giovedì 24 ottobre 2019

Guilty of Romance (2011)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/10/2019 Qui
Tema e genere: Nuovo attacco non molto mascherato ai valori e ai modelli sociali giapponesi attraverso modalità cinematografiche diverse e depistanti da parte di Sion Sono. Si mescola l'horror, il thriller, il dramma erotico, la letteratura, per tracciare solchi di identità femminili.
Trama: La detective Kazuko arriva sul luogo di un orrendo delitto, in una baracca nel distretto a luci rosse di Tokyo: un manichino femminile vestito da scolaretta è costituito in parte da pezzi umani. Per terra c'è un altro manichino, anch'esso in parte fatto di carne: chi e quante sono le vittime? Possono essere collegate alla recente sparizione di due donne, la casalinga Izumi e l'assistente professoressa universitaria Mitsuko?
Recensione: Ancora una volta Sion Sono racconta l'atroce ambiguità della condizione umana nel Giappone contemporaneo, il disagio di un'intera società e la ricerca di un'impossibile catarsi, l'isolamento e la solitudine che si esprimono nella fuga nella prostituzione. Come in Suicide Club o in Cold Fish (e probabilmente in quelli che stanno nel mezzo), la risposta all'alienazione è sempre paradossale. Guilty of Romance sfodera da subito i toni dell'incubo con una brutale ferocia. Percorsi alieni, oscuri e deformi si generano nel seno di un Paese in cui accade troppo poco, in una società che prevede che tutto sia precostituito dall'inizio. Il Giappone è il sepolcro imbiancato suggellato dall'algida espressione della testa di un manichino che al suo interno marcisce e pullula di vermi, uno Stato che ha ingessato la parola e mutilato l'azione. Il castello agognato, ripetuta citazione kafkiana, rimane distante e inaccessibile. La ricerca di un senso sfocia nella negazione di un senso, non vi è percorso né volontà di cammino, poiché non esiste una destinazione. La pellicola (ultimo episodio della "trilogia dell'odio", così definita dallo stesso Sono, iniziata da Love Exposure, da recuperare sicuramente, e proseguita da Cold Fish) è così incentrata sulla figura di tre donne di diverse estrazioni, la moglie di un noto romanziere, una professoressa universitaria e una detective incaricata di una complicata indagine, tutte e tre (di differenti anche stati mentali) accomunate dall'essere insoddisfatte della propria vita coniugale/sessuale, dall'essere fedifraghe e/o dedite a pratiche di soddisfazione dei sensi decisamente poco ortodosse. La trama invece, è organizzata in cinque capitoli più un epilogo, che non rispetta un definito arco temporale ma si sposta con una certa disinvoltura più volte avanti e indietro rispetto al ritrovamento di un cadavere orrendamente mutilato di una delle tre protagoniste. Il film, girato molto bene e con seducenti inquadrature esaltate da colori vivi contrapposti ad un contorno plumbeo e piovigginoso, con coinvolgenti e un po' insistite musiche in cui predomina un violino un po' invadente, si aggroviglia un po' nello svolgimento (o forse non sono riuscito a comprenderlo appieno, complice una visione con un doppiaggio ballerino) e si indebita molto in certe situazioni con alcuni capisaldi del cinema d'ogni tempo: il magnaccia delinquentello con la bombetta non può non richiamare i teppisti kubrickiani di Arancia meccanica, la professoressa dalla doppia vita è un po' una nuova Kathleen Turner del Russell anni '80 China Blue, mentre per il riuscito personaggio della madre di quest'ultima (alla quale si deve un monologo davvero strepitoso sull'origine delle perversioni in capo alla figlia) difficile che il regista non si sia almeno lontanamente ispirato alla Clara Calamai del Profondo Rosso di Dario Argento. Ritengo inoltre che una sforbiciata di una mezz'ora avrebbe giovato al film non sempre così scorrevole come un thriller richiederebbe, ma nel complesso una visione coinvolgente (proprio per le tante tematiche che affronta) la si ha, anche se nella sfera della sufficienza.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Non tutto funziona a pieni giri stavolta, manca un po' di ritmo e forse per la prima volta la sceneggiatura pecca di una certa soglia di prevedibilità. Il film vanta comunque un'eccellente prova attoriale delle protagoniste (tra queste Megumi Kagurazaka, già in Cold Fish), ed una sempre discreta regia, meno esagitata del solito (anche se il suo stile "scheggia impazzita" è ben presente anche in questo lungometraggio). Sion Sono costruisce il suo film in toni kubrickiani (per certi versi il film richiama anche Eyes Wide Shut), sebbene più nella sostanza che nella forma, ma c'è anche un continuo ed esplicito rimando (interessante, ma fino ad un certo punto) al Castello di Kafka, che simboleggia l'impossibilità degli individui di appagare i propri desideri. Il film coinvolge e si lascia seguire, ma la parte thriller/noir non convince, soprattutto però la frammentarietà del tutto non aiuta.
Commento FinaleSion Sono è il gran picconatore cinematografico della società giapponese. In Guilty of Romance affronta temi come sesso e sessualità e ruolo sociale e strutture famigliari. Lo fa mettendo insieme tessere apparentemente incongrue di un mosaico parecchio complesso, un po' quello che accadeva nel precedente, più che discreto, Cold Fish. Questa volta però il Nostro da l'impressione di piacersi un po' troppo, soffermandosi eccessivamente sui dettagli e finendo con il perdere di vista il quadro più generale. Solo sufficiente nel suo complesso.
Consigliato: E' meno crudo di quanto ci si aspettasse all'inizio, tuttavia la vena erotica sconsiglia la visione ai minori.
Voto: 6

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