Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/02/2019 Qui - Bye Bye Germany (Dramma, Germania, Lussemburgo, Belgio, 2017): Sam Garbarski prova a ripetere il tocco magico riuscitogli in Irina Palm: Il talento di una donna inglese, ossia affrontare un tema ispido con coraggio, ci riesce anche in questo film, un film sull'Olocausto che cerca di raccontarci l'orrore vissuto dal popolo ebreo, con grazia e un pizzico di umorismo, un film quindi molto particolare che prova ad unire momenti di ilarità ad attimi di puro pathos, quando i sopravvissuti ricordano le vicende peggiori della loro prigionia, in particolare sono gli eventi vissuti dal protagonista, David Bermann (interpretato da Moritz Bleibtreu) a tenerci incollati allo schermo per conoscere la sua buffa storia, quella di un sospettato di essere stato, nel corso della guerra, quando era nel campo di concentramento, un collaborazionista dei nazisti, quello di un commerciante di biancheria che mentre prova in tutti i modi a scagionarsi, continua il suo business, senza guardare in faccia a nessuno, ma non riesce a gestire i toni e i registri del film, gli manca innanzitutto l'umorismo e la leggerezza per giocare con la commedia su un terreno così scivoloso, e così facendo, il contrasto col lato drammatico del film si perde e il pathos sembra fuori luogo. L'intento della pellicola, c'è da dirlo, è lodevole perché prova a spiegare cosa abbia portato alcuni ebrei (ben 4.000, come apprendiamo alla fine della storia) a decidere di restare in Germania, piuttosto che tentare di rifarsi una vita in America. Sono uomini e donne che scelgono di non lasciare il paese che ha ucciso i loro sogni, le loro speranze, le loro famiglie. Sam Garbarski riesce, in parte, a farci capire che queste persone, nonostante non fosse umanamente pensabile l'idea di restare in Germania, sono rimaste per motivi profondamente legati alla natura umana: chi per possibile profitto, chi per opportunismo, chi per attaccamento a una terra che, nonostante gli abbia portato via molto, ha comunque chiamato casa, però sembra fare il cosiddetto passo più lungo della gamba. Il film infatti è abbastanza strambo, che paradossalmente fa più che ridere che piangere, che a volte annoia e non riesce a rendersi minimamente emozionante. E perciò detto questo Bye bye Germany non può che finire nel dimenticatoio, reo di aver sprecato l'attitudine anti manichea di Moritz Bleibtreu e la bellezza statuaria di Antje Traue in una mistura squilibrata, con un accavallamento di materiale che crea principalmente spifferi, nonostante le premesse avessero tutto il necessario (gli ebrei rimasti in Germania dopo la fine della guerra, gli imbrogli quotidiani, i dubbi e il ricorso a una vicenda clamorosa che tirava in mezzo lo stesso Hitler) per creare uno spartito valido per tutti i palati. In definitiva difatti, è questo un film sbiadito e confusionario. Voto: 5+