Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2018 Qui - Dopo il dramma moderno di Blue Jasmine, la dolce pacatezza di Magic in the moonlight e il nichilismo ironico di Irrational man, torna Woody Allen con una commedia sentimentale degli intrecci e degli equivoci ambientata nei ridenti anni '30. Malgrado le trame ormai siano quasi sempre quelle e le storie risultino molto prevedibili e già viste, il regista americano riesce anche questa volta a confezionare un prodotto godibile e piacevole, a questo giro grazie principalmente ad un'atmosfera nostalgica e sognante, che si rispecchia nei tanti nomi di attori e attrici che Allen cita nel film, nomi che fanno sì che il tono dolceamaro del racconto sia ancora più percepibile nello spettatore, in modo da cogliere il contrasto tra le brillanti e distratte apparenze di certo mondo e il desiderio semplice e sincero di stare con la persona che si ama. A mancare, purtroppo, è anche la vena dissacratoria dei tempi migliori, ma fortunatamente i dialoghi sono sempre curati e brillanti ed anche la storia, nonostante l'effetto minestra riscaldata, riesce a lasciarti a fine visione una sensazione di piacevole appagamento grazie ad un ambientazione ricostruita perfettamente e ad alcuni passaggi fra il divertente e il malinconico. Café Society infatti, un film del 2016 scritto e diretto dal regista Ottantaduenne, una commedia dal sapore agrodolce, ambientata nell'America degli anni Trenta, che segue la storia del giovane Bobby Dorfman (Jesse Eisenberg) che insoddisfatto della sua vita a New York, lascia la gioielleria del padre per trasferirsi a Hollywood, dove suo zio Phil (Steve Carell) è uno dei personaggi più influenti dello showbiz, e dove conosce la segretaria di suo zio, Vonnie (Kristen Stewart, i due tornano a lavorare insieme dopo American Ultra), di cui si innamora, che vedrà però il suo piano di sposarla e portarla a vivere a New York fallire, motivo per cui il ragazzo deciderà di tornare nella sua città da solo per dirigere insieme al fratello gangster un locale che ben presto diventerà il ritrovo più frequentato dall'alta società newyorchese, almeno fino a quando il passato, presto o tardi, non ritornerà, è un film elegante e ricco (non a caso dal primissimo fotogramma balza subito all'occhio l'eleganza della fotografia e la ricchezza delle scenografie), è un film di ampia portata, ricco di personaggi, capace di svolte improvvise e decisi cambi di registro, seppur mantenendo un sottofondo pieno di ironia talvolta drammatica, ma soprattutto è un film romantico (non a caso con questo suo film, Woody Allen ci riporta ai suoi temi più cari, il destino, l'amore difficile e impossibile), eventi e personaggi sembrano difatti fare da sfondo alla storia di Bobby e Vonnie, un amore dal sapore dolceamaro fatto di scelte sbagliate e di sogni ad occhi aperti che è il fil rouge di tutto il film.
Un film che, con l'incedere che potremmo definire tipico di un romanzo (ne è un esempio lampante la voce fuori campo che narra e descrive gli eventi), ci offre un piacevole affresco dell'America del 1930 (tra feste meravigliose delle star nelle loro ville sontuose e la vita notturna newyorkese) e ci presenta anche le dinamiche familiari dei Dorfman in tutte le loro complicità e diversità. Woody Allen infatti, che divide la sua storia tra Los Angeles e New York negli anni '30, gioca con i cliché (la noiosa e artefatta vita di Hollywood, la criminalità che muove i fili nella Grande Mela), con le solite meravigliose frecciate a sfondo religioso e con una storia d'amore fatta di sguardi persi e sogni lontani (con un finale malinconico che sembri ricordare il bellissimo La La Land). E in tal senso sembrerebbe quindi tutto già visto, eppure anche se la pellicola, tra melò e gangster story procede non sempre con brio fra le complicate vicende che racconta e le spiegazioni di raccordo che la voce fuori campo dello stesso regista, narratore onnisciente, ritiene utile fornire, e anche se essa non aggiunga o non tolga per questo a quanto già detto e dimostrato da Allen nel corso della sua gloriosa carriera, è questa una pellicola che grazie alla sua abilità scenica si fa apprezzare. Perché certo, manca sempre qualcosa e la storia è poco originale, senza grande inventiva e con un finale che ha comunque un senso di incompiuto abbastanza evidente, ma il film, che nel complesso non è male, che può essere visto senza temere che sia lesivo della nostra intelligenza, è un film, fra splendide immagini e personaggi che talvolta riescono a strapparci un sorriso e qualche emozione, gradevole. Un film (dove nessuno è fuori posto) in cui il cast è ben amalgamato (dove troviamo anche Blake Lively, Corey Stoll e Sheryl Lee), dove la regia è sobria e senza sbavature, dove il ritmo è abbastanza sostenuto (grazie soprattutto alle musiche d'epoca e alle citazioni hollywoodiane che parlano a tutti per la loro forza evocativa e la loro squisitezza) e i dialoghi ben scritti. E tuttavia però e nonostante tutto, la suddetta pellicola non rappresenta, a mio avviso, il top della filmografia di Allen, ma comunque è una commedia discreta che certamente non annoia e si lascia guardare. Voto: 6+