro riducendo molto spesso il pathos) non convince e pur nella plumbea violenza di cui il film si immerge, non riesce a graffiare tantissimo. Di certo nel suo genere decisamente un'opera originale e ben realizzata, ma riuscita (come la durata) a metà. Voto: 7-
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