Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/02/2019 Qui - Made in Italy (Drammatico, Italia 2018): Vent'anni dopo il suo cult Radiofreccia e il successivo Da Zero a Dieci (2001), Ligabue ci prova di nuovo, raccontando una normale storia di tutti i giorni ambientata nella provincia emiliana e ritrovando il sodale Stefano Accorsi, affiancato questa volta da Kasia Smutniak. Ma nuovamente non fa centro (o almeno non del tutto). Certo, mi aspettavo di molto peggio, ma tuttavia il poco di buono che c'è (tra i pregi la voglia di tentare di uscire da un facile schema e soprattutto un gruppo di attori impegnato a rendere credibili anche i momenti meno felici: Stefano Accorsi e Kasia Smutniak funzionano abbastanza bene, anche se entrambi hanno fatto di meglio, Fausto Maria Sciarappa ha un personaggio non scritto benissimo ma gestito dall'attore con classe, mentre il migliore in campo è Walter Leonardi) non basta a far raggiungere la sufficienza al film, un film ambizioso (il regista infatti riprende titolo e struttura di un suo recente concept album, ovvero un disco in cui, come si faceva una volta, attraverso le canzoni si racconta una storia, il film difatti raccolta le vicende della coppia Riko e Sara accompagnandole con le canzoni di Ligabue quasi come un musical, con effetti spesso da videoclip), discontinuo (con troppi alti e bassi, con troppe citazioni, slogan, spunti, sotto-storie e personaggi, e soprattutto svolte brusche) e difettato. Già nel tentativo di delineare una traccia di trama sorgono le prime difficoltà: Made in Italy vuole essere uno spaccato della vita di un tipico operaio di ceto medio-basso, raccontandone le difficoltà quotidiane dentro e fuori il mondo del lavoro, tra crisi economica e problemi coniugali. La vita e la città che sembrano stare troppo strette a Riko (Stefano Accorsi), che trova nell'adulterio e nelle serate con gli amici uno spiraglio per idealizzare e concretizzare una fuga dal "tanfo" del quotidiano. Ma la sceneggiatura di Ligabue, ahimè, è informe e risulta spesso fumosa, con moralismi banali e mal contestualizzati che si rivelano i punti cardine su cui si regge la storia (tra i difetti del film troppe scene e dialoghi al limite dell'imbarazzante). Di conseguenza, il film appare come uno showreel di scene montate una di seguito all'altra, tutte di varia natura, scandendo malissimo le stagioni che accompagnano la narrazione. L'opera tenta di accendere un'emozione o di trasmettere qualche brivido di felicità, ma si percepisce ampiamente come la genuinità di una bella storia, raccontata di pancia, sia stata uccisa dalla necessità di compiacere quanto più pubblico possibile, cercando di riflettere i disagi di Riko sullo spettatore. Il terzo film del Liga è come un piatto con ottimi ingredienti ma cotto male: lascia il grande rammarico per ciò che sarebbe potuto essere e non è stato. Ed è invece un film che per essere apprezzato nei suoi spunti di interesse, richiede uno spettatore ben disposto e magari tifoso (come sono i fan del cantante di Correggio), e sicuramente, se non si ama il personaggio Ligabue e le sue canzoni, meglio stare alla larga dal film (avrei dovuto seguirlo io il mio stesso consiglio), anche perché il "Ligabue pensiero" quando parla di politica e società è sempre parso molto banale, nelle canzoni e altrove. Va bene la sincerità di fondo, ma non così, non come in questo film. Voto: 5