martedì 30 aprile 2019

Il premio (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/08/2018 Qui - A partire da un curioso spunto on the road, che si rapporta palesemente con un vissuto da figlio d'arte e con i retaggi famigliari di un'esperienza prossima all'autore, Alessandro Gassmann torna dietro la macchina da presa dopo Razzabastarda (film che tuttavia non ho visto e forse mai vedrò..) per il racconto di un viaggio in cui un padre ingombrante e carismatico fa i conti con i propri cari. Un dispositivo non nuovo, al quale Il premio, film italiano del 2017 diretto e interpretato da Alessandro Gassmann, si appoggia per orchestrare uno spostamento da Roma a Stoccolma (dove un anziano scrittore dovrà arrivare per ritirare il premio Nobel alla Letteratura) in cui succederà di tutto e molte tensioni sopite (banalmente) verranno a galla, tra scoperte e malinconie, tra durezza e risate (dopotutto mica normale è la famiglia di Giovanni Passamonte). Dunque poteva essere una prova ricca d'interesse, anche grazie alla partecipazione di Gigi Proietti, in un ruolo atipico rispetto a quelli brillanti, cui il grande artista ci ha abituato, giacché usando il suo carisma recitativo il tentativo in partenza sarebbe anche apprezzabile, soprattutto per la vena riflessiva e al contempo brillante con cui il regista prova a intavolare un confronto generazionale, ma gli esiti finali lo sono molto meno. Il film infatti prende subito la deriva della solita commediaccia all'italiana, farsesca quando va bene e volgare in numerosi snodi. Il tutto difatti si riduce specialmente nel primo tempo ad una serie di gag scontate e con alcune trovate veramente surreali, migliora nella seconda parte ma il danno ormai è fatto. Non per caso Il premio non decolla mai, perché i personaggi, per quanto definiti nelle singole caratteristiche, sono forzati all'inverosimile e appaiono calati dall'alto in maniera innaturale (poco credibile) dentro il racconto, un racconto che continua in questo modo, con tante scene poco credibili, con dialoghi molto forzati, fino alla fine in cui raggiunge l'apoteosi (del non credibile) con l'irrompere nella scena della premiazione, con momento retorico finale più che prevedibile: ben diverso era l'argentino Il cittadino illustre (confrontare i due discorsi di accettazione del premio per credere).
Ancor più farraginosa, al di là della regia diligente, è la sceneggiatura, firmata dal regista, Walter Lupo e Massimiliano Bruno, che alterna parentesi più misurate ad altre stonate e grossolane in cui dominano la risata facile, lo spunto grottesco ma mai fino in fondo, gag triviali da cinepanettone qualunque e scombinate sortite di grana grossa, momenti il più delle volte imbarazzanti e spesso scollegati l'uno dall'altro che fanno perdere la trebisonda al film, un film in cui i tanti spunti e registri sono mal dosati e non si armonizzano mai tra di loro, il finale poi chiude il cerchio in maniera frettolosa e irrisolta e la sensazione conclusiva è quella di un'occasione malamente persa. E tutto nonostante il buon cast, tra cui un Rocco Papaleo sempre bravo anche se condannato alla macchietta (con tanto di vizietto notturno da malato di porno) e una Anna Foglietta che meriterebbe uno spessore maggiore ai suoi personaggi, mentre Matilda De Angelis, rivelazione di Veloce come il vento, dovrebbe evitare di farsi risucchiare nella spirale dei volti nuovi che vengono chiamati a far da tappabuchi in numerosi film, con il rischio di bruciarsi in fretta. Dopotutto se in un film manca una buona sceneggiatura, puoi avere delle buone idee e dei bravi attori ma il risultato finale sarà deludente. Perché con una buona sceneggiatura e un impronta meno da commedia, i temi affrontanti (tipo il rapporto generazionale padri figli) avrebbero potuto essere più credibili, così invece perdono di spessore così come gli attori sembrano meno bravi di quello che in realtà sono. L'unico che forse un po' si salva (o almeno risulta più credibile nel suo personaggio) è Gigi Proietti. Non si salva invece il film, un film ordinario, anche perché il grande colpo a sorpresa non arriva. Voto: 4