Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 19/09/2018 Qui - La libertà di professare un credo religioso (o di non professarlo ovviamente) dovrebbe essere un diritto inalienabile di ogni individuo, in qualsiasi società umana. Tanto più che alla base di ogni religione vi sono principi di pace, di tolleranza, di carità, di rispetto verso gli altri. Eppure nei secoli le più crudeli guerre e le più efferate persecuzioni si sono costantemente compiute in nome e per il predominio di una fede religiosa sull'altra. Quest'ultima opera di Martin Scorsese, Silence, pellicola del 2016 diretta dal grande regista statunitense, tratta dal romanzo (scritto nel 1966) dello scrittore giapponese Shusaku Endo, affronta per l'appunto l'argomento di tali contraddizioni, rievocando la vicenda di alcuni missionari cristiani portoghesi giunti nel 1600 in Giappone allo scopo di far convertire le popolazioni locali, di religione buddista, alla dottrina cristiana, finendo per scatenare in tal modo con la loro opera la feroce reazione di notabili e dignitari giapponesi, che, temendo un inquinamento spirituale delle tradizioni locali, mandarono a morte tra atroci supplizi molti individui. Alla vista di tali atrocità alcuni dei missionari preferirono abiurare la religione cristiana pur di salvare la vita dei condannati renitenti alla apostasia. Per questo Silence è sicuramente un film affascinante, denso, a tratti epico, intrigante, con frequenti e drammatiche scene di torture violente e insopportabili che finiscono per colpire più la coscienza che non gli occhi di chi guarda, però appare spesso in palese contraddizione tra il condannare l'uso della violenza in tutte le religioni, e l'esaltazione comunque del cristianesimo come fede portante e necessaria per il genere umano. Un film quindi molto crudo sia nella sua rappresentazione sia nel suo contenuto: le torture fisiche inflitte ai sudditi "traditori" da parte delle alte cariche giapponesi erano terribili e vengono descritte da Scorsese in maniera esplicita e dettagliata, pertanto la pellicola risulta quanto mai veritiera e come un documento storico vero e proprio sull'andamento dei fatti a quei tempi. Il film, dunque, risulta ben fatto e assai dettagliato e riproducente l'atmosfera ed i costumi dell'epoca in maniera perfetta (grazie alla scenografia di Dante Ferretti) ma purtroppo Scorsese ha costruito un'opera, seppur concettualmente potente, cinematograficamente debole.
Sullo sfondo di paesaggi meravigliosi e di un'atmosfera imponente ed assordante (soprattutto nell'introduzione dove in pochi secondi c'è tutto quello che serve al regista per fissare l'atmosfera al livello giusto, dato che c'è tutta l'angoscia violenta di un percorso che incombe e che sarà tutto in salita, così pieno di nebbia che sarà difficile vedere, osservare e capire per davvero), il nuovo film di Martin Scorsese invita alla riflessione su molteplici temi e dà vita a un prodotto ben fatto, ma con alcuni difetti. Egli infatti, dopo le baldorie cinematografiche con il munifico Leonardo DiCaprio (in tal senso sicuramente Silence spiazza soprattutto perché viene appunto dopo un pellicola come The Wolf of Wall Street, opera ritmicamente sotto cocaina, e tutte le differenze tra le due possono lasciare disorientati, anche se autore di una serie importante di film, Martin Scorsese, è un cineasta poliedrico, sostanzialmente mai banale), ritorna ad un tema già trattato, quello inerente alla fede, ma seppur riesca finalmente a realizzare un progetto che aveva in cantiere da decenni e a cui si sentiva legato, realizza un capolavoro annunciato eppure mancato, un film imponente che merita rispetto e chiede anche un po' di riverenza. Un film tuttavia, seppur sempre molto curato sotto l'aspetto tecnico, potenzialmente che realmente un mattone. Il film è infatti girato con la solita straordinaria maestria, con un uso perfetto del campo/controcampo, ma manca una sceneggiatura che sappia reggere ai grandi temi portati in scena, con i dialoghi che non riescono mai a decollare, soprattutto nelle scene di confronto/scontro tra le varie parti. Non ha la forza tematica che un film di questo tipo dovrebbe avere e ciò gli impedisce veramente di decollare. Eppure Silence non può certo essere considerato un brutto film, ma forse una mezza delusione sì, considerando appunto le aspettative e il tempo di incubazione del progetto. Perché certo, Scorsese lavora al meglio coi suoi collaboratori, dalla costruzione impeccabile del villaggio alle avvolgenti inquadrature nella nebbia (che regalano alcuni fotogrammi che tolgono il respiro) fino alle sonorità atmosferiche, ventose e inquiete che fanno un lavoro di aderenza al sonoro impeccabile, ma evidenti sono alcuni nei.
Silence è infatti un film che chiede molto e non sempre raggiunge le vette che sperava. Perché questo film (che racconta appunto la storia di due missionari cristiani, Andrew Garfield e Adam Driver che devono affrontare una grande prova di fede quando avendo perso le tracce di Padre Ferreira alias Liam Neeson, i due decidono di partire per il Giappone alla ricerca del loro mentore, in un momento in cui il cristianesimo è stato messo fuori legge e la loro presenza proibita), un film sul percorso tortuoso della fede, ma anche sullo scontro di civiltà (quando gli invasori erano i Cristiani), e sulla impossibilità di arrivare a una sintesi (un compromesso) fra culture tanto diverse (non bastasse che i contadini giapponesi abbiano una visione di Dio e del "Paraiso" in senso completamente naturalistico e materiale, piuttosto che la dotta astrazione della cultura europea), che potrebbe in tal senso ricordare la storia di Apocalypse Now (anzi, direi che la struttura di base è praticamente identica, poi ovviamente il diverso contesto storico ne fa due film molto differenti), è un film paradossalmente poco serio, sicuramente maestoso e spettacolare (una spettacolarità di un cinema che non c'è più), ma non impeccabile. E in tal senso forse ci voleva meno adesione letterale al testo: perché anche senza aver letto il libro, si intuisce che intere sezioni e dialoghi sono stati riportati fedelmente. Soprattutto l'uso della voce off di Rodrigues è esageratamente presente e vuole spiegare troppe cose. Mi sembra che il regista di vecchia scuola si fidi ancora del suo sguardo vecchio stile, mentre non creda fino in fondo nel pubblico. Silence dopotutto non è certo una passeggiata di film, e quindi a questo punto ci voleva probabilmente un approccio ancora più radicale e più "silenzioso". E tuttavia egli e Jay Cocks (co-sceneggiatore, e già collaboratore del regista in due period movies come L'Età dell'Innocenza e Gangs of New York) azzeccano però una parte finale (l'ultimissima parte) molto potente e persino toccante, con un'immagine finale che può scatenare interpretazioni. Peccato che ciò che viene prima faccia storcere parecchio il naso, tra macchiette giapponesi e un indugiare sul torture porn emotivo a volte un po' dubbio.
E quindi nella sua ultima tentazione cinematografica, Martin Scorsese fatica a governare tanta densità concettuale e il film, pur potentissimo, non sempre è scorrevole. E in tal senso perciò, nonostante gli spunti interessanti, che qui ovviamente non mancano, vediamo cosa (soggettivamente ma anche oggettivamente) cinematograficamente parlando non funziona in questo film. Sulla linea del lapalissiano, ad esempio, appare smodata la durata del film che si inzuppa, in modo irrimediabile, di ripetitività e di una monotonia (forse perpetrata) ma portata all'eccesso (la parte centrale è ridondante, gli ultimi 20 minuti, tutto ciò che accade dopo "l'abiura" di padre Rodrigues e il gran finale, sono inutili, alcuni personaggi poi, con i quali teoricamente si dovrebbe empatizzare, sono invece assolutamente irritanti, su tutti Kichijiro). Sulla scia delle cose più o meno soggettive, da inserire nel corpus critico (Adam Driver e Andrew Garfield deludono non poco, il primo svogliato e spento, il secondo si impegna, ma ha la faccia sbagliata per il ruolo e non è mai credibile, bene ma non benissimo inoltre Liam Neeson), il senso del film (invece meglio stendere un velo pietoso sul doppiaggio, con i giapponesi che parlano come albanesi rendendo così ridicoli anche i personaggi che invece dovrebbero incutere timore, come il governatore/inquisitore, togliendo gran parte di pathos al film, specialmente nella seconda parte). Insomma siamo dinanzi ad una riuscitissima illustrazione storica (alcune sequenze sono molto macabre), ma il dubbio è che il tutto si consumi intorno ad un'icona, quella del prete abiurista, fra controsensi e vaghezza spirituale. Forse troppo poco. La cosa è certamente nello stile del regista, vedi "L'ultima tentazione di Cristo", però il Cinema è fatto anche di traiettorie definite, non solo di linee immaginarie. In ogni caso e per concludere, troppo ci sarebbe da dire di questo film, tanti spunti di riflessione, tante angolazioni da cui guardarlo, troppi temi da sviscerare, bisognerebbe vederlo altre dieci volte per poterne fare una giusta analisi, l'unica cosa che posso fare dunque è consigliarvi, nonostante tutto, nonostante i difetti, la visione (perché non di certo è sconsigliabile vedere questo affascinante e potente film), una visione (se non l'avete già fatta, dato che è andato in chiaro pochi giorni fa in televisione) per trarne una vostra personale idea, la mia è che seppur sia concettualmente potente, sia però cinematograficamente debole. Voto: 7-