domenica 16 giugno 2019

Jurassic World - Il regno distrutto (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/03/2019 Qui - A distanza di tre (ora quattro) anni dal film (personalmente riuscito) che ha rilanciato a livello mondiale il franchise con cui Steven Spielberg nel 1993 aveva brillantemente aperto l'era del cinema degli effetti speciali digitali, i protagonisti di quella pellicola, l'addestratore di velociraptor Owen Grady e l'ex direttrice del parco tematico preistorico Claire Dearing (ora convertitasi alla protezione dei diritti dei lucertoloni redivivi) tornano sul "luogo del delitto". Questa volta però, in Jurassic World - Il regno distrutto (Jurassic World: Fallen Kingdom), film del 2018 diretto da Juan Antonio Bayona e sequel appunto di Jurassic World del 2015, quinto capitolo cinematografico del franchise di Jurassic Park, sono i dinosauri a rischiare grosso, perché un'eruzione vulcanica sta per provocare una seconda estinzione e il mondo si divide sull'opportunità di offrire a quegli esperimenti di genetica la stessa protezione data ad animali "comuni". Dopotutto i dinosauri nemmeno dovrebbero esistere più, forse vale la pena di lasciar fare alla Natura il suo corso. Ovviamente, per la gioia di chi non sa rinunciare agli inseguimenti e ai massacri ad opera di T- Rex e affini (ma anche del politicamente corretto, perché in un certo senso questo è anche il film più animalista di tutti i Jurassic Movies, sta dalla parte di dinosauri come mai prima d'ora) le cose sono destinate ad andare diversamente. Lo avevamo già visto in altre pellicole della serie (e anche nel "recente" Kong: Skull Island), al netto dell'illusione di sicurezza della tecnologia, tra uomini armati e animali giganteschi non c'è partita. La missione di salvataggio però si rivela qualcosa di molto più inquietante: i dinosauri sono destinati ad un'asta per ricchi acquirenti, si tratti di appassionati di preistoria, case farmaceutiche che sperano di fare ricerca avanzata e illegale, o mercanti di armi russi per cui il dinosauro può trasformarsi in un'arma di precisione. La pellicola, sfortunatamente, invece di abbracciare il tono scanzonato dello scorso capitolo, che rilanciava alla grande sul sentimento di meraviglia dell'originale e sul tema della famiglia (aggiungendo l'elemento interessante dell'interazione di branco tra uomo e animale), si perde nel mescolare tematiche "serie": dalla sfida della genetica e della clonazione, al bracconaggio, passando per il commercio clandestino di armi e la critica al capitalismo arrogante.
Inoltre questo quinto capitolo (in cui Spielberg è ancora una volta presente in qualità di produttore esecutivo) pensa più ad omaggiare i precedenti che a raccontare una storia propria. Se con Jurassic World i dinosauri che hanno creato un nuovo immaginario cinematografico ci sembravano tornati a nuova vita, in un ambiente moderno, con una nuova storia, nuovi personaggi ma sempre fedeli a ciò che li ha resi epici, il nuovo capitolo purtroppo si distacca completamente da tutto ciò che era stato Jurassic Park. Il problema principale è proprio quello di voler riutilizzare a tutti i costi gli elementi chiave, le scene, le battute e i comportamenti propri della saga, in un auto-citazionismo deleterio per una pellicola che poteva avere una sua autonomia senza fondarsi troppo sui rimandi ai precedenti film. Infatti leggendo la trama ci si rende conto di esser di fronte a una storia già vista, dove si scopre che chi vuole mantenere in vita le ultime creature rimaste in vita non lo fa per salvarli davvero: i bracconieri (Rafe Spall) vogliono sfruttare i dinosauri per dei banali fini economici, e quelli che ci sembravano amici sono in realtà traditori. Abbiamo già visto il personaggio del cacciatore spietato in Jurassic Park 2, qui replicato nelle stesse caratteristiche fisiche e caratteriali, senza un minimo sforzo di novità (interpretato tuttavia bene da Ted Levine). Addirittura i mezzi di contenimento per i dinosauri sono identici, proprio per richiamare le ambientazioni dei vecchi film. Ma in questo episodio il voler accontentare a tutti i costi i fan con continui riferimenti, troppo forzati, è stato dannoso e non positivo. E persino la buona CGI non può porre rimedio a quello che è, alla fine dei conti, un prodotto leggermente scolorito. Insomma, il risultato è un film troppo impersonale. I momenti di suspense, tipici del rapporto tra uomo e dinosauro in tutta la saga, sembrano buttati a caso in ogni momento buono, non c'è la creazione del vero pathos a cui siamo abituati ad assistere.
I personaggi sono molto superficiali (i due nuovi personaggi introdotti, la veterinaria dura e il nerd impaurito, interpretati rispettivamente da Justice Smith e Daniella Pineda, sono macchiette di contorno, ma funzionali), come lo sono le relazioni tra di loro: vediamo che Claire e Owen si sono lasciati, sì, ma tutto ciò lo andiamo a scoprire attraverso un'infantile discussione sul "chi ha lasciato chi". E tuttavia bisogna comunque dire che Chris Pratt regala al suo personaggio il suo usuale mix di spumeggiante umorismo e di spirito di avventura, e Bryce Dallas Howard è un raggio di luce che illumina (soprattutto quando smetti di farti venire in mente che è la figlia di Ricky Cunningam, che è il regista di Solo: A Star War Story, e che è la protagonista di un leggendario episodio di Black Mirror), infine il cameo di Jeff Goldblum (al contrario di quello dell'infido ormai dottore interpretato da BD Wong) fa sempre piacere, pur se lontano anni luce dalla brillantezza dell'originale. Anche i comprimari sono piuttosto inconsistenti (nota di demerito per aver sotto-utilizzato Geraldine Chaplin, sprecata per un ruolo talmente marginale che poteva interpretarlo chiunque, ma non va meglio a Toby Jones e James Cromwell), e se la sceneggiatura punta molto sulla piccola Maise, purtroppo il personaggio non riesce a rendere l'investimento fatto, risultando a tratti un po' forzato, come lo è il ritorno di "Blu", seppur interessante e piacevole. Detto questo, la pellicola risulta godibile nel suo insieme e non mancano sicuramente emozioni di ogni tipo. I momenti dinosauro (sia leggeri che terrorizzanti) naturalmente ci sono e in molti casi sono gestiti con competenza e spettacolarità dal nuovo regista Juan Antonio Bayona, che di suo aggiunge un tocco horror all'ultimo nato: lo spaventoso Indoraptor dotato, oltre che della ferocia di serie, di un elemento di malignità in più. Un mostro che sembra divertirsi a terrorizzare, anziché solo un predatore perfettamente costruito per uccidere.
Infatti rispetto ai precedenti capitoli, che mantengono un ritmo lineare e in grado di alternare momenti di tensione e fuga dall'attacco dei dinosauri, qui ci troviamo sballottati tra momenti di terrore estremo, quasi da film horror, ma anche a sensazioni di pura tristezza. La scena della distruzione dell'isola rappresenta forse quel momento di saluto definitivo ai dinosauri per come li abbiamo conosciuti. Non abbiamo mai sofferto così tanto per la loro fine, rappresentata in maniera così cruenta. Forse una sofferenza evitabile, ma che ci ha davvero portati alla fine del sogno che abbiamo vissuto dall'arrivo del primo Jurassic Park, e che ha adesso trovato la sua conclusione in Jurassic World. Forse proprio la metafora del passaggio dall'età della spensieratezza, in cui i dinosauri sono stati compagni di giochi nell'immaginario, potenti macchine da guerra, certo, ma che abbiamo osservato sempre sullo schermo come indistruttibili e, nonostante tutto, a cui ci siamo affezionati, nonostante la chiara incompatibilità con l'essere umano. Eppure la sensazione di fondo è che, perso nel suo maldestro tentativo di dire qualcosa di rilevante in maniera confusa (perché i dinosauri sono allo stesso tempo vittime innocenti dei cattivoni, ma anche una spaventosa minaccia da eliminare) e nell'ambizione di creare aspettative per nuovi capitoli, questo quinto capitolo finisce per perdere il senso della meraviglia, il meccanismo diventa ripetitivo e un filo prevedibile, mentre l'elemento più affascinante, il rapporto tra Owen e il velociraptor "empatico" Blue, non ha vere svolte (almeno non per il momento). Non è un caso poi che la morale della storia sembra essere quella evergreen che l'uomo, nonostante tutti i millenni di esperienza alle spalle e la consapevolezza e conoscenza scientifica acquisita col tempo, non riesca ad imparare dai propri errori. Anzi continua a commetterli, arrivando addirittura a compiere azioni ancora più bieche e discutibili. E insomma come per altri franchise forse un po' abusati, il problema di cui risente Jurassic World – Il regno distrutto (che ha tanti buoni elementi ma mescolati alla rinfusa) è davvero dovuto all'eccesso di ripetizioni di una storia che forse da tempo si era conclusa. In tal senso cosa dobbiamo aspettarci dal prossimo capitolo? Speriamo indubbiamente in una svolta più coraggiosa, meno citazionistica e più autoriale, e forse il sapere già che ci sarà un terzo capitolo diretto nuovamente da Colin Trevorrow fa ben sperare. In ogni caso non disprezzabile questo. Voto: 6-