Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 06/02/2019 Qui - Già con La regola del gioco il regista Michael Cuesta aveva mostrato di avere buone doti di narratore di genere, messe a servizio di un cinema muscolare che non bada alle sottigliezze. Qui, tra torture, scazzottate e sparatorie, le quasi ore di film scorrono in un attimo, grazie soprattutto alla fluidità del plot narrativo (tratto dal romanzo di Vince Flynn), all'efficacia del montaggio e alla varietà di location, tra le quali va segnalata quella romana, ripresa sia nel centro storico che al serpentone di Corviale, che si aggiudica la sezione più consistente del film. Un film, appunto American Assassin, dal forte sapore rétro quando delinea le dinamiche che lo costruiscono, ma che mostra anche una marcata componente attuale nella sua "confezione", perfettamente in linea con gli standard dei film action contemporanei, ovvero con concetti forti ma semplici, che appunto sono il cardine attorno a cui ruotano tutti gli elementi del film (la vendetta, il patriottismo, l'amore, il sangue), tutti elementi ovviamente conditi con un bel po' di ignoranza, caratteristica stilistica di questo genere di pellicole. E com'è quindi facile immaginare la struttura narrativa si basa su una sinossi abbastanza semplice e, se vogliamo, un po' banale: Mitch Rapp (Dylan O'Brien) è un giovane innamorato che si vede assassinare la fidanzata sotto gli occhi durante un attentato terroristico a Ibiza. La storia si apre proprio su questa scena che risulta abbastanza d'impatto, con una sovrabbondanza di proiettili, sangue e cadaveri in ogni dove. Ovviamente l'accaduto segna nel profondo Mitch che da quel momento vota la vita completamente alla vendetta, intenzionato a rintracciare la cellula terroristica responsabile dell'attacco in cui ha perso la vita il suo amore ed eliminarla. Da lì all'essere scoperto dalla CIA e reclutato per entrare in un corpo speciale e super segreto di soldati addestrati (da Michael Keaton) per essere dei veri e propri assassini, a quanto pare, il passo è breve. Come breve sarà il passo per entrare subito in azione, quando la squadra speciale se la dovrà vedere con un trafficante d'armi conosciuto col nome in codice di "Ghost" (Taylor Kitsch) e ovviamente le cose si complicheranno.
Insomma niente di nuovo, eppure questo film del 2017, come già detto nell'incipit, è un film alquanto apprezzabile, un film che sulla falsariga di John Wick, ma con una base molto più credibile ed "umana", riesce nell'intento di non lasciare un attimo di tregua lo spettatore, spettatore che rimane spesso sorpreso in positivo (soprattutto nel suo evitare i soliti, almeno alcuni, cliché). Con un budget non titanico, ma adeguato per ottenere la miglior resa finale, il regista Michael Cuesta pesca infatti e probabilmente il meglio (anche perché non l'ho letto) dal libro da cui è tratta la pellicola. Egli difatti, donando un pizzico di autorialità e innestando particolari sfumature all'interno delle tinte thriller o d'azione, stupisce. Per far ciò si avvale di un frizzante pot-pourri di sceneggiatori, pescando professionisti di settore, affidandosi quindi alle mani di Marshall Herskovitz, Edward Zwick, coadiuvati da Michael Finch e Stephen Schiff, tutti autori che (in ordine sparso) hanno preso parte a differenti ma adrenalinici e coinvolgenti script come L'ultimo Samurai, Jack Reacher: Punto di non Ritorno, Blood Diamond, tanto per citarne qualcuno. Insomma, gente che sa come metter su una scena d'azione. E infatti le sequenze iniziali sono una vera botta allo stomaco, l'adrenalina fa da collante alla quantità di sentimenti che quei pochi minuti dell'attacco riescono a generare in maniera convulsa nello spettatore, e che la regia del regista statunitense trascina ulteriormente. Da lì in poi lo sciorinarsi degli eventi sarà piuttosto lineare e in buona parte preventivabile, nonostante la stravaganza e l'imprevedibilità del personaggio di Rapp lo rendano una vera e propria scheggia impazzita, favorendo di molto l'azione e la scorrevolezza, andando a prendere di tanto in tanto strade parallele rispetto a quelle canoniche che magari era lecito aspettarsi. E questo ovviamente è un bene.
Inoltre c'è da segnalare qualche già accennato guizzo registico, con una delle sequenze conclusive, che per non spoilerare nulla non vi racconto, ma in cui Michael Cuesta mette veramente in mostra le sue doti dietro la macchina da presa, regalando momenti di forte impatto emozionale, tensione narrativa e anche mirabili tecnicismi. In qualità di film di spionaggio con forti componenti politiche, American Assassin valorizza al meglio gli attori a disposizione: Dylan O'Brien (il giovane attore della saga di Maze Runner, qui è più maturo e molto azzeccato nel delineare il suo action hero silenzioso, determinato, letale), che interpreta il giovane Mitch, è bravissimo a calarsi nel ruolo di vigilante, tanto quanto il suo mentore, Michael Keaton, ideatore di questa scuola per "guerrieri fantasma", e che più volte ruba la scena grazie ad un'ottima presenza fisica e all'indiscusso carisma (non male inoltre la bella Shiva Negar e Sanaa Lathan). Il regista riesce a restituire parte della tensione con tecniche vecchia scuola, quasi mai incentrate sulla spettacolarizzazione delle scene d'azione (tranne la necessaria sequenza finale) ma focalizzandosi più sul naturale svolgimento degli eventi con la giusta dose di tensione che si basa sul pericolo del terrorismo e sulla minaccia latente di alcune talpe insinuatesi nell'agenzia. Proprio questo bipolarismo tra tecniche vecchie e nuove restituisce una fotografia forte dei tempi attuali, di paesi sempre più in balia di attacchi terroristici senza alcuna logica precisa, se non la basilare necessità di mietere quante più vittime possibile, in quest'ottica, la sequenza iniziale della sparatoria sulla spiaggia è realizzata con fredda logica, altamente cinica, ma tristemente vera. Questi atti di forza armata anarchica verranno ripagati con la stessa moneta dalle diverse agenzie del mondo, e (come da prassi) la collaborazione sarà difficile e piena di misteri.
Inoltre c'è da segnalare qualche già accennato guizzo registico, con una delle sequenze conclusive, che per non spoilerare nulla non vi racconto, ma in cui Michael Cuesta mette veramente in mostra le sue doti dietro la macchina da presa, regalando momenti di forte impatto emozionale, tensione narrativa e anche mirabili tecnicismi. In qualità di film di spionaggio con forti componenti politiche, American Assassin valorizza al meglio gli attori a disposizione: Dylan O'Brien (il giovane attore della saga di Maze Runner, qui è più maturo e molto azzeccato nel delineare il suo action hero silenzioso, determinato, letale), che interpreta il giovane Mitch, è bravissimo a calarsi nel ruolo di vigilante, tanto quanto il suo mentore, Michael Keaton, ideatore di questa scuola per "guerrieri fantasma", e che più volte ruba la scena grazie ad un'ottima presenza fisica e all'indiscusso carisma (non male inoltre la bella Shiva Negar e Sanaa Lathan). Il regista riesce a restituire parte della tensione con tecniche vecchia scuola, quasi mai incentrate sulla spettacolarizzazione delle scene d'azione (tranne la necessaria sequenza finale) ma focalizzandosi più sul naturale svolgimento degli eventi con la giusta dose di tensione che si basa sul pericolo del terrorismo e sulla minaccia latente di alcune talpe insinuatesi nell'agenzia. Proprio questo bipolarismo tra tecniche vecchie e nuove restituisce una fotografia forte dei tempi attuali, di paesi sempre più in balia di attacchi terroristici senza alcuna logica precisa, se non la basilare necessità di mietere quante più vittime possibile, in quest'ottica, la sequenza iniziale della sparatoria sulla spiaggia è realizzata con fredda logica, altamente cinica, ma tristemente vera. Questi atti di forza armata anarchica verranno ripagati con la stessa moneta dalle diverse agenzie del mondo, e (come da prassi) la collaborazione sarà difficile e piena di misteri.
E insomma davvero discreto è questo film, un film certamente non memorabile, i difetti ci sono, ma perlomeno non totalmente banale. Infatti al di là di tutti i problemi, è sempre e comunque American Assassin un buon film di genere, un film (in cui efficaci e funzionali sono le interpretazioni di tutto il cast, tra questi ovviamente Taylor Kitsch ma anche Scott Adkins e Navid Negahban) che anche se non dona abbastanza sussulti da far sobbalzare dalla sedia, fa il suo dovere, soprattutto se il suddetto viene preso dallo spettatore per quello che è, senza la pretesa di vedere un action thriller ricco di innovazioni o particolarmente rivoluzionario. American Assassin dopotutto non sovverte i canoni, ed è anche per questo si affida alla presenza di Michael Keaton, la cui figura giganteggia in un'opera che lo vede solo come comprimario di lusso, ma alla quale riesce a dare spessore grazie alla solita interpretazione autorevole ed in grado di squarciare lo schermo. E, ripeto, è anche per questo che si è scelta una squadra tecnica così tosta e risoluta, che potesse subito sgombrare il campo da qualsiasi idea di un look manierato, andando a prendersi il centro della strada tra accelerate e sportellate. Un filo di amarezza lo riservo per qualche banalità di troppo in un finale un po' raffazzonato, in cui le fondamenta che fino a quel momento avevano retto piuttosto bene iniziano a scricchiolare, ma che tutto sommato un alto quantitativo di polvere da sparo e qualche concitata scena d'azione sanno mantenere in piedi. E quindi, forte di un ritmo sempre ben distribuito su tutto il minutaggio e con una varietà di location (tra Istanbul, Roma e Stati Uniti) che dà ampio respiro al film, American Assassin seppur ben lungi dall'essere una produzione trascendentale, riesce a farsi apprezzare grazie ad una sapiente gestione delle risorse a disposizione. Voto: 7