Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 15/02/2019 Qui - Quando si parla di originalità, soprattutto nel genere horror, negli ultimi anni sono stati davvero pochi i film che hanno superato davvero le mie aspettative. Tra gli innumerevoli cliché, tra i soliti fatti trattati, tra le tantissime storie più o meno uguali è difficile trovare una pellicola che possa dare esito positivo. Con A Quiet Place - Un posto tranquillo (A Quiet Place), film del 2018 diretto da John Krasinski, con protagonisti Emily Blunt e lo stesso Krasinski, le mie aspettative finalmente sono state ben saziate. Fin dall'inizio infatti, si capisce che non ci troviamo di fronte al solito film dell'orrore, che si sta cercando di proporre al pubblico qualcosa di più originale. Dimentichiamoci difatti di quei continui Jumpscare fatti di archi stridenti o tonfi improvvisi, qui il minimo rumore, potrebbe essere l'ultimo suono che senti. Certo, non è la prima volta che capita di poter ammirare in modo così ampio un film sul silenzio, o per essere più precisi sulla totale assenza del suono della voce umana, ne è un esempio lampante La Tartaruga Rossa, dove la totale assenza di voce e della colonna sonora quasi, costituivano un'esperienza cinematografica esemplare e diversa dal solito, ovviamente guardando indietro nel tempo ci accorgiamo dei capolavori del cinema muto e degli omaggi che esso ha ispirato nell'era moderna (ad esempio The Artist), ma aver a che fare con un film horror, un survival e monster movie di nuova generazione, praticamente privo di voce, suoni e rumori (i quali benché presenti sono veramente ridotti all'osso e presenti in pochissime scene chiave del film) rappresenta una vera ed emozionante, nonché originale, sorpresa. L'assenza del suono, come succedeva ne La Tartaruga Rossa, dona maggior spessore alla storia rendendo estremamente più coinvolgente lo svolgersi della trama, anche se qui le scene, a differenza dell'altro (e gli altri), sono spesso benissimo accompagnate dalle ottime musiche di Marco Beltrami, musiche proporzionate al tema centrale del film, per niente enfatizzate e dosate in modo perfettamente equilibrato, senza far perdere quella sensazione di assordante silenzio che circonda lo spettatore. Un silenzio soffocante, dal quale si viene rapidamente coinvolti, rapiti, circondati. Un silenzio pieno di paura, un terrore che paralizza e che rende spaventoso ogni gesto, anche il più comune: A Quiet Place - Un posto tranquillo toglie il respiro. Perché (insieme ai protagonisti del film) si ha paura di fare un passo, un sorriso, di piangere, litigare, amare, vivere. Ed è questo l'orrore più grande di un film raggelante, ma dal grande cuore. Un Monster movie che si distingue per la forza narrativa delle immagini estremamente curate e nel quale non sono i mostri a fare più paura. Un film che mischia diversi generi, dall'horror al post-apocalittico, fino al romanzo familiare, realizzando una pellicola che non rientra in nessuno dei generi che la compongono, ma cerca un linguaggio diverso con un risultato assai gradevole.
Tutto questo ovviamente, e soprattutto, grazie alla tecnica di cui sopra, che indubbiamente trasmette un elevato senso di angoscia rendendo in maniera estremamente vivida la difficoltà pratica di eliminare o limitare al minimo indispensabile i suoni emessi e prodotti per garantire la sopravvivenza. Dal sopprimere l'istinto innato di comunicare mediante l'uso della voce, e per estensione della parola, sostituito prontamente dall'utilizzo del linguaggio dei segni (anche se in questo caso l'utilizzo era già insito nel nucleo familiare composto da una ragazzina sordomuta), alle difficoltà che si pongono sul fronte di eliminare i suoni modificando radicalmente abitudini ben collaudate nel corso dei secoli come l'uso delle stoviglie o delle calzature. In tal modo sin dalle scene d'apertura (dove per una decina di minuti non si sente volare una mosca) veniamo catapultati nella desolante atmosfera del film, dal nitido aspetto post-apocalittico, scoprendo che la popolazione mondiale si è rapidamente decimata e che l'ultima spiaggia per i superstiti, la loro unica possibilità di sopravvivenza, è quella di vivere in silenzio senza produrre suoni di alcun tipo per evitare di attirare l'attenzione delle creature (in pratica delle strane creature antropomorfe, i cui tratti ricordano molto da vicino quelli dei mostri di Dead Space, sono attirati dal rumore: si avventano sulla fonte e, devastanti come sono...insomma, avete capito) che ora presiedono il territorio e che attaccano se attirate dal minimo rumore. Guidati dall'infallibile istinto di sopravvivenza e autoconservazione gli esseri umani si adattano rapidamente alle nuove condizioni di vita accettando un'esistenza dominata dal silenzio. Date queste premesse, sufficienti a creare un'atmosfera densa di mistero, tensione e inquietudine dove ogni minimo suono ed errore può diventare una condanna a morte, John Krasinski si focalizza sulla storia di una famiglia di sopravvissuti i quali si spostano dalla città verso la campagna ma vedranno il loro mondo crollare quando un semplice gesto del figlio più piccolo, istintivo e naturale, si tramuterà in tragedia. Tempo dopo l'equilibrio familiare sembra ristabilirsi mentre una serie di sfortunati eventi esporranno nuovamente i protagonisti al pericolo. Costruendo in modo impeccabile un crescendo di scene, ed eventi, ad alta tensione, ricchi di suspense e caratterizzati da colpi di scena ben calibrati, il regista travolge lo spettatore in questo survival horror atipico e colpisce sia per la quasi impeccabile costruzione della trama (non eccessivamente complessa) sia per il modo in cui gestisce lo sviluppo. La regia è solida e nitida, gli effetti speciali sono ben dosati, la fotografia e la scenografia sono perfette ed estremamente idonee a trasmettere quel senso di terrore, inquietudine e angoscia che fanno vertiginosamente salire la tensione.
L'isolamento della casa, immersa in campi di mais e circondata da boschi, benché rappresenti un topos del suddetto genere cinematografico, riesce pur sempre a scaturire quella primordiale sensazione di paura data dalla vastità del territorio dentro il quale si cela il pericolo, i predatori. Come spettatori veniamo quindi chiamati a immedesimarci in ognuno dei protagonisti, a vivere e comprendere la loro ansia e immedesimarci nelle loro disperate azioni per sopravvivere. Questo elevato grado di empatia che proviamo nei confronti dei protagonisti è in gran parte dovuto, senza ombra di dubbio, agli ottimi attori impegnati oltre che allo script. Eccezionale la prova di Emily Blunt, impegnata al fianco di John Krasinski (anche nella vita), mostra ancora una volta quanto sia versatile come attrice destreggiandosi molto bene anche in un ruolo impegnativo come questo. La sua interpretazione è notevole e resterà impressa per almeno una scena visivamente ed emotivamente molto potente, tensiva e coinvolgente. Straordinario naturalmente Krasinski che, dopo aver diretto due commedie drammatiche passate per lo più inosservate (Brief interviews with hideous men e The Hollars), senza scordare il suo apporto da sceneggiatore per Promised Land e tanti ruoli da semplice interprete (leggeri: Licenza di matrimonio, In amore niente regole, d'azione: 13 hours - The secret soldiers of Benghazi, drammatici: American Life), riesce a stupire e coinvolgere con una storia che pur seguendo le ricette della classica cinematografia horror risulta originale e fresca per via dell'espediente utilizzato, quello appunto del silenzio, dove ogni minimo suono assume un'importanza vitale. Grazie anche al lavoro eccelso di sound design che amplifica le emozioni provate durante la visione sul grande schermo. Curato anche dal punto estetico-visivo, A Quiet Place - Un posto tranquillo può vantare di un'ottima location che naturalmente richiama ad altri film del filone ma che si integra benissimo col tono del racconto. Meno impressionanti le creature che ricordano vagamente Alien (o Dead Space come detto, ed anche altri di simili fattezze) ma che garantiscono momenti di puro intrattenimento horror: soprattutto suspense e paura. Convincente anche la sottotrama che prevede un'incrinatura nel rapporto tra il padre e la figlia adolescente, sconvolta non solo dalla crescita in condizioni estreme ma dai sensi di colpa nei confronti del fratello e da una perenne sensazione di inadeguatezza. Ho trovato molto delicata, anche se stereotipata, la scena dove il padre confessa alla figlia quanto le voglia bene, riassumendo in modo emblematico il "motif" (motivo) del film, ovvero la protezione dei figli. La famiglia resta al centro del racconto, rappresentando ovviamente il bene più sacro da salvaguardare e proteggere, ad ogni costo.
La paura e l'amore: ecco, sono questi i due sentimenti predominanti. Ed è raro che un film di "genere", tra l'horror apocalittico e il thriller, abbondi così tanto in sentimenti forti e profondi, ancestrali e indistruttibili. Quelli che tengono legati un marito e una moglie, un padre o una madre ai suoi figli, che permette a ognuno di pensare agli altri prima che a se stesso e di escogitare soluzioni coraggiose o ingegnose (i continui esperimenti del padre per un apparecchio acustico più sofisticato per la figlia). Non a caso, soprattutto nella prima parte, A Quiet Place – Un posto tranquillo non cerca soltanto di spaventare il pubblico, e questo è il suo punto di forza maggiore: il dramma di questa famiglia sopravvissuta allo sterminio viene tratteggiato attraverso momenti di forte umanità. Ecco che allora dall'horror passiamo sorprendentemente a un racconto di frontiera, con persone che lottano per la propria sopravvivenza sia fisica che morale: la battaglia parallela che i personaggi combattono è quella per preservare la propria identità di famiglia, non cedere alla disperazione, trovare conforto in azioni che, proprio perché vietate, possono caricarsi di un'importanza fondamentale. Krasinski riesce con una regia pulita e attentissima all'intimità degli ambienti a delineare figure in chiaroscuro di enorme presa emotiva, ancora dilaniate dal dolore della perdita ma aggrappate l'una all'altra con forza dirompente. Quello che troppo spesso questo tipo di film post-apocalittici dimenticano di tratteggiare e che invece A Quiet Place – Un posto tranquillo propone con pienezza è il dramma della condizione umana, la desolazione di esseri umani che sanno che non potranno mai tornare alla vita di un tempo. Nei tempi dilatati, nelle pause e nei silenzi, il film di Krasinski in alcuni momenti possiede gli echi di un western del periodo revisionista, impregnato da una vena malinconica che irretisce e tocca nel profondo. Tutto quello che viene intelligentemente seminato nella prima parte della narrazione permette al film di farsi perdonare qualche falla di sceneggiatura e un crescendo narrativo che aumenta il ritmo dell'azione inserendola però in un discorso di genere più classico, che funziona comunque piuttosto bene ma è lontano anni luce dal film crepuscolare che abbiamo apprezzato in precedenza. Krasinski però non perde mai il filo nella storia, non eccede nel gore o in effetti capaci di distrarre. Il risultato finale è un horror di più che discreta qualità, intenso nel mettere in scena ai rapporti umani ed efficace nello spaventare, soprattutto lavorando sul non visto. Un horror che resterà a lungo nella mente dello spettatore per via del modo originale in cui viene costruita la storia, non attraverso i suoni e rumori ma appunto grazie al silenzio che diventa l'elemento predominante del film, un po' come succedeva in Don't Breathe.
I maggiori meriti alla riuscita del film si possono racchiudere in tre punti principali. Primo il grandissimo lavoro svolto dal punto di vista sonoro: i silenzi sono ogni volta pugni nello stomaco ed i suoni ed i rumori sono gestiti in modo attento e minuzioso (non è forse un caso che il montaggio sonoro sia stato candidato agli Oscar). Secondo aspetto la regia, attenta e capace, che riesce per tutta la durata del film (non elevata) a regalare quel tocco di originalità alla vicenda, senza mai perdere di vista valori come suspense e tensione (il regista alza, di parecchio, il tiro, mostrando attitudini insospettabili nel saldare consistenti elementi tensivi a quei sentimenti indissolubili che legano un nucleo familiare). Terzo, gli attori con un John Krasinski (che dimostra di saperci fare, e bene, anche come attore in un ruolo maturo e drammatico) ed una Emily Blunt (nessun bisogno di conferme per lei, che continua a stupire piacevolmente col suo percorso cinematografico) bravi e capaci di calarsi in una recitazione non convenzionale e nel caratterizzare per bene i loro personaggi. L'affiatamento tra i due è palpabile anche durante i lunghi silenzi ed il fatto che siano veramente marito e moglie li ha aiutati non poco. Ma poi è premiata soprattutto la scelta dei più piccoli (veramente bravi), con Noah Jupe (Suburbicon, Wonder) e Millicent Simmonds (Wonderstruck), che dimostrano un'eloquente predisposizione alla comunicazione, anche senza poter parlare. Tutti efficaci e funzionali nel comporre questa famiglia, famiglia a cui impossibile non tenere a loro e alla loro sopravvivenza, e per questo più di ogni altra cosa A Quiet Place – Un posto tranquillo funziona meglio della maggior parte degli horror che oggi si producono. Se dietro l'orrore possiamo sentire anche il dramma, il risultato è quasi sempre assicurato. E in questo caso lo è. Questo prodotto decisamente notevole infatti, un prodotto che tra misteriose invasioni, silenzi assordanti ed infiniti, sopravvissuti costretti a muoversi il meno possibile, risulta maledettamente inquietante, assordante (tanto per fare ossimori) e di buona fattura: paradossalmente originale, silenzioso ma angosciante, dove ogni singolo rumore, ogni lento respiro può portare a delle "squarcianti" conseguenze, riesce a spiccare all'interno di un genere saturo di produzioni mediocri e poco rilevanti, quest'opera difatti, sfruttando sapientemente atmosfere e scenari post-apocalittici con un'idea intrigante crea un film davvero memorabile, una boccata d'aria fresca in un panorama saturo e monotono. A voler essere severi a tutti i costi, ci sono un certo numero di incoerenze logiche che emergono da uno sguardo attento (inoltre il finale si blocca sul più bello e dura troppo poco la pellicola) ma queste non impediscono al film di essere uno degli horror più efficaci visti negli ultimi tempi. Un horror che si è rivelato in fin dei conti una sorpresa a tutti gli effetti. Si presenta come un lavoro innovativo che però è stato capace di mantenere i classici capisaldi che opere di questo genere richiedono. E se la brillantezza attoriale di Krasinski era già nota da tempo, qui dimostra di essere bravo e capace anche dietro alla macchina da presa, regalando al mondo del cinema un prodotto sì di intrattenimento, ma con degli spunti veramente interessanti. Voto: 7+
L'isolamento della casa, immersa in campi di mais e circondata da boschi, benché rappresenti un topos del suddetto genere cinematografico, riesce pur sempre a scaturire quella primordiale sensazione di paura data dalla vastità del territorio dentro il quale si cela il pericolo, i predatori. Come spettatori veniamo quindi chiamati a immedesimarci in ognuno dei protagonisti, a vivere e comprendere la loro ansia e immedesimarci nelle loro disperate azioni per sopravvivere. Questo elevato grado di empatia che proviamo nei confronti dei protagonisti è in gran parte dovuto, senza ombra di dubbio, agli ottimi attori impegnati oltre che allo script. Eccezionale la prova di Emily Blunt, impegnata al fianco di John Krasinski (anche nella vita), mostra ancora una volta quanto sia versatile come attrice destreggiandosi molto bene anche in un ruolo impegnativo come questo. La sua interpretazione è notevole e resterà impressa per almeno una scena visivamente ed emotivamente molto potente, tensiva e coinvolgente. Straordinario naturalmente Krasinski che, dopo aver diretto due commedie drammatiche passate per lo più inosservate (Brief interviews with hideous men e The Hollars), senza scordare il suo apporto da sceneggiatore per Promised Land e tanti ruoli da semplice interprete (leggeri: Licenza di matrimonio, In amore niente regole, d'azione: 13 hours - The secret soldiers of Benghazi, drammatici: American Life), riesce a stupire e coinvolgere con una storia che pur seguendo le ricette della classica cinematografia horror risulta originale e fresca per via dell'espediente utilizzato, quello appunto del silenzio, dove ogni minimo suono assume un'importanza vitale. Grazie anche al lavoro eccelso di sound design che amplifica le emozioni provate durante la visione sul grande schermo. Curato anche dal punto estetico-visivo, A Quiet Place - Un posto tranquillo può vantare di un'ottima location che naturalmente richiama ad altri film del filone ma che si integra benissimo col tono del racconto. Meno impressionanti le creature che ricordano vagamente Alien (o Dead Space come detto, ed anche altri di simili fattezze) ma che garantiscono momenti di puro intrattenimento horror: soprattutto suspense e paura. Convincente anche la sottotrama che prevede un'incrinatura nel rapporto tra il padre e la figlia adolescente, sconvolta non solo dalla crescita in condizioni estreme ma dai sensi di colpa nei confronti del fratello e da una perenne sensazione di inadeguatezza. Ho trovato molto delicata, anche se stereotipata, la scena dove il padre confessa alla figlia quanto le voglia bene, riassumendo in modo emblematico il "motif" (motivo) del film, ovvero la protezione dei figli. La famiglia resta al centro del racconto, rappresentando ovviamente il bene più sacro da salvaguardare e proteggere, ad ogni costo.
La paura e l'amore: ecco, sono questi i due sentimenti predominanti. Ed è raro che un film di "genere", tra l'horror apocalittico e il thriller, abbondi così tanto in sentimenti forti e profondi, ancestrali e indistruttibili. Quelli che tengono legati un marito e una moglie, un padre o una madre ai suoi figli, che permette a ognuno di pensare agli altri prima che a se stesso e di escogitare soluzioni coraggiose o ingegnose (i continui esperimenti del padre per un apparecchio acustico più sofisticato per la figlia). Non a caso, soprattutto nella prima parte, A Quiet Place – Un posto tranquillo non cerca soltanto di spaventare il pubblico, e questo è il suo punto di forza maggiore: il dramma di questa famiglia sopravvissuta allo sterminio viene tratteggiato attraverso momenti di forte umanità. Ecco che allora dall'horror passiamo sorprendentemente a un racconto di frontiera, con persone che lottano per la propria sopravvivenza sia fisica che morale: la battaglia parallela che i personaggi combattono è quella per preservare la propria identità di famiglia, non cedere alla disperazione, trovare conforto in azioni che, proprio perché vietate, possono caricarsi di un'importanza fondamentale. Krasinski riesce con una regia pulita e attentissima all'intimità degli ambienti a delineare figure in chiaroscuro di enorme presa emotiva, ancora dilaniate dal dolore della perdita ma aggrappate l'una all'altra con forza dirompente. Quello che troppo spesso questo tipo di film post-apocalittici dimenticano di tratteggiare e che invece A Quiet Place – Un posto tranquillo propone con pienezza è il dramma della condizione umana, la desolazione di esseri umani che sanno che non potranno mai tornare alla vita di un tempo. Nei tempi dilatati, nelle pause e nei silenzi, il film di Krasinski in alcuni momenti possiede gli echi di un western del periodo revisionista, impregnato da una vena malinconica che irretisce e tocca nel profondo. Tutto quello che viene intelligentemente seminato nella prima parte della narrazione permette al film di farsi perdonare qualche falla di sceneggiatura e un crescendo narrativo che aumenta il ritmo dell'azione inserendola però in un discorso di genere più classico, che funziona comunque piuttosto bene ma è lontano anni luce dal film crepuscolare che abbiamo apprezzato in precedenza. Krasinski però non perde mai il filo nella storia, non eccede nel gore o in effetti capaci di distrarre. Il risultato finale è un horror di più che discreta qualità, intenso nel mettere in scena ai rapporti umani ed efficace nello spaventare, soprattutto lavorando sul non visto. Un horror che resterà a lungo nella mente dello spettatore per via del modo originale in cui viene costruita la storia, non attraverso i suoni e rumori ma appunto grazie al silenzio che diventa l'elemento predominante del film, un po' come succedeva in Don't Breathe.
I maggiori meriti alla riuscita del film si possono racchiudere in tre punti principali. Primo il grandissimo lavoro svolto dal punto di vista sonoro: i silenzi sono ogni volta pugni nello stomaco ed i suoni ed i rumori sono gestiti in modo attento e minuzioso (non è forse un caso che il montaggio sonoro sia stato candidato agli Oscar). Secondo aspetto la regia, attenta e capace, che riesce per tutta la durata del film (non elevata) a regalare quel tocco di originalità alla vicenda, senza mai perdere di vista valori come suspense e tensione (il regista alza, di parecchio, il tiro, mostrando attitudini insospettabili nel saldare consistenti elementi tensivi a quei sentimenti indissolubili che legano un nucleo familiare). Terzo, gli attori con un John Krasinski (che dimostra di saperci fare, e bene, anche come attore in un ruolo maturo e drammatico) ed una Emily Blunt (nessun bisogno di conferme per lei, che continua a stupire piacevolmente col suo percorso cinematografico) bravi e capaci di calarsi in una recitazione non convenzionale e nel caratterizzare per bene i loro personaggi. L'affiatamento tra i due è palpabile anche durante i lunghi silenzi ed il fatto che siano veramente marito e moglie li ha aiutati non poco. Ma poi è premiata soprattutto la scelta dei più piccoli (veramente bravi), con Noah Jupe (Suburbicon, Wonder) e Millicent Simmonds (Wonderstruck), che dimostrano un'eloquente predisposizione alla comunicazione, anche senza poter parlare. Tutti efficaci e funzionali nel comporre questa famiglia, famiglia a cui impossibile non tenere a loro e alla loro sopravvivenza, e per questo più di ogni altra cosa A Quiet Place – Un posto tranquillo funziona meglio della maggior parte degli horror che oggi si producono. Se dietro l'orrore possiamo sentire anche il dramma, il risultato è quasi sempre assicurato. E in questo caso lo è. Questo prodotto decisamente notevole infatti, un prodotto che tra misteriose invasioni, silenzi assordanti ed infiniti, sopravvissuti costretti a muoversi il meno possibile, risulta maledettamente inquietante, assordante (tanto per fare ossimori) e di buona fattura: paradossalmente originale, silenzioso ma angosciante, dove ogni singolo rumore, ogni lento respiro può portare a delle "squarcianti" conseguenze, riesce a spiccare all'interno di un genere saturo di produzioni mediocri e poco rilevanti, quest'opera difatti, sfruttando sapientemente atmosfere e scenari post-apocalittici con un'idea intrigante crea un film davvero memorabile, una boccata d'aria fresca in un panorama saturo e monotono. A voler essere severi a tutti i costi, ci sono un certo numero di incoerenze logiche che emergono da uno sguardo attento (inoltre il finale si blocca sul più bello e dura troppo poco la pellicola) ma queste non impediscono al film di essere uno degli horror più efficaci visti negli ultimi tempi. Un horror che si è rivelato in fin dei conti una sorpresa a tutti gli effetti. Si presenta come un lavoro innovativo che però è stato capace di mantenere i classici capisaldi che opere di questo genere richiedono. E se la brillantezza attoriale di Krasinski era già nota da tempo, qui dimostra di essere bravo e capace anche dietro alla macchina da presa, regalando al mondo del cinema un prodotto sì di intrattenimento, ma con degli spunti veramente interessanti. Voto: 7+