martedì 30 aprile 2019

Biutiful (2010)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 31/08/2018 Qui - Vive nella miseria e si mantiene come può, collaborando con venditori ambulanti senegalesi e sfruttatori cinesi di manodopera clandestina. Cresce due figli quasi da solo, perché la moglie, mentalmente instabile, non è in grado di fare la madre e conduce altrove una vita dissoluta. Come se non bastasse, Uxbal scopre di avere un cancro che gli lascerà solo qualche mese di vita. Eppure, la morte fa già parte della sua quotidianità, prima ancora che egli sappia di essere malato: grazie a un dono di natura, l'uomo può parlare con gli spiriti e aiutarli a raggiungere la pace eterna. Difficile individuare una tematica dominante tra le tante vicende che s'intrecciano attorno al protagonista di Biutiful, film del 2010 diretto da Alejandro González Iñárritu, il rapporto conflittuale con la moglie, contrapposto al desiderio di ricostruire una vera famiglia? La ricerca delle proprie radici, che si accompagna al dialogo con la morte (presenza tanto costante quanto scomoda)? L'incontro tra diverse culture, possibile solo nella condivisione di un destino avverso? Dopo la cosiddetta "Trilogia della morte" composta da Amores perros (2000), 21 Grammi (2003) e Babel (2006), Biutiful doveva rappresentare una svolta nella produzione del regista messicano, in realtà, l'unico cambiamento evidente si riscontra a livello tecnico, complice forse la collaborazione con due nuovi sceneggiatori, Armando Bo e Nicolás Giacobone, il regista abbandona qui la struttura a incastro su cui si fondavano le precedenti opere, optando per una narrazione lineare (fatta eccezione per il flashforward iniziale) e concentrandosi per la prima volta su un unico protagonista. Per il resto, egli pare proporre contenuti già affrontati (perché, infatti, non parlare di "Tetralogia della morte"?), secondo una dinamica che, oggi come in passato, lascia qualche perplessità. L'antieroe Uxbal è protagonista di una serie di sventure che sembrano non avere una via d'uscita e, a giudicare da ciò che s'intravede delle vite degli altri personaggi, il male di vivere che lo affligge è una condizione universale.

In una vita pressoché priva di punti di riferimento stabili, ci si aspetta che i poteri paranormali di Uxbal abbiano un ruolo fondamentale: così non sembra essere, perché il rapporto con l'aldilà non è approfondito e si perde in una serie di simbologie decisamente ambigue (il gufo, il rumore del mare, le falene sul soffitto, il dono dell'anello e i riflessi dell'uomo nello specchio, che un occhio attento vedrà vivere di vita propria per tutto il corso del film) e gratuite immagini d'ispirazione horror (le anime dei defunti). Lo stesso avviene per gli altri spunti narrativi, presentati piuttosto superficialmente perché mai del tutto sviluppati: l'unico filo logico sembra essere una disperazione senza significato, di cui non conosciamo l'origine né la conclusione. E tuttavia questo è un film intenso e vibrante che sa sfruttare al meglio gli espedienti di un'estetica dell'eccesso a fin di bene e la sua vocazione al racconto allegorico che si faccia corpo e voce del dolore e della struggente bellezza del mondo. Inarritu centra infatti, anche se solamente in parte, il bersaglio. Perché se per la maggior parte della sua durata l'opera in questione non ha saputo coinvolgermi, portandomi spesso e volentieri in uno stato di distacco dalla vicenda che si è spezzato solo negli ultimi e toccanti minuti, la prima ora, il finale (seppur in un film che nel suo essere spietato regala vari pugni sullo stomaco, dal finale mi aspettavo qualcosa di più, l'ultima dissolvenza mi ha lasciato un po' di amaro in bocca) e qualche momento nel mezzo risultano effettivamente emozionanti e profondi. E quindi, anche se gli ingredienti sono troppi e la miscela non è calibrata a dovere, e nonostante non mi ha del tutto coinvolto, giacché il tema del film che ruota attorno alla domanda "se dovessi scoprire di avere un tumore terminale e di avere dunque pochi mesi di vita, come potrei aggiustare tutto quello che non va dopo un'esistenza costellata da errori?" non è stato in grado di farmi riflettere a dovere sull'importante tematica (vuoi per la lunga durata, vuoi per alcune situazioni già viste o per mia colpa), Biutiful, che non è assolutamente un film brutto, è un film bello. Questo grazie sopratutto ad una regia che migliora di pellicola in pellicola, che migliorerà in futuro con due ottimi film, Birdman e Revenant: Redivivo, ad un Javier Bardem stratosferico (degnamente premiato quell'anno a Cannes e candidato all'Oscar come miglior attore protagonista) e ad una Barcellona sporca, povera e ferita lontana dalla città fatta di sole e mare che spesso ci viene proposta dalla tv e dai media. E non importa se non tutto ha funzionato, perché il film merita di essere visto, sopratutto da chi ama il genere. Voto: 6