martedì 29 ottobre 2019

Bohemian Rhapsody (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/10/2019 Qui
Tema e genere: Pellicola biografica musicale che ripercorre i primi quindici anni del gruppo rock dei Queen, dalla nascita alla consacrazione.
Trama: La carriera e la vita di Freddie Mercury, dal suo incontro con quelli che poi sarebbero con lui diventati i Queen, all'apoteosi del Live Aid.
Recensione: Sono un fan dei Queen da quando ho memoria, ma anche se non lo fossi stato, penso che Bohemian Rhapsody fosse (ed è) un film che serviva. Freddie Mercury e i Queen con le loro canzoni bellissime e la loro musica innovativa hanno conquistato generazioni, e pertanto si tratta di un omaggio, un tributo dovuto e che molti fan attendevano da anni. Il rischio semmai era proprio questo, ovvero disilludere le aspettative giustamente alte del pubblico, che pretendeva un film verosimile, con attori credibili e aderenza alla realtà, in grado di far rivivere determinate emozioni agli spettatori più "vecchietti" e conoscere e far apprezzare questo incredibile gruppo alle nuove generazioni. Ebbene, seppur non completamente veritiero, mai scelta fu azzeccata nell'affidarsi ad un cineasta affermato ed eclettico che risponde al nome di Bryan Singer, che nonostante le difficoltà (ad un certo punto licenziato dalla Fox e sostituito in corsa per la post-produzione) dà vita (anche grazie all'aiuto di Anthony McCarten, mostro sacro della sceneggiatura che negli ultimi anni ha infilato due eccellenze come La teoria del tutto e L'ora più buia) ad uno dei suoi più riusciti lavori e forse ad uno dei migliori biopic musicali di sempre (egli riesce infatti a rendere epica e toccante una storia che in fondo è simile a tante altre, che segue un arco vitale quasi scontato). Rispondendo al resto, è proprio la grande credibilità degli attori a contribuire al buon risultato complessivo. Non una semplice interpretazione ma una vera e propria reincarnazione, quella di Rami Malek, aiutato da trucco prostetico forse un filo eccessivo, ma la fisicità è tutta sua. Anche gli altri membri del gruppo sono stati scelti per la perfetta aderenza fisica, con un effetto a tratti straniante (Gwilym Lee è Brian May, Ben Hardy è Roger Taylor, Joseph Mazzillo fa John Deacon), ma tutti assai ben delineati. Ed è così che Bohemian Rhapsody, film che ha ricevuto quattro Oscar durante l'ultima edizione dei premi, quelli di miglior attore, miglior montaggio, miglior montaggio sonoro, miglior sonoro, risultando il film con più premi vinti in quell'edizione, e tutti premi certamente non regalati, porta sul grande schermo la storia dei Queen e di Freddie Mercury. Dal lavoro come scaricatore di bagagli all'aeroporto di Heathrow, a una famiglia tradizionalista, attaccata alle proprie origini persiane, la vita di Farrokh Bulsara/Freddie Mercury (interpretato in maniera assolutamente convincente da Rami Malek, se infatti la somiglianza fisica tra l'attore e il cantante è poca, i denti posticci di Malek poi sono esageratamente sporgenti, le movenze, il modo di stare sul palco, di cantare e di rivolgersi al pubblico è invece fedele, grazie anche al playback credibile) è scandita dagli incontri, prima coi suoi primi compagni di musica Brian May e John Deacon, poi dalla relazione con Mary Austin (Lucy Boynton, intravista ne Assassinio sull'Orient Express), con la quale stava per convolare a nozze, salvo rivelarle la propria omosessualità.

Frequentazioni che stimolano la creatività di Freddie Mercury, e che il film esalta nella descrizione di come sono nati alcuni dei più famosi successi della band, tra alti e bassi, tensioni che sembrano mandare tutto all'aria, ma che si risolvono in una genialità il cui apice è certamente rappresentato dalle varie fasi attraverso le quali un capolavoro di originalità come Bohemian Rhapsody è giunta alle orecchie degli ascoltatori (da segnalare anche il cameo di Myke Myers nel ruolo del produttore che rifiuta la canzone perché troppo lunga, un debito dell'attore canadese dai tempi di Fusi di testa che la rilanciò), brano che è anche perfetta sintesi della personalità del suo autore/cantante. È gustoso anche notare come il ruolo della band nel film non sia mai secondario, come ci si sarebbe potuto aspettare trovandosi di fronte a una personalità come quella di Freddie Mercury, ma sempre centrale, in un'aura di affetto reciproco che solo gli eccessi di alcol, droghe ed comportamenti sessuali del suo leader potevano mettere in crisi. Così Bohemian Rhapsody non è semplicemente un accumulo di informazioni sulla vita di un personaggio di successo, ma una chiave importante per cogliere i sentimenti di una persona, degli individui cui voleva bene, ma anche di chi lo ha tradito (come nel caso di Paul Prenter, suo manager e convivente, che poi vendette informazioni personali, anche incriminanti, su Mercury). E Rami Malek da parte sua riesce a rendere molto bene quel mix di gioiosità, irrequietudine e malinconia che è stata la vita del protagonista, ben sintetizzata da quella meravigliosa esibizione al Live Aid, che ancora adesso fa rimpiangere di non poter più partecipare dello straordinario talento di Freddie Mercury. Certo, essendo un'opera di finzione e non un documentario, ci si è presi qualche (forse troppa) licenza poetica (tante sono le inesattezze e imprecisioni presenti nel film infatti, ed alcuni temi, come quello della malattia viene "risolto" superficialmente in poche scene), ma considerando anche il fatto che in due ore non si può raccontare il mondo, probabilmente certi stravolgimenti sono stati effettuati in favore della trama per renderla più scorrevole, in funzione appunto di quella necessaria sintesi richiesta dall'opera cinematografica. Perché va bene che proprio questi stravolgimenti fanno perdere un po' di punti al film, ma il film non sbaglia lo scopo ultimo, intrattenere. Sostanzialmente il bersaglio in questo caso è facile, basta avere una certa professionalità in sceneggiatura e regia, non sbagliare l'attore protagonista e non fare disastri. Bohemian Rhapsody ha l'intelligenza di dare alla musica lo spazio da vera protagonista, di lasciare alle note il grande proscenio e ci azzecca. Seppur nelle fasi di raccordo ci sia qualche pausa, seppur (come previsto) qualche romanzata di troppo c'è, è la musica a trionfare e quella dei Queen è di una certa qualità. Oltretutto il film ha una forte impennata finale che riesce a emozionare, con il culmine massimo del concerto del Live Aid ricostruito in maniera incredibile. Le scene con la costruzione dei brani e il gran finale a Wembley (con immagini di grande effetto) sono il grande punto di forza e così ai titoli di coda ci si riesce anche a commuovere. Insomma, operazione vincente, oltretutto la ricostruzione di ambienti e atmosfere anni '70-'80 è efficace quanto accurata, la regia è di buon livello, il montaggio (importantissimo nelle numerose scene di concerti) è ottimo, cosa si poteva chiedere di più? Niente, grazie Hollywood per averci regalato (a me più di tutti) questo film, un film non eccezionale (non di certo definibile capolavoro) ma un gran bel film.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Con Bohemian Rhapsody il regista de I soliti sospetti centra l'obiettivo, offrendo al pubblico un ritratto a tutto tondo dell'artista e dell'uomo, con le sue debolezze e i suoi lati oscuri. Senza mai scadere nel volgare o cadere nel tranello di assecondare torbide curiosità, Bryan Singer non si esime dal raccontare anche il Mercury privato, ma con grande delicatezza. Per descrivere festini e trasgressione al regista basta una casa in disordine, bicchieri gettati ovunque, polvere bianca sui tavolini...un campo disastrato da una battaglia appena conclusa. Così come per narrare dei rapporti con la stampa basta un'unica conferenza, dalla quale si evince il desiderio di una privacy difficile da ottenere quando si vive una vita al limite. A vestire i panni del leader dei Queen uno straordinario Rami Malek (che dopo una lunga e variegata carriera ha raggiunto grande notorietà grazie al suo ruolo da protagonista nella pluripremiata serie Mr. Robot). La sua è un'interpretazione indimenticabile, da Oscar (e infatti detto, fatto): l'anima di Mercury sembra abitare in lui, tanta la precisione con cui ha curato in ogni minimo dettaglio la sua performance. È una recitazione che investe corpo e anima, travalicando lo schermo per sommergere lo spettatore, che non può che rimanere stordito da tanta bravura (Malek, infatti, ha studiato per circa un anno e mezzo canto, piano e ballo per meglio immedesimarsi in Freddie Mercury). Ma ciò che rende il film memorabile non è la sola performance di Malek, quanto la bravura di Singer e di Anthony McCarten, che lo ha sceneggiato, riuscendo a costruire una storia corale (nonostante la centralità del cantante) in un vero tripudio di musica e spettacolo, che non tralascia la potenza dei rapporti umani. Bohemian Rhapsody restituisce al mondo la grandezza dei Queen, in cui ciascun componente ha dato tutto se stesso, a volte faticando non poco nel sostenere le irrequietezze di Mercury. A prestare il volto a Roger Taylor, il batterista del gruppo, un bravo Ben Hardy, non da meno Joseph Mazzello nei panni del bassista John Deacon, particolarmente centrata l'interpretazione del chitarrista Brian May da parte di Gwilym Lee. Ogni attore del cast meriterebbe un commento, perché difficilmente un set viene condiviso da artisti che si muovono con così grande equilibrio.
Commento FinaleBryan Singer porta sul grande schermo la storia dei Queen e di Freddie Mercury, svelando (per alcuni non conosciuti) dettagli della vita dell'artista (alcuni tuttavia tralasciati), e gestendo in maniera più che discreta la sceneggiatura di McCarten, alternando la cronistoria alle tante esibizioni, credibili soprattutto per la preparazione attenta a cui si sono sottoposti i protagonisti. Ottima la scelta di Rami Malek, così come quella del resto dalla band, e gli stessi Queen hanno supportato il cast nelle riprese, quasi quotidianamente. Un ritmo tutto sommato buono, salvo qualche momento di stanca (e qualche errore), favorisce le oltre due ore di proiezione di un film che gli amanti della musica e dei Queen stavano aspettando da tempo.
Consigliato: Sì, a tutti, anche a chi non ama particolarmente il genere biografico.
Voto: 7,5

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