sabato 8 giugno 2019

Appartamento ad Atene (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/09/2018 Qui - Un film che si colloca a metà strada tra un romanzo storico e una storia familiare, questo è Appartamento ad Atene, film del 2012 (tratto dal romanzo omonimo di Glenway Wescott) diretto da Ruggero Dipaola. Il film infatti, che descrive i diversi stati d'animo nonché le reazioni suscitate nei vari componenti di una famiglia greca in occasione della convivenza forzata nella propria casa con un austero capitano tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale, è un'interessante opera prima in cui il regista descrive molto accuratamente l'evolversi delle dinamiche relazionali che via via si instaurano (dalla rassegnazione rispettosa del padre, alla forzata sottomissione della madre, all'ammirazione ed al fascino suscitati nella bambina sino alla ribellione manifesta del figlio piccolo) e in cui lo stesso provi a far riflettere lo spettatore di come la Guerra, sia da una parte che dall'altra, distrugga la vita e l'anima di chi la conduce e la subisce, e che quindi tutti gli uomini sono uguali di fronte alla guerra e la morte. Difatti il tema centrale della pellicola è incentrato sulla fatidica domanda, cioè il simile (sciagurato, crudele e umano) destino può far si che nasca davvero un rapporto profondo tra il nazista (o qualsiasi governo dittatoriale) e i suoi "sudditi" (qualsiasi popolo che viene sfruttato)?. In tal senso è interessante il meccanismo che si genera tra il tirannico capitano Kelter e i suoi "servi": il padre è ossequioso fino a suscitare tensioni nella moglie (che pure non sa ribellarsi), e nel figlio, il ragazzo è preda di furore ma è troppo piccolo per poter fare qualcosa, la figlia è preda delle lusinghe che l'ufficiale le riserva, creando ulteriori tensioni. Ed è interessante anche il ritorno di Kelter da un viaggio in Germania (in cui, si scoprirà, è avvenuto qualcosa di tragico che lo riguarda), quando sembra cambiato, mansueto, "buono". Ma è un fragile equilibrio che è destinato a saltare, soprattutto se le ideologie hanno continuato a fare breccia nonostante tutto.
E quindi la risposta alla domanda è di difficile soluzione, soprattutto in tempo di guerra e quando il tutto avviene all'interno di una casa praticamente sequestrata. A tal proposito, seppur l'ambientazione, girata tutta in interni, come se si trattasse di un soggetto teatrale, è ben rappresentata, è a tratti troppo dispersiva e insistente nei particolari, anche se ciò è comprensibile e alla fine ci si sente integrati in quella casa, nel bene e nel male. E in tal senso c'è qualcosa di troppo programmatico e schematico nel film, e alcuni difetti che possono sconcertare. Per quanto all'altezza, gli interpreti italiani (Laura Morante compresa, in linea con i suoi standard ma senza scaldare il cuore) non sono credibilissimi come greci, a cominciare dal piccolo Vincenzo Crea che ha una dizione fortemente romana. Nettamente superiori il tedesco Richard Sammel (visto non solo in Bastardi senza gloria di Tarantino ma anche in The Strain, e sempre nelle straordinarie parti di nazista, lui è infatti un attore che con il solo sguardo è capace di intimorire) e soprattutto il "vero" greco Gerasimos Skiadaresis (che pure recita in italiano, ma con accento riconoscibile), che conferisce verità e sensibilità al personaggio del mite capofamiglia. Ma mentre gli attori fanno più o meno il loro dovere e il film riesce nell'intento di intrattenere, in verità un po' di pathos in più e qualche soluzione di regia più ardita, avrebbero conferito al film un valore aggiunto, rendendolo per questo più intenso e drammatico. Tuttavia, e nonostante altresì un epilogo abbastanza brusco, il film nel complesso si fa sufficientemente apprezzare. E se pensiamo che questa è la prima prova di lungometraggio, l'opera del regista è soddisfacente. Voto: 6+

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