Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 22/08/2018 Qui - Non posso fare paragoni con l'originale, giacché
13 Peccati (
13 Sins), film horror del 2014, diretto da
Daniel Stamm e interpretato da
Mark Webber,
Ron Perlman,
Rutina Wesley,
Pruitt Taylor Vince e
Christopher Berry, è un remake del film tailandese
13: Game of Death, ma questo è un gran bel film a mio gusto. Un'altra pellicola che sfrutta come idea di base due soggetti tanto cari al cinema di questi anni ossia l'avidità per il denaro ed il voyeurismo dell'eccesso. Il quesito inoltre è il solito: fino a che punto è disposto a spingersi una persona in difficoltà pur di porre fine ai propri guai economici e soprattutto "è davvero la ricchezza che fa la felicità"? Temi vecchi come il mondo quindi, ma qui trattati piuttosto bene grazie ad una valida sceneggiatura, una buona regia ed una recitazione che fa il suo dovere. Nel film infatti, che racconta di uomo che licenziato dalla compagnia di assicurazioni dove lavorava come agente e che ha parecchi problemi da risolvere, che viene contattato per partecipare ad una specie di gioco dove dovrà superare 13 prove sempre più impegnative, alla fine delle quali, se queste saranno superate, l'uomo riceverà sul suo conto corrente parecchi milioni di dollari, il ritmo (senza fronzoli ed inciampi fino all'incredibile epilogo) è sempre alto, non mancano momenti divertenti (quasi tutti all'inizio ad essere sinceri), non manca la violenza, non mancano riflessioni, e così ne esce fuori un prodotto divertente e che sa imprimersi nella memoria dello spettatore. Spettatore che si potrà godere un film che non cade nella trappola dell'allegoria morale a buon mercato, ma un thriller psicologico sul filo della tensione davvero avvincente. Perché anche se i colpi di scena della seconda parte sono intuibili, tutto è ben congegnato. Questo perché il regista sincronizza immagini, grafica e dialoghi e li monta in una traccia limpida e scorrevole, cui aggiunge il beat di un ritmo in accelerazione continua e un umorismo noir che stempra suspense e dinamica. E in tal senso sarebbe un soffio per
13 Sins cadere nel cinema istituzionale, truccato da cliché, stereotipi ed eufemismi di routine, ma egli scansa il convenzionale, mescola dramma e umorismo e guadagna un thriller d'identità. Ironia tagliente e satira si declinano con intrigo e inquietudine in un teatrino di baruffe tra il surreale e il tragico. Non è un caso che pare evidente come al regista piaccia ricorrere ad una coreografia burlesca e giullare, come quella di un Luna Park, per raccontare la sua storia. E' lì infatti dove
Daniel Stamm ambienta le sequenze finali del film o come quelle di una pista circense, che il filmmaker richiama senza stancarsi, perfino nell'ossessiva suoneria clownesca del cellulare di Elliot, come a ricordare che il gioco è dopotutto solo uno show, uno spettacolo di equilibrismo senza rete in un'arena sotto il tendone, fra bande e fanfare in festa.
E difatti l'odissea morale di
13 Sins è cinema acido e affilato, un Freakshow funambolico ed equivoco, dove egli agita dramma e black humor in una messinscena al vetriolo come il gioco tragico di un clown. Certo, il tema come detto non è nuovo, anzi, di originale ha ben poco, dopotutto del prezzo della salvezza di fronte al denaro è una provocazione di cui il cinema horror si è già occupato, da
The Box a
The Game (non dimenticando, anche se è uscito dopo,
Nerve, io infatti l'ho visto prima), ma il fascino sta nella confezione.
13 Peccati è infatti un horror solido, un film che già dalle prime scene (leggermente sconvolgente la prima), mostra la sua caratura narrativa. Un film che sa come gestire i tempi narrativi, un film che presenta un mistero avvincente che ci traghetta fino ad un climax non proprio banale. Forse un finale troppo buonista poteva essere evitato, tuttavia un film inaspettatamente riuscito è questo. E poi ci sono le sfide, ognuna un po' più cattiva e più insidiosa dell'ultima, missioni che in questo one man show dimostrano di essere allo stesso tempo avvincenti e sadicamente divertenti, sfide che portano Elliot a subire una vera e propria trasformazione, da uomo qualunque a uomo alle prese col suo mostro interiore. Non a caso il vero scopo del gioco è quello dimostrare che chiunque può trasformarsi in un mostro. Come si trasforma il protagonista interpretato da
Mark Webber, un attore capace, intenso e verso il quale si prova subito una simpatia umana, che dopotutto è determinante per la credibilità del film, è lui decisamente uno degli elementi più forti, giacché gran parte della trama e della fruizione della pellicola poggia sulle sue spalle. Una pellicola che sa come attirare lo spettatore, orbitando in un'orribile circuito di oscurità morale, avidità e morte. Un circuito comunque non lineare o perfettamente asfaltato, poiché ciò che resta è la sensazione che tutto il sotto testo cospirativo (sinceramente senza capo né coda) sarebbe dovuto essere meglio argomentato, esplicato in modo più esauriente, tuttavia nonostante ciò, questo film, questa chicca (che ho scoperto grazie ad una recensione di un amico blogger), di qualità comunque bassa e solo moderatamente tesa od orrorifica, merita una visione, soprattutto dagli amanti del genere. Voto: 6,5