Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 05/03/2019 Qui - Ci sono registi che non deludono mai, nemmeno per sbaglio. Alexander Payne, autore di pellicole splendide come Nebraska e A proposito di Schmidt, era tra questi. Downsizing - Vivere alla grande (Downsizing), film del 2017 co-sceneggiato e diretto dal regista americano, sembrava quindi promettere molto bene: una storia fantascientifica proposta in chiave realistica, l'aura da commedia, un Matt Damon convinto. C'era tutto. Eppure, a fine visione, Downsizing si rivela per quello che, effettivamente, è: un film che parte da un'idea di base interessante e a tratti geniale (più per com'è sfruttata nella prima parte, che per l'originalità) ma privo di una reale sostanza, con un ritmo discontinuo e un cambio di rotta esagerato, che lo rende pesante da seguire. Una pellicola drammatico-scientifica tinteggiata di una ironia molto acida che però rimane non poco superficiale. Un lavoro che non solo non osa ma addirittura non sceglie una direzione in cui andare, vagando erraticamente in un oceano di spunti potentissimi, il cui approfondimento è però sempre inspiegabilmente schivato con esperienza. Un lavoro con uno straordinario potenziale che soccombe a un'irrimediabile indecisione in fase di scrittura e alla più totale assenza di una visione registica. Il soggetto è infatti accattivante. Per affrontare il problema della sovrappopolazione, degli scienziati (tra questi Rolf Lassgard del sorprendente Mr. Ove) inventano un modo per rimpicciolire gli esseri umani: quando sei alto dodici centimetri, puoi permetterti una vita da nababbo lasciando un'impronta ambientale quasi nulla. Il protagonista (Matt Damon) decide per l'appunto di sottoporsi a miniaturizzazione insieme alla moglie (Kristen Wiig). La donna però cambia idea all'ultimo, quando il compagno è già rimpicciolito, e così la coppia chiude rapidamente la propria relazione senza che la cosa abbia grandi effetti sul prosieguo della pellicola. Da quel momento le potentissime idee suggerite in apertura diventano una chimera, e lo script si trasforma in qualcosa di irrimediabilmente generico e confuso. Gli ingredienti per un mix emozionante ci sono: Damon inizia la sua vita di lusso da single affranto, e nell'arco di pochi mesi il divorzio lo riduce in condizioni di quasi indigenza (in quel mini-mondo in cui tutti sono ricchi). Per una serie di vicissitudini a dir poco pretestuose scopre che esiste la povertà estrema anche in quella colonia di ometti abbienti e si lega senza motivazioni comprensibili a una poverissima vietnamita burbera e idealista. Tra un amore per nulla convincente con la ragazza (anzi, alquanto stucchevole) e un'altrettanto immotivata amicizia con un ricco contrabbandiere donnaiolo (un Christoph Waltz sempre magnetico ma ormai caratterista), finirà per navigare verso una fine del mondo (in senso letterale) improvvisa e sostanzialmente inutile ai fini narrativi.
In 135 minuti (forse troppi) Downsizing prova a mostrare i desideri, le paure e le meschinità umane, in tal senso la riflessione di Alexander Payne e Jim Taylor, fidato co-sceneggiatore del regista, è molto chiara, infatti in linea con le ultime due pellicole da loro scritte e dal primo dirette Paradiso amaro e Nebraska, il focus di Downsizing è l'uomo e la sua crisi attuale di vita. Però ci sono troppe cose che non tornano per tutto il film: ridursi è davvero l'unica via possibile di salvezza per l'umanità quando comunque serviranno sempre persone "normali" in grado di utilizzare le macchine che riducono la massa corporea? Davvero le persone in miniatura potranno avere una vita tranquilla, fare tutto quello che vogliono, con la loro scelta permanente e irreversibile? Raggiungeranno la felicità quando avranno tutto il tempo a disposizione? Con domande (sulla carta interessanti) alle quali il film non risponde (natura, creato e animali sarebbero tutti da ridurre), con il suo dichiarato intento ambientalista e vagamente nichilista, il film non convince del tutto, anche perché (dopo un inizio surreale ma divertente) a un certo punto la narrazione gira decisamente a vuoto (per concentrarsi più sulla storia di un classico loser che nel nuovo mondo trova la sua possibilità, indotta, di riscatto), e il personaggio di Gong Jiang è buffo e simpatico ma un po' troppo sopra le righe per farci credere al lato sentimentale della seconda parte del film. Mentre sul versante "ideologico" Vivere alla grande (la promessa del sottotitolo italiano) diventa un sogno illusorio. Talmente illusorio che il regista e il suo sceneggiatore devono inventarsi un improbabile risvolto distopico. Regista che accenna a tutte quelle idee che avrebbero potuto fare grande la sua pellicola: la crisi economica dovuta al tracollo dei consumi, il razzismo di chi mette in discussione il diritto di voto dei "piccoli", il problema dell'attenzione alle esigenze dei "rimpiccioliti" che diventano una minoranza concettualmente simile ai portatori di handicap, la militanza ambientalista e gli ideali, l'ironia paradossale di un'attesa fine del mondo per sovrappopolazione che viene anticipata da un disastro naturale imprevisto, la volontà del capitalismo di creare e sfruttare la povertà più nera e, infine, le gabbie nelle quali ci ritroviamo prigionieri per nostra stessa scelta. Abbastanza materiale per girare cinque film. Eppure, incredibilmente, egli manda sprecato tutto questo: nel suo film non c'è dinamica narrativa, non c'è vera emozione, non c'è causticità e non c'è poesia. Se la pellicola prende le mosse dal divario tra grande e piccolo, infatti, affoga poi impietosamente nella più totale insignificante medietà.
Colpa, come detto, della narrazione, che mette troppa carne al fuoco: tutto viene mescolato assieme senza suggerire una vera morale o un vero scopo del film. Troppe scene inutili, come le relazioni del protagonista e la lunga introduzione con la moglie che serviva in realtà solo da contorno. Nella prima ora di film assistiamo con incanto al procedimento di "rimpicciolimento", ai benefici del pianeta e degli esseri umani che ne conseguono. La sensazione è che si andrà a parlare del ruolo dell'ambiente e dello sviluppo della società attraverso questo sistema, e invece il film cambia direzione e lascia lo spettatore leggermente spiazzato. Invece di focalizzarsi sugli effetti di questa società rimpicciolita il soggetto della pellicola diviene infatti la vita (noiosa sempre più passo dopo passo) di Paul Safranek (Matt Damon), che probabilmente vuole simboleggiare il protagonista medio, l'uomo comune e come esso agisce all'interno della società. Peccato che, seppur la parabola di crisi sull'uomo si concluda senza tracciare troppo giudizi, senza puntare il dito, ma sempre e solo ponendo quanto ritratto sotto la lente d'ingrandimento delle scelte, delle opportunità, delle occasioni poste di fronte all'uomo, infatti concettualmente Downsizing (che inoltre ha una valenza e una visione internazionale, il film, difatti, si svolge tra gli Stati Uniti e la Norvegia e inoltre l'americano Paul è aiutato nella sua visione di scoperta del mondo dal serbo Dusan e dall'orientale Gong, così da capire che tutti gli uomini del mondo sono sulla stessa barca) appare valido anche considerato i temi che abbraccia quali l'ambientalismo, il rispetto per la natura, l'uso etico della scienza molto cari all'uomo di oggi, ciò avvenga in modo davvero paradossale. In tal senso, per quanto i personaggi possano essere interessanti (non tanto Jason Sudaikis, inutili camei per Laura Dern e Neil Patrick Harris), una scrittura pigra e spesso pretenziosa li rende a tratti assurdi, con reazioni ai limiti del ridicolo. Matt Damon ha senza dubbio cercato di dare il meglio di sé e nella prima parte è anche riuscito a risultare tragico, a modo suo, ma il suo Paul Safranek manca di carisma, intrappolato in un processo narrativo che non è mai chiaro dove voglia dirigersi, se sulla sponda della commedia o su quella del dramma, rimanendo a metà tra le due, ma in maniera incompleta, senza quell'ambiguità potente che si può ottenere in casi come questo. Cosicché questo film in chiave di sviluppo da regista, per Payne rappresenta una battuta d'arresto, perché si può mostrare e proporre anche approfondendo e analizzando e sembra che l'autore in questo lavoro si sia limitato alla prima fase.
Forse il problema più grande di Downsizing è il suo porsi come commedia filosofica, che vorrebbe riflettere su tematiche economiche, sociali ed ecologiche, ma senza provarci davvero, come se fossero solo mezzi per raccontare una storia che, in fondo, non è poi così interessante come si potrebbe pensare. La regia è anche interessante, soprattutto per quanto riguarda le scene in cui è necessario rimarcare la differenza di dimensioni tra le persone che non si sono sottoposte al processo di miniaturizzazione e quelli che invece hanno accettato di farlo. In questo, a onore del vero, si può notare quanto il regista si sia impegnato per trovare soluzioni visive efficaci e spesso ne possiamo trovare alcune davvero di impatto. Peccato che non sia sufficiente a rendere il film degno di nota, anzi, "vedere" il processo è praticamente inutile. La sceneggiatura ha il grande difetto di non riuscire a rendere realmente interessanti i rapporti tra i personaggi. A livello di ritmo, il film pecca di incostanza, con momenti pregni di dettagli affascinanti alternati ad altri decisamente meno funzionanti, fino ad arrivare ad una dispersione totalmente ingiustificata dal punto di vista narrativo, anche se si possono intravedere le intenzioni del regista, ovvero quelle di approfondire il modo in cui una pratica scientifica come la miniaturizzazione possa condizionare la vita di una persona. Il punto è che quello che vive Paul Safranek dalla seconda metà in poi va a slegarsi quasi totalmente dalla miniaturizzazione, che infatti viene percepita sempre di meno nel corso del film, privandolo completamente di tutto il fascino iniziale. Resta, di buono, quell'ironia nei confronti di un genere umano che cerca sempre tutte le soluzioni per realizzare Utopia, la società perfetta, e che poi rovina tutto con le sue numerose "qualità" (egoismo, avidità, edonismo fine a se stesso, sfruttamento degli altri e chi più ne ha più ne metta). Ma quando quest'ironia si trasforma in una parodia qualcosa si perde. Perde il regista, che non è riuscito a mantenere elevato lo standard e le premesse iniziali arrivando a sviluppare e, di conseguenza, concludere, la storia in una maniera parecchio deludente e svilente le aspettative interessanti dell'esordio. Sembra quasi che per il film si sia voluto trovare un finale a tutti i costi poiché non si riusciva più a districarsi da un contesto diventato difficile ormai da maneggiare e sviluppare. A conti fatti, Downsizing è un film (più che deludente parecchio bruttino) che può vagamente intrattenere sulle prime, ma poi si risolve tristemente in un'accozzaglia di situazioni lente e che non sembrano andare a parare da nessuna parte, con dialoghi improntati verso riflessioni sulla natura umana non particolarmente ispirate e banalità di vario genere, alla lunga stancanti. Ed è un peccato. Voto: 4
Colpa, come detto, della narrazione, che mette troppa carne al fuoco: tutto viene mescolato assieme senza suggerire una vera morale o un vero scopo del film. Troppe scene inutili, come le relazioni del protagonista e la lunga introduzione con la moglie che serviva in realtà solo da contorno. Nella prima ora di film assistiamo con incanto al procedimento di "rimpicciolimento", ai benefici del pianeta e degli esseri umani che ne conseguono. La sensazione è che si andrà a parlare del ruolo dell'ambiente e dello sviluppo della società attraverso questo sistema, e invece il film cambia direzione e lascia lo spettatore leggermente spiazzato. Invece di focalizzarsi sugli effetti di questa società rimpicciolita il soggetto della pellicola diviene infatti la vita (noiosa sempre più passo dopo passo) di Paul Safranek (Matt Damon), che probabilmente vuole simboleggiare il protagonista medio, l'uomo comune e come esso agisce all'interno della società. Peccato che, seppur la parabola di crisi sull'uomo si concluda senza tracciare troppo giudizi, senza puntare il dito, ma sempre e solo ponendo quanto ritratto sotto la lente d'ingrandimento delle scelte, delle opportunità, delle occasioni poste di fronte all'uomo, infatti concettualmente Downsizing (che inoltre ha una valenza e una visione internazionale, il film, difatti, si svolge tra gli Stati Uniti e la Norvegia e inoltre l'americano Paul è aiutato nella sua visione di scoperta del mondo dal serbo Dusan e dall'orientale Gong, così da capire che tutti gli uomini del mondo sono sulla stessa barca) appare valido anche considerato i temi che abbraccia quali l'ambientalismo, il rispetto per la natura, l'uso etico della scienza molto cari all'uomo di oggi, ciò avvenga in modo davvero paradossale. In tal senso, per quanto i personaggi possano essere interessanti (non tanto Jason Sudaikis, inutili camei per Laura Dern e Neil Patrick Harris), una scrittura pigra e spesso pretenziosa li rende a tratti assurdi, con reazioni ai limiti del ridicolo. Matt Damon ha senza dubbio cercato di dare il meglio di sé e nella prima parte è anche riuscito a risultare tragico, a modo suo, ma il suo Paul Safranek manca di carisma, intrappolato in un processo narrativo che non è mai chiaro dove voglia dirigersi, se sulla sponda della commedia o su quella del dramma, rimanendo a metà tra le due, ma in maniera incompleta, senza quell'ambiguità potente che si può ottenere in casi come questo. Cosicché questo film in chiave di sviluppo da regista, per Payne rappresenta una battuta d'arresto, perché si può mostrare e proporre anche approfondendo e analizzando e sembra che l'autore in questo lavoro si sia limitato alla prima fase.
Forse il problema più grande di Downsizing è il suo porsi come commedia filosofica, che vorrebbe riflettere su tematiche economiche, sociali ed ecologiche, ma senza provarci davvero, come se fossero solo mezzi per raccontare una storia che, in fondo, non è poi così interessante come si potrebbe pensare. La regia è anche interessante, soprattutto per quanto riguarda le scene in cui è necessario rimarcare la differenza di dimensioni tra le persone che non si sono sottoposte al processo di miniaturizzazione e quelli che invece hanno accettato di farlo. In questo, a onore del vero, si può notare quanto il regista si sia impegnato per trovare soluzioni visive efficaci e spesso ne possiamo trovare alcune davvero di impatto. Peccato che non sia sufficiente a rendere il film degno di nota, anzi, "vedere" il processo è praticamente inutile. La sceneggiatura ha il grande difetto di non riuscire a rendere realmente interessanti i rapporti tra i personaggi. A livello di ritmo, il film pecca di incostanza, con momenti pregni di dettagli affascinanti alternati ad altri decisamente meno funzionanti, fino ad arrivare ad una dispersione totalmente ingiustificata dal punto di vista narrativo, anche se si possono intravedere le intenzioni del regista, ovvero quelle di approfondire il modo in cui una pratica scientifica come la miniaturizzazione possa condizionare la vita di una persona. Il punto è che quello che vive Paul Safranek dalla seconda metà in poi va a slegarsi quasi totalmente dalla miniaturizzazione, che infatti viene percepita sempre di meno nel corso del film, privandolo completamente di tutto il fascino iniziale. Resta, di buono, quell'ironia nei confronti di un genere umano che cerca sempre tutte le soluzioni per realizzare Utopia, la società perfetta, e che poi rovina tutto con le sue numerose "qualità" (egoismo, avidità, edonismo fine a se stesso, sfruttamento degli altri e chi più ne ha più ne metta). Ma quando quest'ironia si trasforma in una parodia qualcosa si perde. Perde il regista, che non è riuscito a mantenere elevato lo standard e le premesse iniziali arrivando a sviluppare e, di conseguenza, concludere, la storia in una maniera parecchio deludente e svilente le aspettative interessanti dell'esordio. Sembra quasi che per il film si sia voluto trovare un finale a tutti i costi poiché non si riusciva più a districarsi da un contesto diventato difficile ormai da maneggiare e sviluppare. A conti fatti, Downsizing è un film (più che deludente parecchio bruttino) che può vagamente intrattenere sulle prime, ma poi si risolve tristemente in un'accozzaglia di situazioni lente e che non sembrano andare a parare da nessuna parte, con dialoghi improntati verso riflessioni sulla natura umana non particolarmente ispirate e banalità di vario genere, alla lunga stancanti. Ed è un peccato. Voto: 4