Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/10/2019 Qui
Tema e genere: Dal folle e genialoide regista Sion Sono, un primo assaggio della sua estetica spiazzante e disturbante, con un film horror dai toni drammatici incentrato sull'alienazione della società giapponese.
Trama: Una task force della polizia indaga sul dilagare di una allarmante moda che sta prendendo piede tra giovanissimi liceali: quella di mettere in atto inaspettati quanto eclatanti suicidi di massa. Sospettando dapprima una organizzazione che agirebbe per istigazione via internet, vengono messi fuori strada da due cybernaute che stanno studiando il caso e quindi da un gruppo di sadici mitomani tratti in arresto. La verità però sembra più sconvolgente e incredibile di quanto sembri.
Recensione: Nato come primo capitolo di una trilogia sull'alienazione e l'individualismo spinto della società nipponica (con tanto di merchandising, libro e manga al seguito) questo stravagante giallo-horror pittoresco ed eccentrico, si diverte a portarci sulla falsa pista di una detection dai risvolti macabri e surreali per spostarsi infine su quelli di una teoria del complotto che chiama direttamente in causa la responsabilità dei mezzi di comunicazione di massa (internet, tv e telefono) quali veicoli d'elezione per la manipolazione della coscienza collettiva e nemesi di un irreversibile fallimento della coscienza individuale. Se le forme di un falso documentario (camera mobilissima, scene di vita quotidiana, indagine sugli aspetti più controversi della modernità tecnologica) sono solo il paravento per una storia ad incastri che rivela la solita ipertrofia e gusto per l'eccesso del cinema nipponico, le innumerevoli citazioni e l'abilità di condurre il gioco lungo il fil rouge di una pista sbandierata fin dall'incipit e ribadita più volte durante le numerose sequenze rivelatrici sparse per il film, ne fanno un piccolo saggio sul potere di mistificazione delle immagini e più in generale degli stimoli che subiamo continuamente dai subdoli strumenti di convincimento di una dilagante società dei consumi. Quello che se ne ricava in fin dei conti è il primato delle sovrastrutture sociali sul libero arbitrio individuale e sulla possibilità che tutto avvenga senza uno scopo o una ragione precisa. Non c'è il perché insomma, ma solo il come: l'empatia ed una semplice telefonata sono il detonatore di un'assurda epidemia di auto-da-fe eterodiretti. Dove non porta la falsa pista di una banda di sadici mitomani dell'omicidio di massa, portano invece i subdoli ed assai più potenti messaggi subliminali di una (boy)band di ragazzine in pigiama (quando si dice: l'innocenza del diavolo ai tempi dei tormentoni tv e delle videochat). Nella sorpresa finale poi il paradossale ribaltamento di un irriducibile nichilismo esistenzialista, laddove comunque si viri decisamente al fantapolitico ed al pop, il film di Sono finisce per veicolare lo stravagante gusto nipponico di un inaspettato inno alla vita. Non un horror classico quindi, non un film che fa spavento per il sangue o a causa della presenza di un fantasma assetato di vendetta, ma un film che colpisce e stranisce, e tanto.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico: Atmosfere lugubri (efficaci), desolazione e nichilismo la fanno da padrone in Suicide Club, film che ha lanciato il cineasta nipponico a livello internazionale. Si respira infatti e per tutta la pellicola (giacché la morte pervade tutta la pellicola, insidiandosi nell'animo dei personaggi, ben espresso dagli attori, e della società nipponica in generale) un senso di depressione e angoscia, misto a bizzarre e sanguinose scene di morti violente (non ci vengono difatti risparmiati fiumi di sangue, orecchie mozzate et similia, tutto in uno stile per niente fastidioso-invadente e/o splatter ma, anzi, molto ricercato), il tutto accompagnato da un assillante (funzionale) brano j-pop che fa da sfondo all'intera pellicola. Una pellicola in cui Sono, cinico e disincantato, dipinge (e bene) un mondo in cui si perde qualunque motivazione a vivere, e suicidarsi diventa un gioco da provare durante l'intervallo delle lezioni. Continui colpi di scena rendono imprevedibile la sceneggiatura (anche se quest'ultima è complessa, misteriosa e articolata) che offre continuamente nuove possibili soluzioni al caso (labirintica e sostenuta fino alla fine, non lascia un attimo di spazio allo spettatore, nessuna pausa narrativa, nessun punto morto). Esso è infatti trasportato in una faticosa ma necessaria cavalcata verso la risoluzione di un mistero che appare privo di senso.
Cast: Al più attori sconosciuti, alcuni invece già visti in altri lavori, ecco quindi Ryō Ishibashi (The Grudge e The Grudge 2), Akaji Maro (Kill Bill: Volume 1 e Kill Bill: Volume 2) e Nagase Masatoshi (Le ricette della signora Toku e Paterson).
Commento Finale: Una musichetta infantile accompagna il macabro suicidio di massa iniziale, e il sangue schizza a fiotti sui vetri del treno e sui passanti ignari. Parte così Suicide Club, film cult dell'ennesimo visionario regista giapponese, Sion Sono appunto. Degno successore di Takashi Miike, il giovane ex regista di porno scava nell'inconscio umano denunciando il sistema scolastico e la tecnologia. Allucinato oltreché visionario, dotato di una fantasia fuori del comune, egli affronta un problema molto sentito dal popolo nipponico, quello del suicidio, e lo fa in uno stile unico e personale. Sono realizza infatti un'opera complessa, dove ci sono indizi devianti (un rotolo di pelle umana ritrovato in una borsa sul luogo del suicidio di massa), scene del più esplicito gore disgustoso (da ricordare la casalinga che anziché tagliare il formaggio, finisce per tagliarsi in tanti piccoli pezzi la mano) e metafore (il misterioso ed enigmatico finale). Il finale è ipnotico, avvolgente, e anche se non riesce a spiegare ogni cosa, non delude comunque. Resta l'impressione di aver assistito a qualcosa di unico, di sconvolgente, fuori dai binari di una cinematografia ortodossa.
Consigliato: Sì, soprattutto a chi può reggere, agli altri proprio no.
Voto: 7
Trama: Una task force della polizia indaga sul dilagare di una allarmante moda che sta prendendo piede tra giovanissimi liceali: quella di mettere in atto inaspettati quanto eclatanti suicidi di massa. Sospettando dapprima una organizzazione che agirebbe per istigazione via internet, vengono messi fuori strada da due cybernaute che stanno studiando il caso e quindi da un gruppo di sadici mitomani tratti in arresto. La verità però sembra più sconvolgente e incredibile di quanto sembri.
Recensione: Nato come primo capitolo di una trilogia sull'alienazione e l'individualismo spinto della società nipponica (con tanto di merchandising, libro e manga al seguito) questo stravagante giallo-horror pittoresco ed eccentrico, si diverte a portarci sulla falsa pista di una detection dai risvolti macabri e surreali per spostarsi infine su quelli di una teoria del complotto che chiama direttamente in causa la responsabilità dei mezzi di comunicazione di massa (internet, tv e telefono) quali veicoli d'elezione per la manipolazione della coscienza collettiva e nemesi di un irreversibile fallimento della coscienza individuale. Se le forme di un falso documentario (camera mobilissima, scene di vita quotidiana, indagine sugli aspetti più controversi della modernità tecnologica) sono solo il paravento per una storia ad incastri che rivela la solita ipertrofia e gusto per l'eccesso del cinema nipponico, le innumerevoli citazioni e l'abilità di condurre il gioco lungo il fil rouge di una pista sbandierata fin dall'incipit e ribadita più volte durante le numerose sequenze rivelatrici sparse per il film, ne fanno un piccolo saggio sul potere di mistificazione delle immagini e più in generale degli stimoli che subiamo continuamente dai subdoli strumenti di convincimento di una dilagante società dei consumi. Quello che se ne ricava in fin dei conti è il primato delle sovrastrutture sociali sul libero arbitrio individuale e sulla possibilità che tutto avvenga senza uno scopo o una ragione precisa. Non c'è il perché insomma, ma solo il come: l'empatia ed una semplice telefonata sono il detonatore di un'assurda epidemia di auto-da-fe eterodiretti. Dove non porta la falsa pista di una banda di sadici mitomani dell'omicidio di massa, portano invece i subdoli ed assai più potenti messaggi subliminali di una (boy)band di ragazzine in pigiama (quando si dice: l'innocenza del diavolo ai tempi dei tormentoni tv e delle videochat). Nella sorpresa finale poi il paradossale ribaltamento di un irriducibile nichilismo esistenzialista, laddove comunque si viri decisamente al fantapolitico ed al pop, il film di Sono finisce per veicolare lo stravagante gusto nipponico di un inaspettato inno alla vita. Non un horror classico quindi, non un film che fa spavento per il sangue o a causa della presenza di un fantasma assetato di vendetta, ma un film che colpisce e stranisce, e tanto.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico: Atmosfere lugubri (efficaci), desolazione e nichilismo la fanno da padrone in Suicide Club, film che ha lanciato il cineasta nipponico a livello internazionale. Si respira infatti e per tutta la pellicola (giacché la morte pervade tutta la pellicola, insidiandosi nell'animo dei personaggi, ben espresso dagli attori, e della società nipponica in generale) un senso di depressione e angoscia, misto a bizzarre e sanguinose scene di morti violente (non ci vengono difatti risparmiati fiumi di sangue, orecchie mozzate et similia, tutto in uno stile per niente fastidioso-invadente e/o splatter ma, anzi, molto ricercato), il tutto accompagnato da un assillante (funzionale) brano j-pop che fa da sfondo all'intera pellicola. Una pellicola in cui Sono, cinico e disincantato, dipinge (e bene) un mondo in cui si perde qualunque motivazione a vivere, e suicidarsi diventa un gioco da provare durante l'intervallo delle lezioni. Continui colpi di scena rendono imprevedibile la sceneggiatura (anche se quest'ultima è complessa, misteriosa e articolata) che offre continuamente nuove possibili soluzioni al caso (labirintica e sostenuta fino alla fine, non lascia un attimo di spazio allo spettatore, nessuna pausa narrativa, nessun punto morto). Esso è infatti trasportato in una faticosa ma necessaria cavalcata verso la risoluzione di un mistero che appare privo di senso.
Cast: Al più attori sconosciuti, alcuni invece già visti in altri lavori, ecco quindi Ryō Ishibashi (The Grudge e The Grudge 2), Akaji Maro (Kill Bill: Volume 1 e Kill Bill: Volume 2) e Nagase Masatoshi (Le ricette della signora Toku e Paterson).
Commento Finale: Una musichetta infantile accompagna il macabro suicidio di massa iniziale, e il sangue schizza a fiotti sui vetri del treno e sui passanti ignari. Parte così Suicide Club, film cult dell'ennesimo visionario regista giapponese, Sion Sono appunto. Degno successore di Takashi Miike, il giovane ex regista di porno scava nell'inconscio umano denunciando il sistema scolastico e la tecnologia. Allucinato oltreché visionario, dotato di una fantasia fuori del comune, egli affronta un problema molto sentito dal popolo nipponico, quello del suicidio, e lo fa in uno stile unico e personale. Sono realizza infatti un'opera complessa, dove ci sono indizi devianti (un rotolo di pelle umana ritrovato in una borsa sul luogo del suicidio di massa), scene del più esplicito gore disgustoso (da ricordare la casalinga che anziché tagliare il formaggio, finisce per tagliarsi in tanti piccoli pezzi la mano) e metafore (il misterioso ed enigmatico finale). Il finale è ipnotico, avvolgente, e anche se non riesce a spiegare ogni cosa, non delude comunque. Resta l'impressione di aver assistito a qualcosa di unico, di sconvolgente, fuori dai binari di una cinematografia ortodossa.
Consigliato: Sì, soprattutto a chi può reggere, agli altri proprio no.
Voto: 7
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