domenica 9 giugno 2019

Smetto quando voglio: Ad honorem (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/10/2018 Qui - Avrei dovuto davvero alla conclusione della visione del secondo capitolo rapire il produttore e minacciarlo per farmi consegnare subito, in quel momento, una copia del capitolo finale per vedere come finiva, perché non vedevo l'ora di farmi nuovamente un paio di risate e confermare il suo valore, non lo feci, ma dopo 9 mesi (paradossalmente l'intervallo di tempo della loro uscita al cinema) ci sono riuscito, a vedere il film s'intende, e ne sono rimasto piacevolmente colpito. Giunto al capitolo finale, intitolato Smetto quando voglio: Ad honorem, di quella che inaspettatamente è divenuta una trilogia filmica, il buon Sidney Sibilia, sceneggiatore, regista e ideatore di questo caso cinematografico nostrano (poiché caso più unico che raro più che una saga sembra un film unico, giacché questo film del 2017 è il sequel di Masterclass uscito nello stesso anno il quale è, a sua volta, sia il midquel di Smetto quando voglio del 2014, in quanto le vicende del secondo capitolo si svolgono prima della scena finale del primo capitolo, sia il suo sequel, poiché mette la parola fine alle imprese della banda dei ricercatori), riesce infatti a riprendere con destrezza le fila della narrazione, ampliatesi con l'aggiunta di nuovi personaggi e nuove trame nello scorso film, e a chiudere il cerchio in maniera compiuta ed esaustiva, equilibrando come sempre divertimento e riflessione. Il regista dà vita difatti ad una pellicola dinamica, divertente, con la giusta dose di azione, molto coinvolgente, capace di essere al tempo stesso critica ed autoironica. Se il primo capitolo era la classica commedia italiana ed il secondo aveva delle sembianze di un action/western, il finale della saga è un giusto mix tra i due generi, dove vengono sviluppati in maniera esponenziale gli aspetti poco trattati della storia. La regia e il montaggio seguono il modus operandi classico di tutta la trilogia (non a caso chi si è divertito con i precedenti capitoli e si è affezionato agli stravaganti personaggi ritrova in questa simpatica commedia corale tutti gli ingredienti che ne hanno decretato il successo, sebbene l'amaro sarcasmo con cui erano denunciate certe anomalie e illegalità del sistema politico e universitario italiano, è qui un po' più smorzato da una maggiore positività e leggerezza di fondo) ovvero partire dal titolo precedente, chiarirne i vuoti, per poi procedere alla narrazione. Come le tessere di un puzzle, i tre film si incastrano tra loro regalandoci alla fine un quadro completo, senza buchi di trama, delle vicende della banda dei ricercatori.
E così dopo la scoppiettante rapina al treno e il finale amaro di Masterclass, Smetto quando voglio: Ad honorem fa scendere di nuovo in campo la squadra, anzi, la banda dei ricercatori capitanata da Pietro Zinni (Edoardo Leo, che si conferma eccezionale interprete comico), che questa volta deve sgominare un vero e proprio attentato terroristico a opera di Walter Mercurio (Luigi Lo Cascio), artefice del Sopox (tornano quindi tutti i personaggi che abbiamo imparato ad amare grazie alle interpretazioni irresistibili di Stefano Fresi, qui sempre in grande forma con il suo titanico, in tutti i sensi, Alberto, Libero De Rienzo, Pietro Sermonti, Valerio Aprea, Paolo Calabresi, Lorenzo Lavia e Marco Bonini, non dimenticando le due presenze femminili nel cast principale, Valeria Solarino e Greta Scarano, due punti di riferimento per il protagonista). Masterclass si conclude proprio con la scoperta che la smart drug in questione era la formula del gas nervino, e così, in Ad Honorem, Sydney Sibilia (che torna in sella e confeziona un prodotto più maturo e complesso negli argomenti) trasforma gli impacciati ma geniali dottori in veri e propri eroi, che vogliono evadere soltanto per sventare un attacco potenzialmente tragico. E per fare ciò dovranno farsi aiutare da un'improbabile alleato: il terribile Murena, ci riusciranno? Ovviamente sì, anche perché il film (com'è facile intuire) si divide in due blocchi: il primo è ispirato ai prison movie, in cui seguiamo il gruppo di protagonisti che mettono insieme le loro forze per evadere dal carcere di Rebibbia (si tratta di una sezione corposa e ben strutturata, in cui emerge la forza del gruppo e l'importanza di ogni membro per la riuscita del piano), nel secondo blocco, meno coeso ma altrettanto efficace, la banda dei ricercatori si trova sul posto dell'attentato, La Sapienza, per sventare la minaccia (questa seconda sezione si compone di diversi temi e filoni che mettono in ombra il gruppo in favore dei singoli, in particolare l'eroe Zinni e il villain Mercurio, con tanto di ruolo determinante affidato a Neri Marcorè, che torna a essere Er Murena, il villain del primo film, trasformatosi in aiutante segreto). Due divisioni però necessarie ed utili, perché così facendo la storia trova finalmente il suo compimento e i pezzi, dei personaggi, della narrazione, delle motivazioni, trovano un loro posto. In tal senso è praticamente obbligatoria la visione dei capitoli precedenti se si vuole godere appieno di quest'ultimo, anche la revisione per chi non dovesse ricordarli, ma soltanto per cogliere gli incastri narrativi tutti portati a compimento, con la scelta precisa di curare più la coerenza interna che i singoli passaggi logici.
A proposito dei personaggi, ognuno di loro adempie alla sua funzione, divertendo quel tanto che basta, anche se questo terzo capitolo è forse il più debole dal punto di vista delle gag, non per mancanza di idee nella scrittura, ma perché, al contrario, gli sceneggiatori si sono concentrati sulla risoluzione della situazione lasciata in sospeso alla fine della pellicola precedente, dando maggior spazio a dialoghi a tratti anche parecchio ispirati. La sceneggiatura, come per il secondo film, è sempre di Sidney Sibilia, Francesca Manieri e quel Luigi Di Capua co-creatore di The Pills insieme a Luca Vecchi e Matteo Corradini che già era comparso con i suoi compagni di ventura nel primo capitolo della trilogia, in un cameo a dir poco esilarante. Eppure, nonostante gli sceneggiatori siano gli stessi, il ritmo del film è differente rispetto a quello della pellicola precedente, con molta meno azione e più momenti in cui vengono architettati i piani con cui agire, con riferimenti palesi ad heist movie brillanti come, ad esempio, Ocean's ElevenLa Grande Fuga. In ogni caso, ammantando di un'aura quasi mitologica i suoi personaggi, calcando la mano su ogni personalità strettamente nerd e sulle relativa difficoltà di comunicazione con un linguaggio comune, ma sempre molto forbito (elemento sempre vincente quando si vogliono costruire le migliori gag), Smetto quando voglio: Ad honorem conclude degnamente una delle operazioni cinematografiche italiane più interessanti e audaci di sempre. Cosa che non era abbastanza facile date le alte aspettative, ma il regista dimostra per l'ennesima volta di avere le idee ben chiare e gioca con la struttura temporale della narrazione, richiamando a momenti specifici già visti negli altri due film, intrecciando gli avvenimenti e cementandoli, conferendogli forte identità e, soprattutto, collegando le tre pellicole in maniera impeccabile. Complice è anche una regia briosa, seppur alleggerita di momenti action in senso puro, con le solite panoramiche dall'alto, l'utilizzo insistente di campi lunghi volti ad abbracciare la folla di personaggi in scena, coadiuvata da un montaggio rapido e spesso serrato e dalla classica fotografia della trilogia, con quei colori acidi e giocata sui toni del verde e del giallo, a riprodurre idealmente l'effetto psichedelico delle droghe inizialmente smerciate dalla Banda. Non dimenticando l'aspetto musicale, la musica infatti avvolge ed esalta ogni aspetto del film, dalle scene d'azione (esaltate dalle musiche degli Zayde Wolf) ai dialoghi (accompagnati dalle sonorità poliziottesche, quasi tarantiniane), infine, scopriamo le incredibili capacità liriche di Stefano Fresi che si riveleranno fondamentali.
Tuttavia però, nonostante nel complesso la pellicola funzioni e anche molto bene, non è esente da diversi problemi, uno su tutti (come già detto) il ritmo, che tende a essere un po' troppo lento nella prima mezz'ora, in cui addirittura si attende davvero troppo per rivedere i personaggi riuniti. E purtroppo il finale (non bastasse una critica sì feroce ma retorica al sistema amministrativo e legislativo, riguardante la ricerca, l'università e più in generale l'istruzione)troppo buonista, troppo illusorio, per certi versi quasi inverosimile, e comunque abbastanza aperto (forse troppo) secondo me, non rispecchia tutte le aspettative, e questo fa calare non poco il mio voto finale. Inoltre, seppur in generale Smetto quando voglio: Ad honorem è un film che riesce a divertire, perché in grado altresì di emozionare, esso risulta allo stesso tempo fin troppo diverso rispetto agli altri due, come se la maggior parte delle idee geniali fossero già spese e a questo ultimo capitolo rimanessero i residui. Ma, paradossalmente, forse è esattamente questo che il regista aveva in mente: accompagnare lo spettatore in fondo al tunnel senza troppi intoppi, raccontando quel poco che mancava perché il quadro fosse completo. Lo dimostra anche la durata del film, alleggerita rispetto a quello precedente, il che non è affatto male, anzi. E quindi posso ritenermi soddisfatto, se si considera che il progetto è diventato una trilogia solo in un secondo momento, anzi, credo che il regista abbia fatto i miracoli nel rendere la storia tanto avvincente e appassionante a partire da quella che era una commedia pensata per non proseguire. Per quanto mi riguarda è leggermente meno coinvolgente rispetto al Masterclass, che rimane il più completo dei tre, cosa strana visto che solitamente il capitolo centrale di una trilogia tende ad essere il più debole ed insipido, ma è sicuramente più che apprezzabile. Smetto quando voglio: Ad honorem perciò è solo l'ultimo gioiellino del cinema italiano partorito di recente: sembra che finalmente qualcosa si stia muovendo per davvero e i progetti sperimentali sono sempre di più, progetti che, seppur non sempre incisivi, hanno almeno l'ardire di tentare di proporre qualcosa di nuovo, come questa saga, che nel suo saggio finale dimostra appunto come il cinema italiano, con un'intelligenza consapevole dei propri mezzi, può tornare a offrire ed è capace di offrire intrattenimento brillante e divertente a tutti e per tutti. Peccato solo sia finita. Voto: 7