Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/09/2018 Qui - L'inganno (Dramma, Usa 2017): Che dire di questo film, indubbiamente elegante e molto ricercato dal punto di vista visivo (bella la fotografia, accurata l'ambientazione d'epoca, eleganti i costumi, belle le poche musiche rarefatte sovrastate efficacemente dai sussurri della natura e dai rumori d'ambiente, pregevoli le frequenti riprese notturne negli interni realizzate al lume delle candele), però la pur apprezzabile regia di Sofia Coppola appare più che altro un mero esercizio di stile (evidenti i rimandi, sbiaditi, al cinema di Kubrick e di Malick). E poi la prova degli attori delude non poco. Se si può considerare appena sufficiente quella delle attrici (da Nicole Kidman ad Elle Fanning, fino a Kirsten Dunst, anche se poi è solo il personaggio di quest'ultima riesce ad emergere veramente nei confronti degli altri, che rimangono troppo essenziali per carpirne le sfumature), Colin Farrell conferma in questo caso le sue non eccellenti doti espressive. Ma dove il film delude maggiormente è nella sua parte più importante, la sceneggiatura (che racconta di un soldato unionista mezzo morto che viene aiutato e curato dalle ragazze di una scuola femminile della Confederazione, tuttavia la presenza del maschio attiverà giochi pericolosi e rivalità interne al gruppo), che appare spesso di una sciatteria improponibile, quasi inverosimile, soprattutto nelle parti che imponevano un minimo di documentazione scientifica (e in tal senso non basta una seconda parte abbastanza coinvolgente a riscattare una prima soporifera, buia e asfittica). Certo, complessivamente non si può dire che Sofia abbia fatto un brutto film (film che è bene precisare è il remake de La notte brava del soldato Jonathan di Don Siegel, perché ispirato allo stesso romanzo), ma nemmeno si può esaltarne tanto la confezione, perché esso è raffinato ma altrettanto prigioniero della sua forma ricercata. E' come se la figlia di Francis Ford Coppola fosse in qualche misura convinta che la forma possa prevalere sulla sostanza, e che l'eleganza della messa in scena e dell'inquadratura, indubbie, possa coprire i vuoti di una sceneggiatura, specialmente nella prima parte, piatta e lenta. Anche le fasi più tese e concitate del plot sono in qualche modo schematiche e hanno qualcosa di superficiale. Il finale poi interviene a rafforzare l'idea che l'immagine debba contare più del resto, ma è sempre così? No, infatti menomale che in Marie Antoniette c'era anche una solida sceneggiatura a dare sostanza, perché esattamente come nella serie Picnic at Hanging Rock (simile quasi in tutto a questo The Beguiled) qui la forma non è sufficiente a farne un gran film, anzi, la delusione è tagliente e velenosa. Voto: 5+