sabato 31 ottobre 2020

Movies for Halloween: Trick 'r Treat - La vendetta di Halloween (2007)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/10/2020 Qui - Dopo la mezza uscita dal tema dello scorso anno, con un horror fisico e psicologico però di grande effetto ed impatto, era La casa delle bambole - Ghostland (un buon film, intelligente e disturbante), si ritorna al classico, con un prodotto di puro intrattenimento horror, dedicato per l'appunto alla festività di Halloween, carico di atmosfere giocose, disimpegnato e adattissimo per trascorrere una piacevole serata. Con un film che, credevo di aver visto, e invece non era così, con un film, parzialmente ispirato al cortometraggio splatter/horror Season's Greetings dello stesso regista ed ambientato nella notte di Halloween (festa pagana ormai debitamente sdoganata, festeggiata in qualunque parte del mondo), che nonostante sia stato distribuito solo per il mercato home-video (tuttavia andato in chiaro negli anni su alcuni canali Mediaset), è diventato un piccolo cult. Un piccolo gioiellino così tanto apprezzato che ha spinto Michael Dougherty ad iniziare (seppur decenni dopo) la sceneggiatura per un possibile sequel, così tanto iconico che la DC Comics e la Wildstorm Comics hanno pubblicato nel corso dell'ottobre 2007, un fumetto adattato dal film, scritto dal fumettista Marc Andreyko e illustrato da Fiona Staples. E codesto film horror è ovviamente Trick 'r Treat, un film intelligente nello sfruttare vecchie inquietudini per un perfetto racconto del terrore a più voci. Prodotto da Bryan Singer (produttore nonché regista di film quali X-Men, ben quattro, Superman ReturnsOperazione ValchiriaBohemian Rhapsody), La vendetta di Halloween è infatti un horror debitore dei classici format antologici anni '80/'90 come Creepshow e I racconti della cripta (lo si nota dai titoli di coda realizzati come un fumetto).

martedì 27 ottobre 2020

Dark City (1998)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Alex Proyas dopo aver diretto l'ottimo Il Corvo dirige questo noir fantascientifico a tinte dark con buonissimi risultati (e i terrapiattisti sempre ringrazieranno). Infatti, pur essendo una storia con varie forzature di trama (ma con una sceneggiatura così complessa ed intrigante da meritare certamente una visione o più), è un film di fantascienza che ha molte qualità: un'ambientazione cupa ed un'estetica suggestiva (con effetti speciali a mio parere molto buoni, seppur con dei limiti), ritmo incalzante: cosa chiedere di più? Forse un po' di finezza in più e chissà come sarebbe stato. Perché sì, come detto, non mancano le ingenuità (o i difetti) in Dark City, ma a compensarle ci pensa però il resto. A tal proposito, collegandosi ai pregi, il regista dimostra che le atmosfere dark sono senza dubbio il suo forte, e così a livello visivo abbiamo un grandissimo lavoro, fotografia perfettamente malsana e gotica così come le location (che sono la cosa più riuscita del film) anch'esse mistura tra il gotico ed il futuristico. Alla fine ne esce un noir futuristico e visionario non indimenticabile ma comunque riuscito. Il protagonista Rufus Sewell se la cava più che degnamente così come tutto il resto del cast, per mia felicità (ormai la ritrovo ovunque in questi ultimi mesi) ecco Jennifer Connelly (in quel periodo poi era di una bellezza da togliere il fiato), e pure un nudo della bella Melissa George al suo esordio nei panni di una prostituta. E' solo intrattenimento, ma ben fatto e che non rinuncia comunque ad offrire anche qualche spunto di riflessione, senza fortunatamente indulgere in tanti dialoghi e spiegazioni e pedanti filosofie. Un buon film, cui Matrix e simili devono parecchio. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

47 metri - Uncaged (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Dopo il buon successo dell'ansiogeno 47 Metri era inevitabile un sequel, anche se più che un sequel del film del 2016, questo rappresenta una variazione sul tema, con la trovata della città Maya sotterranea e degli squali "non vedenti" (che è praticamente Man in the Dark in versione "squalesca"), il risultato è quello di una scenografia che se all'inizio si fa apprezzare per l'originalità, nel prosieguo diventa limitata per le poche idee portate allo sviluppo della trama. In effetti la storia suonava un filino esagerata: delle ragazze intrappolate in un labirinto maya sott'acqua in mezzo a degli squali (bianchi per giunta, formato XXL) ciechi ma affamati al punto giusto. Non è sulla carta un filmetto proprio facile da realizzare, e infatti Johannes Roberts, che aveva diretto anche il precedente lungometraggio, non ci riesce quasi per niente, e non solo per la realizzazione oggettivamente scadente della grafica dei "pescioni", ma anche per alcune trovate che sfociano nel ridicolo (e non parliamo del cast scelto). I momenti migliori di tensione sono quelli centrali (comunque niente in confronto al claustrofobico "fratello"), poi sprecati in un finale incredibilmente irrealistico (si è voluto esagerare quando probabilmente non serviva più). Decisamente meno riuscito rispetto al primo capitolo, ma pure meno riuscito rispetto alla media di film simili, peccato. Voto: 5 [Qui Scheda]

One Piece: Stampede - Il film (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Un film chiaramente celebrativo (si ritrovano, infatti, molti personaggi tra i più amati della saga, tutti concentrati nella stessa avventura), un film dove il fan service la fa da padrone (ben più che in One Piece Gold: Il film), ma un film avvincente e divertente, che appunto riesce a proporre su schermo una sfilza di personaggi che probabilmente mai si avrebbe pensato di vedere tutti insieme, riuscendo anche a mettere un po' da parte risentimenti e rivalità varie per riuscire a raggiungere un obiettivo comune: abbattere il potentissimo Bullet, un avversario formidabile e capace di tener testa anche alla nuova generazione di pirati. Un film che regala enfasi spesso e volentieri, anche se non sempre, ma si lascia comunque guardare senza problema alcuno. Le botte da orbi chiaramente volano per la maggior parte del film e sono molto divertenti, così come gli intermezzi comici. Sorprendenti e spesso spettacolari sono i colpi di scena e le trionfali entrate a sorpresa di alcuni personaggi. Le animazioni, pur non trattandosi certo della Pixar, sono per lo più d'ottima fattura, soprattutto per quanto riguarda i combattimenti (lo stesso fu con il tredicesimo film dedicato alla ciurma di Cappello di Paglia, questo è il quattordicesimo). A una "grande" pellicola è affiancato un grande doppiaggio, in One Piece: Stampede ritroviamo infatti il cast vocale che si è potuto apprezzare anche nella serie animata con qualche new entry. Inoltre l'adattamento sfrutta i nomi originali dei protagonisti, ed è una cosa alquanto apprezzabile. Stampede è la festa di compleanno (il ventesimo) di One Piece voluta da Eiichiro Oda e quindi, nonostante qualche difetto, tutti all'arrembaggio. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Seberg - Nel mirino (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Biopic che si concentra sulla parte politica della vita dell'attrice Jean Seberg (interpretata e bene da Kristen Stewart), sulle sue battaglie per sostenere i diritti dei neri nell'America di fine '60 e sulla persecuzione da parte dell'FBI, un film "alla Eastwood" nel raccontare una storia americana in cui il governo martirizza esponenti e sostenitori politici con ogni mezzo. Ben tratteggiata (anche se il disagio emotivo dell'attrice è poco enfatizzato, si intuisce che ha dei cambi d'umore e dei momenti di depressione ma il problema è poco approfondito) la protagonista (con anche alcuni riferimenti alla sua carriera d'attrice), buono tutto il (valido e conosciuto) cast (anche se paiono sprecati sia Anthony Mackie che l'altro protagonista Jack O'Connell), ben fatta la messinscena, un modo per riscoprire un personaggio che molti forse hanno dimenticato e che tanti non conoscono. Certo, manca l'intrigo, manca la nota scura, è fin troppo lineare, ma è realizzato bene, non demerita, ha dei bei costumi anni '70 e la Stewart (oramai lontana fortunatamente dalla "Bella" che l'ha resa celebre, qui poi sensuale come non mai) che è molto in parte, offre una valida performance. Voto: 6 [Qui Scheda]

18 regali (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Lo stratagemma del titolo serve più che altro a confezionare un trailer che mette un po' di curiosità ma in realtà poi non è cosi importante. Il film (diretto da Francesco Amato di Lasciati andare) parla di un rapporto genitori/figli che è difficile da risolvere soprattutto se da una parte c'è un adolescente e dall'altra parte una giovane madre morta. Ma un semplice tunnel permette un salto temporale che rende la pellicola molto interessante (di certo non originale). Peccato che nel finale gli sceneggiatori commettano qualche errore che porta il film su livelli appena sufficienti pur avendo portato con sé buone speranze. Peccato anche perché il rapporto madre e figlia che si costruisce durante il film è molto empatico e coerente, merito delle lacrime ora trattenute ora rilasciate dalla Vittoria Puccini e dalla nevrosi giovanile di una buona Benedetta Porcaroli non ancora a livelli eccelsi ma che si sta costruendo una carriera (vista bene nel mediocre Tutte le mie notti). Nel complesso comunque, buon dramma familiare, oltretutto tratto da una storia vera. Voto: 6 [Qui Scheda]

Ritratto della giovane in fiamme (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Raffinata ed elegante pellicola che tratta anche l'amore saffico senza scivolare nel becero o in facilonerie ruffiane come spesso accade in trame del genere (il rapporto tra le due giovani protagoniste è dipinto in modo semplice e realistico, mai morboso). Lesinando nei costumi, negli arredi e nei paesaggi (con un minimalismo voluto e ricercato che quindi non distrae dall'accuratezza dei silenzi, dei dialoghi e degli sguardi), dilatando il tempo e lo spazio, si viene accompagnati dolcemente verso un epilogo passionale e commovente, di rara sensibilità. Merito della regia, certo (che è di Céline Sciamma), ma anche delle brave protagoniste (brava la Noémie Merlant di Un momento di follia, brava la Adèle Haenel di Pallottole in libertà e brava pure Valeria Golino). Un po' sforbiciato sarebbe stato notevole, e comunque la sceneggiatura mi è sembrata troppo scarna da potere nonostante ciò vincere il Prix du scénario al Festival di Cannes 2019, ma si sa, i premi sono prevalentemente opinabili. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Judy (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - La faccia più oscura dello star system della vecchia Hollywood. C'è lo splendore degli studios, la cosiddetta fabbrica dei sogni, ma c'è il rovescio della medaglia. Judy Garland ha fatto parte di quella fabbrica. Ha fatto sognare milioni di persone, appena adolescente, nel Mago di Oz, ma quando la gallina dalle uova d'oro non produceva più tante uova arriva la marginalizzazione. Ciò che si vede nel film è una Garland ormai spezzata nell'anima, spremuta totalmente da quel meccanismo da cui non più riuscita a riprendersi. La narrazione su piani paralleli differenti mostra quello stesso perverso meccanismo sia agli albori della carriera che al suo crepuscolo, ormai preda di alcool e dosi massicce di barbiturici, quest'ultimi fatali a soli 47 anni. Sia pure sostenuta dalla discreta interpretazione della Renée Zellweger, questo biopic fatica ad essere più di un biopic. La cura tecnica e l'allestimento della scenografia sono ineccepibili, ma manca quell'ulteriore approfondimento, allargare il contesto oltre la stessa protagonista, che esuli dal solito schematismo e la solita convenzionalità. Nel complesso il film biografico diretto da Rupert Goold (quello del non del tutto disprezzabile True Story), resta un film biografico. Ben costruito e dosato nelle emozioni, intrattiene e coinvolge fin dove può, e lascia alla Zellweger un Oscar non propriamente meritato. Voto: 6+ [Qui Scheda]

City of Crime (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Onesto poliziesco che sfrutta le suggestive location di Manhattan, girato tutto di notte (come accadeva in Run All Night) ed illuminato solo dalle luci della city e dalla polvere da sparo esplosa dalle canne di fucili e berette, City of crime racconta per l'ennesima volta il marcio all'interno del dipartimento di polizia. Lo fa con buon ritmo e strutturandolo in maniera tale da seguire la visione sino alla fine senza momenti di disinteresse (ne succedono di ogni ed è molto coinvolgente). Il complotto dietro alla rapina è facilmente intuibile sin dall'inizio quindi nessuna sorpresa, il finale mi ha colpito particolarmente, epica la sparatoria all'interno della casa dallo sfondo western. Chadwick Boseman (che qui interpreta un integerrimo detective che non si fa problemi a lasciare stecchiti i criminali) si conferma adatto per ruoli action (un dispiacere sapere della sua prematura dipartita, perché poteva regalare al cinema e al mondo ancora tanto), J. K. Simmons anche se si vede poco è sempre un piacere (vale lo stesso per Sienna Miller). Ed anche se il canovaccio è risaputo (la pellicola poi sembra ricalcare le orme del terzo Batman di Nolan, vengono chiusi tutti i ponti che collegano Manhattan alla terra ferma, da cui il titolo originale 21 Bridges, per cercare in tutti i modi di prendere i due fuggitivi responsabili della morte di sette poliziotti), resta un prodotto godibile. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Un piccolo favore (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Ha le vaghe sembianze del thriller, in fondo la storia (comunque non del tutto inedita) effettivamente è un thriller, ma è solo una patina per rappresentare una commedia nera che si svilupperà specialmente nella seconda parte fino ad una parte finale vicina al farsesco. Potrebbe sembrare un film poco riuscito, eppure riesce a giocarsi bene le sue carte in primo luogo nella costruzione dei personaggi e negli attori che li interpretano, adeguati al ruolo e giocando molto sui loro stereotipi che permette di scoprire le loro ambiguità e lati nascosti (a tenere in piedi il film sono infatti e soprattutto la bravura di Anna Kendrick ed il fascino fatale di Blake Lively). La filosofia di questo film (diretto dall'esperto Paul Feig) è proprio quella di creare un'apparenza per poi andare in direzioni diverse. Non è un capolavoro, questo è certo, tuttavia da apprezzare. Voto: 6 [Qui Scheda]

Jumanji: The Next Level (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Il precedente di qualche anno fa era un filmetto da poco, ma piacevole e con ritmo, un ottimo intrattenimento senza ambizioni. Filmetto che comunque aveva incassato un patrimonio. In Jumanji: The Next Level, tra action e commedia, ritroviamo gli stessi elementi che hanno caratterizzato Jumanji: Benvenuti nella giungla. Rivediamo una struttura rodata che non aggiunge particolari novità, che tende a non rischiare, rimanendo salda a determinate linee narrative se non per qualche scena. Una decisione che potrebbe ritorcersi contro se si decidesse di produrre un nuovo capitolo, come potrebbe far pensare la clip nei titoli di coda. Jake Kasdan torna alla regia di questo sequel dirigendo lo stesso cast del capitolo precedente con qualche new entry. Ed è proprio il cast ad essere uno degli elementi vincenti del film, complice anche l'aggiunta di attori quali Danny De Vito e Danny Glover che interpretano il nonno di Spencer, che con il suo amico Milo creano divertenti siparietti stile "La strana coppia". Se nel film precedente le tematiche erano legate esclusivamente ai ragazzi e ai vari problemi adolescenziali riflessi nei loro avatar, in questo episodio si affrontano anche tematiche più adulte. Non sempre convincono gli effetti speciali che esagerano in alcune scene, cercando di strappare qualche risata in più allo spettatore. In conclusione però, sequel godibile, porta sullo schermo una narrazione che a tratti risulta un déjà-vu del precedente capitolo, ma riesce comunque ad intrattenere e divertire. Voto: 6 [Qui Scheda]

Sorry We Missed You (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - Ennesimo film di Ken Loach (dopo Io, Daniel Blake e tanti altri prima) sulla mid class inglese. Anche questa volta il regista (che come Woody Allen sembra non cambiare mai) ci racconta uno spaccato di vita vissuta, tra precariato, soprusi lavorativi e problemi famigliari (questa volta mette sotto l'occhio della macchina da presa i lavoratori finti autonomi, in realtà dipendenti sfruttati che vengono fatti passare per tali per privarli dei diritti sociali ed addossargli ogni responsabilità aziendale), messi in evidenza con una certa forza emozionale che di certo suscita riflessioni e critiche. Egli infatti, ricalcando per l'ennesima volta una formula collaudata, riesce a far parteggiare per le difficoltà della famiglia Turner, in una pellicola ben fatta che però non rappresenta nulla di particolarmente innovativo od appassionante. A questo film difatti gli preferisco il precedente, ma migliore o meno, questo è un bel film, un film pure ben interpretato da un cast prevalentemente sconosciuto. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Jojo Rabbit (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/10/2020 Qui - L'orrore della guerra visto con gli occhi di un bambino era un'idea già vista ne "La vita è bella", a Taika Waititi (ormai non solo più regista di talento ma di livello) va comunque il merito di saper rendere questa storia surreale con la sua personale versione grottesca e buffa di Hitler. Attraverso il protagonista tira fuori le ideologie folli del nazismo, lo fa in un modo paradossalmente divertente. Il film (difficile da accettare nelle prime scene ma toccante e lirico nel finale) sa essere infatti ironico ma sa commuovere allo stesso tempo. I personaggi sebbene rappresentati in maniera caricaturali in una bella fotografia dai colori caldi e avvolgenti a voler sottolineare il tono quasi fiabesco sono comunque sempre spietati nazisti. Noi seguiamo il nostro JoJo muoversi in questo mondo con il ridicolo grillo parlante Adolf nel percorso di crescita per scoprire a come reagirà alla ferocia nazista. Questa è infatti e soprattutto la storia di un drammatico percorso di crescita di un bambino, il bisogno di essere accettato, la mancanza del padre e la necessaria ricerca di un modello. Tutto questo e di più raccontato con leggerezza ma fuggendo dalla banalità (di questo bisogna ringraziare doverosamente la sceneggiatura che, liberamente tratta dal romanzo del 2004 Il cielo in gabbia di Christine Leunens, ha pure vinto un Premio Oscar). Ottimi tutti gli interpreti (dall'esordiente Roman Griffin Davis bravo ad interpretare il piccolo protagonista come Thomasin McKenzie quello della ragazza ebrea fino ai più navigati Sam Rockwell e Scarlett Johansson) e bravo il regista a dirigerli. Bella scelta musicale con i Beatles e David Bowie in tedesco. E insomma gran film, un film bello ed emozionante. Voto: 7,5 [Qui Scheda]

martedì 20 ottobre 2020

Il pasto nudo (1991)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/10/2020 Qui - Il limite di questo film di David Cronenberg è quello che per essere apprezzato appieno richiede una buona conoscenza dell'opera e della vita dello scrittore William Burroughs (il film è infatti ispirato al romanzo Pasto nudo dello scrittore statunitense, nonché alle reali circostanze in cui Burroughs scrisse a Tangeri il suo romanzo). Chi, come il sottoscritto, non ha queste basi, rimarrà sicuramente spiazzato di fronte a quest'opera che comunque ha un fascino indiscutibile ed è prova autoriale al di fuori di ogni dubbio. Notevoli difatti le ambientazioni, non dozzinali le atmosfere, affascinante nella sua messa in scena tra buoni (e repellenti) effetti speciali e una bella colonna sonora, ma il film è sostanzialmente bloccato su una piccola idea che non riesce a maturare. E' tutto un girare intorno ad una sorta di fissazione verso il debordo delle cose, verso l'allucinazione, che ha consistenza formale, ma si guarda bene dal tentare di averne una sostanziale. Così rimangono in mente gli effetti e l'estetica della storia. Manca l'etica, che non è morale, bensì è logica, è critica ragionata, metabolizzata, di quel che si intende comunicare. Stando così le cose, inevitabilmente la sceneggiatura è ambigua, pesca da Burroughs, ma interpreta a proprio modo, limitandosi tuttavia a ripetere slogan verbali e visivi, a quanto pare con l'aiuto dello scrittore stesso, per ragioni commerciali. Alla lunga il gioco stanca, si avverte un'impotenza a comprendere ciò di cui si tratta (il difetto maggiore sta nella sua scarsa linearità, che lo rende appunto tutt'altro che facile da seguire e sicuramente per nulla divertente). E anche una certa indifferenza verso l'esito delle rappresentazioni (perché insomma il film è molto letterario e poco cinematografico, e non mi ha esaltato per niente). Attori a posto (ottimo Peter "Robocop" Weller, discreti gli altri, tra cui Ian Holm, che ci ha lasciati poco tempo fa, Roy Scheider, scomparso da una decina d'anni, e Judy Davis), forse un po' piatti, comunque buona fluidità narrativa nella prima parte. Delirio allucinato "bello" ma difficile quindi, film importante ma eccessivamente metaforico, astruso, sovraccaricato. Voto: 6 [Qui Scheda]

Brood (1979)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/10/2020 Qui - Ancora ossessioni, ancora mutazioni, il corpo che si ribella all'individuo, la mente che cova rancori e plasma tumori purulenti, l'angoscia di un nuovo morbo psicologico che si fa carne viva e sanguinante. Un David Cronenberg nero ed angosciante, il cui la sensazione di malessere e disagio dei primi due lavori (sempre del filone body horror) è sostituita con una chiara percezione di impotenza. Anche questa volta ci troviamo di fronte ad un B-movie dalle idee geniali e dalla trama intrigante, girato con un bassissimo budget che non impedisce al regista di parlarci dei temi a lui tanto cari che anche in questa pellicola assumono una dimensiona simbolica e metaforica. Questa volta l'analisi del cineasta canadese si concentra appunto sulle emozioni della mente umana, e di come queste possano concretizzarsi in maniera positiva o negativa a seconda dei pensieri dell'individuo. Infatti la storia vede come protagonista una donna, Nola, che per problemi psichiatrici è stata ricoverata in un centro e sottoposta ad un trattamento che, appunto, riesce a rendere reali le emozioni della donna, con conseguenze devastanti. Il tema delle emozioni rese reali è davvero geniale, e il regista è bravo a rendere (disgustosamente) orrorifica questa idea fantascientifica con il suo classico tocco visionario. Quindi ancora una volta il regista si conferma all'avanguardia nelle idee e nel realizzarle, e in questo caso è anche supportato da un cast all'altezza, dove spicca soprattutto una straordinaria e inquietante Samantha Eggar nel ruolo di Nola. Purtroppo non sono tutte rose e fiori, in quanto Brood (più La covata malefica oppure The Brood) pecca di una lentezza eccessiva, che per un'ora rende prolissa la pellicola, inoltre la carenza di soldi si nota nella qualità tecnica complessiva e nella scelta degli attori di contorno che sono effettivamente poco credibili (non tanto Oliver Reed, quanto Art Hindle). Fortunatamente dopo una prima parte molto lenta abbiamo un finale impressionante, che rende quindi questo film, un film in piccola parte sopravvalutato ma allo stesso tempo un film da vedere per gli amanti dell'horror e specialmente del regista canadese, un valido prodotto di genere. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Rabid - Sete di sangue (1977)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 20/10/2020 Qui - Secondo significativo lungometraggio (dopo il più riuscito Il demone sotto la pelle, di cui questo può considerarsi come una sorta di versione extended) diretto con certo stile da un regista ossessionato dal sangue e dal corpo. David Cronenberg mantiene infatti, nel tempo, una sua particolare visione del cinema fantastico connotandolo spesso di significati morali e, a suo modo, educativi. Perché Rabid, con la sua centralità del contagio tramite sangue e saliva (l'apertura sotto l'ascella della protagonista, che tutti avranno capito cosa il regista voleva far ricordare, ricomparirà anche in eXistenZ) non anticipa forse l'imminente scoperta del morbo dell'AIDS (ufficialmente annunciata nel 1981)? Domanda pleonastica, così come è scontato il messaggio che il regista sembra voler lanciare contro i rapporti occasionali (non a caso sceglie come protagonista principale una famosa pornostar) e le possibili conseguenze che portano a malattie sessualmente trasmissibili. E, ancora, non è forse un sintomo di sfiducia nei confronti dell'istituzione medica la figura del dott. Keloid che, testando un nuovo tipo di trapianto, è la causa scatenante dell'epidemia? Pur essendo evidente una continuità con il film precedente (il già menzionato Shivers) e con quelli successivi, nonché un taglio narrativo e una cifra stilistica che definiscono la regia come qualcosa di estremamente personale, appare evidente come qui Cronenberg subisca l'influsso del più celebre (all'epoca) George A. Romero: per come propone gli infetti (sorta di zombi deambulanti e con bava alla bocca) e per un secondo tempo claustrofobico e ossessivo con la messa in quarantena dell'ospedale e (in progressione) con la presenza di forze dell'ordine in tute di contenimento biologico che rimandano, per associazione, a La città verrà distrutta all'alba. In conclusione, e con evidenza di un budget molto contenuto, il risultato finale supera le aspettative per la valida regia di Cronenberg, in grado di ottenere il massimo dallo staff tecnico (notevoli un paio di incidenti autostradali) e soprattutto dagli attori: la sfortunatissima Marilyn Chambers dimostra qui di essere stata ingiustamente assorbita dal mercato a luci rosse, quando avrebbe meritato un ruolo più costante nel cinema "normale". Non perfetto ma buon film. Estremo e non per tutti, ma con momenti memorabili. Voto: 7 [Qui Scheda]

David Cronenberg Filmography - Parte 2

Post pubblicato su Pietro Saba World il 20/10/2020 Qui - Le mie promesse cinematografiche giungono quasi al termine, questo è finalmente infatti il mio penultimo appuntamento (la lista eccola qui), un appuntamento in cui ritorno a parlare della cinematografia di David Cronenberg, con un altro (ovviamente) ciclo di visioni, ciclo, a questo giro, contenente tre pellicole. Pellicole che, aggiungono certamente valore ad una cinematografia stilisticamente affascinante e narrativamente intrigante, e già pregna di significato. Una cinematografia di cui, dopo queste e le altre/scorse visioni (che trovate qui), continuo a preferire La mosca come il suo punto più alto, seguito da Il demone sotto la pelle ed eXistenZ, insieme a La promessa dell'assassino. Ma, preferenze a parte o giudizi oggettivi che soggettivi, ecco com'è andata questa volta.

lunedì 12 ottobre 2020

It Comes at Night (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Film che si inserisce nel filone della narrazione di futuri distopici con il mondo al collasso per una misteriosa epidemia (che ricorda una specie di peste bubbonica). Non c'è traccia di spiegazioni di quanto stia avvenendo e la vena horror stessa è molto limitata (l'horror puro viene rilegato alla sfera del sogno, con uno stratagemma abbastanza sdoganato della regia, quest'ultima di Trey Edward Shults). Quindi in realtà si assiste ad un film che si pone come obiettivo quello di descrivere ansia, senso di claustrofobia, senso di oppressione, alienazione dal vivere in una realtà inumana. Purtroppo però non riesce a trasmettere nulla di potente in nessuna della tematiche che prova a sfiorare (complici anche alcuni elementi della trama buttati a casaccio e non sufficientemente approfonditi, che fanno inoltre perdere la voglia di prestare attenzione) ed il risultato è la sensazione di assistere ad un minestrone dei cliché del genere "catastrofista", tutto già visto, tutto abbastanza spento. Peccato (personalmente è infatti un'occasione sprecata) perché si poteva fare di meglio con un pochino di inventiva e controllo in più specialmente nel lungo e confusionario finale. Discrete le prove degli attori (su tutti Joel Edgerton, bravo nel trasmettere allo spettatore ansia), e per una volta si può dire che l'attore cane è stato il migliore. Voto: 5+ [Qui Scheda]

C'era una volta in America (1984)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Non avevo ancora avuto l'occasione di omaggiare Ennio Morricone, così quando c'è stata la possibilità di rivedere questo film non c'ho pensato due volte. Tuttavia non so quale versione sia stata trasmessa in tv, ma grazie a Sky ho potuto rivederlo nella sua versione estesa nonché restaurata, dalla durata record di 4 ore, ed è stato qualcosa di incredibile. C'era una volta in America, che definirlo un gangster-movie risulta in fondo riduttivo quanto non debitamente appropriato, diretto da uno dei più grandi registi italiani di tutti i tempi (che ha saputo raccontare l'America meglio degli americani stessi), è uno di quei 9-10 film talmente belli che è quasi un dispiacere giudicarli e commentarli. Comunque, nella versione completa, con le parti ritrovate ed aggiunte, il film acquista ancora di più le sembianze di una grande epica di un'amicizia nata e tramontata nell'America del proibizionismo, salvo sfociare in un finale bello e ammantato di mistero, in bilico tra realtà e fantasia. La precisione nel dettaglio di Leone è forse, insieme alle (straordinarie) musiche di Ennio Morricone (una in particolar modo), la principale nota di merito di un film (anche gli attori però fanno la loro parte, fra i grandi Robert De NiroJames Woods e altri, convincono anche le donne, soprattutto Jennifer Connelly da piccola è di una dolcezza unica, assolutamente deliziosa) la cui lunghezza certo non ne agevola la visione se non a più riprese, e rende a volte frammentario il racconto. Resta però un film che ha fatto scuola, una sorta di grande romanzo che voleva essere anche un omaggio di Sergio Leone ad una visione del cinema come grande incubatore di racconti e di atmosfere. Ma qualunque cosa voleva essere, è stata ed è, anche così (e nonostante piccoli difettucci), rimane una gioia per gli occhi, per le orecchie, e in qualche parte per il cuore. Voto: 8,5 [Qui Scheda]

Cosmos (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Da Andrzej Żuławski, il regista dell'iconico Possession, non ci si può che aspettare che un film surreale, sconclusionato, citazionista e imprevedibile come questo qui. Un film, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore polacco Witold Gombrowicz, recitato in francese (e disponibile con i sottotitoli), che però tuttavia irrita non poco, perché (troppo) sopra le righe (come le interpretazioni), troppo frenetico e vagamente sconnesso. E' ben difficile capire infatti cosa succeda e, più in generale, di cosa si parli nel testamento cinematografico (è questa la sua ultima opera prima della scomparsa nel 2016) del regista polacco: il tentativo di prendere una storia del tutto banale (la misteriosa impiccagione di un passero) e astrarla sino al punto di non ritorno è sicuramente interessante, ma il rischio concreto è quello di rimanere vittima di un ritmo sonnolento, di un fiume di parole, del fuoco incrociato di citazioni esplicite e dissimulate. Forse è "solo" cinema che parla di cinema, come sembrerebbe suggerire lo spiazzante finale, però chissà, dopotutto come suggerisce il titolo, ci si può vedere tutto e niente in Cosmos (o niente). Io di certo so che in questo noir bislacco (pseudo intellettuale) ho trovato la noia. Voto: 4,5 [Qui Scheda]

The Flu - Il contagio (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Se fosse stato realizzato di questi tempi si sarebbe parlato di film ispirato a fatti realmente accaduti, sorprende infatti questo catastrofico sudcoreano per le similitudini con ciò che stiamo vivendo oggi con il coronavirus, ma è invece tutto frutto dell'immaginazione del regista Kim Sung-su che nel 2013 dirige questo film su di un virus mortale altamente infettivo, rapido e letale, che costringe la popolazione alla quarantena e il governo all'intervento dei militari per stroncare rivolte e contenere una situazione sul punto di precipitare. Il guaio arriva proprio quando la situazione precipita, perché dopo una buona partenza (il metodo di contagio e via dicendo), il film, condito oltretutto dal (quasi ridicolo) dramma di una mamma alla ricerca della sua bambina (ben più insopportabile di quella di Train to Busan, colpa anche del doppiaggio infimo) e di un vigile che tenta di aiutarla, sbraca totalmente, esagerando inverosimilmente (a livelli di Hollywood, o peggio), finendo addirittura in burla (la postilla finale nel bel mezzo dei titoli di coda ci coglie di sorpresa e mette più paura delle due ore e passa di pellicola). Ed è un peccato, perché l'inquietudine c'era, le scenografie erano buone così come alcune scene d'azione o di massa, ma forzature ed assurdità l'hanno depotenziato, finendo per far risultare il film perlopiù sfiancante. Voto: 5,5 [Qui Scheda]

Sulla mia pelle (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Alessio Cremonini, al suo secondo film, traspone il caso di Stefano Cucchi. Lo fa attenendosi ai fatti, ricostruendo in maniera imparziale come andarono le cose, almeno stando a quanto conosciuto, perché la verità assoluta se l'è portata con sé il povero Stefano, ragazzo che ha commesso tanti errori nella sua vita che però non giustificano la brutta fine con cui il destino lo ha segnato. Infatti, il film non tende ad enfatizzare il personaggio di Cucchi, a renderlo un povero agnellino sacrificato all'altare della giustizia italiana, bensì, mostra anche i suoi errori, i dinieghi alle cure, qualche testardaggine di troppo che se non perseguita gli avrebbe risparmiato tante sofferenze. Dall'altro però c'è lo stato italiano, diviso tra chi lo ha riempito di botte, persone oneste che hanno tentato di aiutarlo e quanti non sono stati abbastanza zelanti nel proprio lavoro. Tuttavia, il risultato complessivo non mi ha molto convinto. La sceneggiatura è molto scarna e carente e la fedeltà alla vicenda, se da un lato è un pregio, dall'altro appesantisce troppo la trama. Anche altre scelte del regista (il non mostrare direttamente le violenze subite) rendono la struttura narrativa troppo farraginosa, ripetitiva e noiosa, più simile a quella di un documentario che a quella di un film. Bene invece gli interpreti, soprattutto il protagonista, l'espressivo Alessandro Borghi che con un grande linguaggio del corpo riflette le sofferenze degli ultimi e tormentati giorni di Stefano. Nel complesso comunque, qualcosa di più di un medio prodotto televisivo, ma dignitoso e capace. Voto: 6 [Qui Scheda]

1945 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Attraverso il genere, il racconto di come l'avidità prima uccide l'anima e poi le persone. L'arrivo di due ebrei in un villaggio ungherese fa riemergere le vicende legate all'Olocausto: come angeli della morte, il loro muto camminare per le strade condanna senza parole e le dinamiche fra coloro che dalla deportazione avevano guadagnato, saltano minate dai sensi di colpa. L'incedere della narrazione è incalzante e progressivamente cresce in maniera sensibile l'inquietudine degli abitanti del villaggio. E' un momento storico incerto, tra la cacciata di vecchi invasori e la venuta dei nuovi, ma come detto è la coscienza nera che viene a galla, la tematica principale che sta più a cuore al regista, di Ferenc Török. Lui che sceglie il bianco e nero e fa bene, ci rammenta i vecchi album di famiglia e c'infonde conforto prima di toglierci abilmente l'aria con personaggi quasi grotteschi, schiacciati da paure auto-inflitte. La forza della pellicola risiede nel suo tocco gentile, negli infiniti dettagli e nel suo silenzio. Un silenzio che favorisce la suspense, che amplifica la sottile e affilata ironia, che ci regala le inquadrature migliori. Un silenzio garbato e mai scontato, funzionale all'esplosivo epilogo e a mantenere la quiete necessaria per non dimenticare il passato, per riflettere sul presente e per (si spera) diventare esseri umani migliori. Perché in breve, 1945 è un film elegante oltreché fine e necessario. Senza la potenza de Il figlio di Saul, ma una riuscita visione dell'argomento da una diversa prospettiva. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Tokyo Family (2013)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Se con Kyoto Story l'omaggio era legato a un periodo felice della cinematografia nipponica, con Tokyo Family in maniera più diretta si celebra il Cinema di Yasujirō Ozu, di cui Yōji Yamada in gioventù fu assistente, il film è infatti il remake di Viaggio a Tokyo del grande regista nipponico, considerato non solo uno dei migliori esiti della Settima Arte giapponese ma in assoluto uno dei film "da vedere" del Cinema tutto. Il taglio è intimista, se nell'originale i protagonisti uscivano dagli orrori della guerra mondiale e della bomba atomica qui la vicenda è ambientata dopo l'incidente nucleare di Fukushima, la tragedia non è al centro del film, la narrazione si concentra sui rapporti dei vari membri della famiglia Hirayama, tratteggiandone alcuni passaggi di crescita, di maturazione, riflettendo parallelamente sulla società moderna giapponese, sui suoi ritmi, sul contrasto tra questa e uno stile di vita sorpassato, ormai appannaggio di pochi anziani, più lento e rispettoso dell'essere umano. Dallo spaccato di una famiglia si arriva a temi universali propri non solo del Paese del Sol Levante. E infatti, attraverso una sapiente e bilanciata oscillazione tra poietico e poetico, tra forma e contenuto, Tokyo Family si conferma un delicato e allo stesso tempo terrificante ritratto delle società di ieri, di oggi, e di domani. In questo la regia è diligente, si prende i suoi tempi (146 minuti), li gestisce al meglio senza mai far affiorare un attimo di noia. Ci si appassiona (e ci si emoziona) alle vicende semplici di questa famiglia, bel film. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Sole alto (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Che film di sorprendente fisicità, riuscirebbe a catturare lo spettatore solo e semplicemente per la bellezza delle immagini che lo trascorrono, per i suoni spesso struggenti, ora violenti e ora amplificati che conquistano. Riuscirebbe a catturare lo spettatore solo per le facce degli attori (i due ragazzi protagonisti delle tre storie hanno i medesimi interpreti) che restituiscono una generazione idealista, coscenziosa, eppure ferita e lacerata da una guerra insostenibile (Goran Markovic e Tihana Lazovic due giovani talenti). Eppure ci sono anche tre storie scritte molto bene, tutte legate ai conflitti serbo-croati e all'amore che riesce a condizionare gli eventi, ad accendere un faro sulla stupidità della guerra e i suoi effetti devastanti. La soluzione proposta dal film (premiato a Cannes, diretto da Dalibor Matanić) è quella del perdono. Un perdono che a volte è un processo che va iniziato quasi per necessità sapendo che sarà un percorso difficile e allo stesso tempo l'unico modo per sperare che le cose cambino. Non fa il salto sfortunatamente (manca qualcosa), ma fa sempre piacere imbattersi in un titolo così originale e ispirato, che fa riflettere e rimane discretamente impresso nella mente e nel cuore. Voto: 6,5 [Qui Scheda]

Brawl in Cell Block 99 (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Ho visto Bone Tomahawk poco tempo fa, e si capisce decisamente che S. Craig Zahler ha un suo stile ben definito, silenzi, e lunghi respiri tipici dei fratelli Coen ed improvvise accelerazioni splatter, che ti lasciano decisamente spiazzato, ma che comunque si riescono a tollerare (almeno per me). Passiamo al film, a me è piaciuto, soprattutto perché non sono abituato a vedere il "grandissimo" e simpaticissimo Vince Vaughn alle prese con tale ruolo, devo dire che l'ho molto apprezzato in questo ruolo non consono alle sue solite caratteristiche (anche gli altri ho apprezzato, dal luciferino Udo Kier, alla sensuale androgina Jennifer Carpenter fino al redivivo Don Johnson). Il film nel suo complesso mi ha intrattenuto e nonostante alcune parti rallentate, non mi ha mai stufato, anzi, ti prepara a quello che viene dopo, e qui si vede la mano e la tecnica del regista (che attendo al varco nel terzo suo film prossimo alla visione). Brawl in Cell Block 99 è infatti un film di genere alquanto atipico, come lo era l'opera precedente di Zahler, che spicca il volo non appena la storia si sposta dentro l'inferno carcerario ed i suoi vari gironi che il protagonista si troverà a fronteggiare in un'opera sistematica di demolizione del corpo, fra arti spezzati e teste maciullate (pregevoli i contributi tecnici, fotografia e musica in primis). Proprio non male. Voto: 6+ [Qui Scheda]

Loveless (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Dopo LeviathanAndrei Zvjagincev (nuovamente anche grazie ad Oleg Negin) conferma la potenza del suo cinema di denuncia dei mali della Russia contemporanea con una storia che vede al centro la scomparsa di un ragazzino, vittima dell'assenza di amore. Il regista ritrae in modo impietoso le debolezze dei due genitori separati, concentrati affannosamente nella ricerca della propria felicità in modo superficiale e immaturo, insensibili ai bisogni del figlio. Un quadro agghiacciante, molto realistico, senza sconti. Un film di un nero pece indescrivibile nel quale nessun personaggio fa una figura dignitosa. Curiosamente ambientato a ridosso della previsione fallace sulla fine del mondo prospettata dai Maya, il regista mette appunto alla berlina la deriva iperindividualista dell'uomo volenteroso unicamente di soddisfare il proprio bene, fregandosi dell'altro anche se si tratta del proprio figlio. Dialoghi di una crudeltà che mette imbarazzo, ben sorretti da un cast scelto ottimamente (la madre Mar'jana Spivak su tutti). Nella pletora di "mostri", sicuramente il peggiore è la nonna. Forse esagerata l'efficienza della squadra di volontari rispetto all'assenza delle figure istituzionali, ma la narrazione rimane comunque valida, ed anche se soprattutto nella parte finale, ha qualche lungaggine di troppo che ne depotenzia e ridimensiona l'estetica, rimane efficace. Voto: 6 [Qui Scheda]

Sing Street (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 12/10/2020 Qui - Pur di far colpo su una ragazza (la Lucy Boynton di Bohemian Rhapsody) di un anno più grande di lui, il quindicenne Conor (all'epoca esordiente Ferdia Walsh-Peelo, poi una particina in Vikings) mette su una band musicale: un progetto nato quasi per caso, che si trasforma in un'enorme opportunità per fare fronte al bullismo di qualche compagno, al dispotismo del direttore dell'istituto scolastico e ai continui litigi tra padre e madre. Dopo l'acclamato e toccante Once, l'irlandese John Carney (che ha musica nel cuore, questo è il terzo dopo il discreto Tutto può cambiare e quel bellissimo film vincitore di un Oscar per la struggente canzone Falling Slowly) gira un film sotto forma di racconto di formazione che è un tributo alla musica pop degli anni '80 (quella che vide affermarsi gruppi come i Duran DuranSpandau BalletHall & OatesThe Cure e i Clash, tutti infilati nella colonna sonora) carico di leggerezza e ottimismo. Sing Street è infatti un teen movie sentimentale che concede moltissimo spazio alla musica, puntando sulla metafora di Londra come terra promessa per gli irlandesi che all'epoca se la passavano piuttosto male. Se la parte di film ambientata a scuola o quella che dà conto delle prove per le canzoni e per i video (siamo in piena esplosione del videoclip musicale) possono dirsi assai originali e pienamente riuscite, altrettanto non può dirsi per la lunga sotto-trama sentimentale, che si avventura in un pistolotto sul riscatto del fratello maggiore del protagonista (interpretato da Jack Reynor), che vive indirettamente l'affermazione di quest'ultimo. Tuttavia bel film, una storia delicata, ben interpretata da giovani attori (non solo i due protagonisti), e soprattutto ben musicata, anche da brani del tutto nuovi e molto suggestivi composti appositamente per il film. Un film onesto, sincero, musicalmente (ma non solo) delizioso. Voto: 7 [Qui Scheda]

lunedì 5 ottobre 2020

La mia Africa (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2020 Qui - Un film che fa parte di quel filone hollywoodiano di kolossal sentimentali, un genere intramontabile che sia Casablanca o Via col ventoBalla coi LupiRitorno a Cold Mountain o Australia, cambiano le storie (nemmeno più di tanto) ma in realtà è la solita formula collaudatissima che non conosce crisi e soprattutto epoca. Ecco, forse è proprio questo il grande limite de La mia Africa, l'essere un grande film, grande in tutto ma inevitabilmente costruito sui cliché del genere (confezionato apposta per strappare lacrime agli animi più sensibili). Non c'è nulla di nuovo, tutto è prevedibile, tutto è scontato. Va detto però che le superbe interpretazioni, la splendida regia e i paesaggi mozzafiato non possono essere liquidati come secondari e soprattutto il ritmo, che è sostenuto, non fanno di questo film il classico mattone, sebbene possa dare questa idea. Sopravvalutato sì, eccessivi parrebbero i 7 Oscar vinti, soprattutto ripensando ai film di quell'anno (robine proprio niente male), ma non si può certo dire che sia un brutto film. La mia Africa infatti, ispirato all'omonimo romanzo autobiografico di Karen Blixen (la storia è quella di una giovane nobildonna danese che, stanca delle buona società europea, decide di andare in Africa per celebrare un matrimonio di interesse con un amico, ma l'unione, benché fallimentare, si rivelerà veicolo di un duplice amore, tanto inatteso quanto dirompente), diretto da un bravo mestierante quale Sydney Pollack (ricordate Tootsie vero?), che proprio grazie a questo film vincerà l'unico Oscar per la miglior regia, è indubbiamente un bel film. Un film in cui fotografia e scenografia ci mostrano tutta la bellezza della natura africana ed in cui Meryl Streep si erge come un colosso micenico, il suo mito perpetua da questo punto, lei che giovane attrae, lo spettatore ma soprattutto Robert Redford, qui nei panni del classico solitario piacione. Una nota di merito spetta poi alle musiche di John Barry che, col loro mix di classico ed etnico, rendono perfettamente la sensazione di incontro-scontro tra culture che il regista vorrebbe trasmettere. Volendo infine fare un rilievo critico, va detto che, come in gran parte del western filo-indiano, l'immagine dei cosiddetti "selvaggi" è eccessivamente semplicistica, troppo appiattita su una manciata di stereotipi buonistici ai quali, quando si parla di Africa, è arduo sfuggire. C'è da dire infine che dalla storia romanzesca qui presente mi aspettavo certamente un maggior coinvolgimento (in certe parti poi ci si perde un po' via), ma in linea di massima indubbiamente meritevole, non di tutti quegli Oscar, ma di farsi guardare, soprattutto dagli animi romantici. Voto: 7 [Qui Scheda]

Stuff - Il gelato che uccide (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2020 Qui - Altro esempio di cinema classico anni '80, quello del B-Movie, anche se The Stuff sembra essere uscito dritto dritto da un drive in degli anni '60, ad opera di un altro regista, Larry Cohen, che del genere è quasi un pioniere. Anche lui come Stuart Gordon recentemente scomparso, lui che da un'idea geniale e idiota al tempo stesso (il film ha infatti un "protagonista" assolutamente inconsueto di cui, per essere il più possibile benevoli, si può dire che è piuttosto inespressivo e anche piuttosto freddino, si tratta difatti di un...micidiale dessert alieno venduto, chissà come, nei fast food...), sforna un horror abbastanza divertente che vuole anche essere una critica alla pubblicità e al suo effetto sulla popolazione. E in tal senso, codesta critica alla società consumistica (americana) funziona, così come lo sberleffo alla politica, alle forze militari. Essendo un tipico film a bassissimo costo, gli si perdona qualche ingenuità di sceneggiatura e qualche prova recitativa appena appena decente (nonostante la presenza, come special guest star, del bravo Danny Aiello), ma alcune situazioni sono talmente ridicole e dementi che è impossibile non ridere, così tanto che il grottesco prende il sopravvento e il film non riesce a spaventare neanche quando dovrebbe o potrebbe. Non che sia quello il suo obbiettivo, però troppo virato al trash, seppur è proprio questo a dare alla pellicola una certa valenza. Una pellicola ingenua, divertente, con qualche effetto speciale piuttosto simpatico (alcuni di questi tuttavia, addirittura disgustosi, ma niente comunque in confronto a Cronenberg). Molto bravo il "giullare" Michael Moriarty, convincono poco gli altri (tra i tanti ecco spuntare Garrett Morris, l'Earl di 2 Broke Girls), soprattutto il bambino, penalizzato, peraltro, da dialoghi banali. Il finale scade un po' per l'eccessiva velocità con cui tutto si risolve (peccato per qualche buco di sceneggiatura), ma in generale i toni sono piuttosto leggeri e ironici, rendendo godibile la visione. Concludendo, The Stuff è un'opera sufficiente (messa in scena e regia, peraltro, non da ricordare), paradossalmente anche per merito di una sceneggiatura non di esclusivo intrattenimento. Voto: 6 [Qui Scheda]

Phenomena (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2020 Qui - Un discreto film che, nonostante gli evidenti (immancabili) difetti di sceneggiatura, riesce a trasmettere fin dal primo minuto un elevato senso di angoscia e terrore, riconfermando l'incommensurabile genialità creativa di Dario Argento. Siamo sicuramente lontani dal livello di Profondo Rosso e soprattutto di Suspiria, ma Phenomena è comunque un bel film, un film dai contenuti interessanti (la diversità in primis) e con una discreta componente horror/splatter. La regia di Argento è memorabile (specialmente nella scena iniziale), così come la fotografia e la scenografia, elementi di spicco di quasi ogni suo film (il regista decide di ambientare tutto in una maestosa e sinistra scuola immersa nei selvaggi boschi svizzeri e questa scelta risulta vincente per trasmettere un senso di pericolo e solitudine perenni, è vero che questa impostazione potrebbe ricordare l'ambientazione di Suspiria molto da vicino, ma in questo caso vale il detto "squadra che vince non si cambia"). Degne di nota anche le prove attoriali, specialmente quella di Jennifer Connelly (già talentuosa e bellissima all'epoca, qui alla prima prova da protagonista), con Donald Pleasence che gli fa da spalla con consumato mestiere, mentre Daria Nicolodi non riesce del tutto a caratterizzare in maniera convincente un personaggio volutamente eccessivo e Dalila Di Lazzaro è relegata a un cameo tutto sommato inconsistente, oltre ad essere doppiata da un'altra attrice. Gli unici difetti di questo buonissimo film sono, come precedentemente detto, la sceneggiatura a tratti scricchiolante, ma comunque ben sviluppata (la trama infatti, malgrado assurdità clamorose e qualche rallentamento nella parte centrale, risulta piacevole e accattivante e vive il suo picco nel delirante finale terrorizzante e strampalato allo stesso tempo), il doppiaggio così così, e soprattutto la scelta di alcuni brani musicali (prevalentemente heavy metal) per niente attinenti alle scene dove sono stati inseriti. La colonna sonora dei Goblin, invece, è come sempre di un livello superiore alla media. In conclusione proprio non male questo film, un film di grande impatto e dalle idee interessanti che sa regalare (ancora) sani brividi. Voto: 7 [Qui Scheda]

Re-Animator (1985)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/10/2020 Qui - Un film che avevo indubbiamente voglia di vedere, un po' per il regista Stuart Gordon mancato mesi fa e un po' il fatto che il film sia tratto dal racconto del 1922 Herbert West, rianimatore dello scrittore statunitense H. P. Lovecraft (ultimamente presenza fissa qui sul blog, persino nei videogiochi). Altri motivi sono, che è un film del 1985 ed è essenzialmente un B-Movie (roba che ogni tanto sempre piacevole è vedere). Il regista prende infatti uno dei più famosi racconti del solitario di Providence adattandolo ai "giorni nostri" e aggiungendo elementi per raggiungere una durata da lungometraggio, scegliendo il racconto che più si avvicina a quello che era il canone dei tempi (i film di zombie o di vampiri, meglio se spaziali come Space Vampires, stessa pasta), ne esce un buonissimo film, con buoni effetti e buone interpretazioni, che pur non essendo un capolavoro si è guadagnato nel tempo il titolo di cult. E credo giustamente, proprio perché il film d'esordio di Stuart Gordon penso rappresenti uno dei più felici esempi di quel filone del cinema dell'orrore anni '80 caratterizzato da un grande dispiego di effetti speciali artigianali, rudimentali quanto efficaci, e da una certa inventiva a livello visivo che, unita ad una trama bizzarra e fantasiosa, assicuravano un certo divertimento, pur contenendo comunque un minimo di riflessione etica. Re-Animator tuttavia non si prende mai sul serio, e questa è probabilmente la carta vincente. E in tal senso la regia non è soltanto funzionale ma azzeccata, perché offre alcune inquadrature che colpiscono nel segno (le trovate malsane degli ultimi 30 minuti poi, elevano il film a vette interessanti). Gli attori quasi tutti sconosciuti recitano parecchio bene per essere un B-Movie, e in particolare è efficacissima l'interpretazione di H. West da parte dell'attore Jeffrey Combs, che qui appare come il classico nerd americano ossessionato da questi studi sul cervello umano che senza farsi troppi problemi vuole arrivare in fondo al suo esperimento. Parlando di quello che non mi è piaciuto devo sottolineare una sceneggiatura a tratti brillante e a tratti ci sono dei buchi imbarazzanti, che però non pregiudicano la discreta fattura di questa pellicola, una pellicola, mix tra un horror-splatter con un pizzico di thriller e qualche scena trash veramente indimenticabile (una su tutte, chi l'ha visto sa), che seppur mostra qualche lieve ruga dell'invecchiamento, merita di essere vista, soprattutto dagli amanti del genere. Voto: 7 [Qui Scheda]

Bellissimi coetanei (1985 Movies)

Post pubblicato su Pietro Saba World il 05/10/2020 Qui - In occasione del Tag sui bellissimi coetanei cinematografici dello scorso anno, che consisteva nell'elencare i miei 10 film preferiti del 1985, l'anno della mia nascita (eccolo qui), ammettei, anche nominandoli, che alcuni titoli, anche importanti, di quell'anno, non avevo ancora visto. E così presi un impegno nel vedere quei film, recuperare appunto certi film da molti considerati cult o semplicemente bellissimi film. Di questi alcuni ho visto durante quest'anno appena trascorso (era luglio 2019), e sicuramente continuerò a vedere in futuro, tuttavia in questa occasione ne ho raggruppati quattro, due scelti già all'epoca e due, di cui ne ho sentito parlare in quest'ultimo periodo, aggregatosi successivamente, tutti comunque visti nei giorni scorsi. Nessuno mi ha troppo entusiasmato, ma contento di averli visti.

Phenomena (1985)
Re-Animator (1985)
Stuff - Il gelato che uccide (1985)
La mia Africa (1985)