Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/09/2018 Qui - E' da 40 anni che la cinematografia horror propone ai suoi spettatori il format delle antologie, a partire dalla Trilogia del Terrore del 1975, passando per i vari Creepshow che hanno colorato gli '80, sino ad arrivare negli anni '90 con Due occhi diabolici e Campfire Tales: Racconti del terrore, eppure è solo negli ultimi anni che questa "moda" sembra esser ritornata, ovviamente riproposta in chiave moderna, grazie a V/H/S prima e The ABCs of death subito dopo (che in ogni caso non entrambi ho visto, almeno fino ad ora), antologie di genere che affondano le proprie radici nel cinema indipendente e low budget, con qualche nome di richiamo per i cultori dell'underground e la più totale libertà creativa concessa agli autori coinvolti. E tuttavia solo negli scorsi due anni sono riuscito vedere questo genere di pellicole, prima con Holidays e successivamente con Tales of Halloween, e in entrambi i casi ne rimasi abbastanza soddisfatto e particolarmente affascinato. Anche nel caso del film in questione, Southbound: Autostrada per l'inferno, horror indipendente a episodi, ognuno affidato a un regista differente, con molti dei nomi coinvolti che già hanno fatto capolino qua e là nelle altre antologie sopracitate (specialmente in V/H/S), che si colloca perfettamente quindi all'interno del panorama in questione, anche se, al contrario dei precedenti, qualcosa in questo film del 2015 diretto appunto da Radio Silence, Roxanne Benjamin, David Bruckner e Patrick Horvath, non mi ha convinto. Perché certo, a renderlo originale e diverso dagli altri, ci pensa l'idea o lo sforzo degli autori di dare una sorta di continuità alle varie storie, facendo sì che la conclusione di ognuna sfoci nell'incipit della successiva, ma la sua natura criptica, la sua frammentazione narrativa e la non coerenza di certe situazioni, proprio non aiuta.
Il film inoltre, un film molto particolare e difficile da catalogare, è un film che non inventa nulla, dopotutto Southbound è l'ennesimo omaggio (che coinvolge vari sottogeneri) ai grandi classici dell'horror (tra vampiri, spettri inquietanti, famiglie deviate e ospedali abbandonati, fino ad arrivare all'home invasion). Non dimenticando che i quattro "episodi", un po' come (prendendo molto con le pinze questo paragone) Pulp Fiction, si fondono e si completano a vicenda seguendo una narrazione ed un montaggio ellittici. L'ultimo episodio infatti rimanda al punto di partenza, indicando che tutto il film è in loop (una specie di gigantesca GIF di un'ora e mezza) e che la temporalità nella Zona-Purgatorio è circolare. Ma siccome esso è realizzato con passione e impegno, qualità che alcuni horror di oggi non sembrano affatto avere, e poiché interessanti sono le contaminazioni musicali rock-blues in tema con l'atmosfera sospesa tra il realismo dello splatter-horror e gli ammiccamenti dell'apologo fantastico (che ricordano quelle composte da John Carpenter) e ben realizzati sono i pochi effetti speciali in digitale, l'operazione si può definire riuscita. Inoltre l'ardente ambientazione, impreziosita dall'altalenante cambio ritmo, rende questo prodotto sufficientemente godibile e guardabile. Certo, non tutti gli episodi, come quasi sempre accade i questo tipo di film, sono sullo stesso livello, ma l'operazione nel complesso è soddisfacente e si può considerare difatti riuscita. Anche perché stranamente a convincere di questa miscellanea di storie apparentemente sconnesse (perché tutto torna nel finale) è proprio la ricognizione di importanti topoi del cinema fanta-horror (l'escaping movie alla The Hitcher, la cooptazione satanista, le manipolazioni telefoniche da Esperimento Milgram, la discesa agli inferi Dal Tramonto all'Alba, l'Arancia Meccanica di un assedio domestico alla Funny Games con tanto di risvolti del cinema Rape and Revenge) quale divertito pretesto per la messa in scena di una narrazione che intrattenga lo spettatore in attesa del disvelamento di una morale finale che unisca e dia un senso compiuto a tutte queste vicende.
Non a caso il film si snoda lungo il filo conduttore della spettrale morale di un senso di colpa che perseguita tutti i protagonisti e nell'unità di luogo e di tempo di un teatro dell'azione che finisce per precipitarli nell'incubo ad occhi aperti di un loop spazio temporale che si conclude proprio laddove era incominciato, intrappolandoli per sempre nella gabbia per topi di una dimensione dell'esistenza in cui il libero arbitrio è solo la triste illusione di povere anime condannate alla dannazione eterna. Southbound dopotutto risulta costituito peculiarmente da ritorni e reiterazioni di sentimenti, di elementi tematici e narrativi di raccordo, di ammiccamenti cinefili, mentre il paesaggio desolato funge da catalizzatore delle paure dei personaggi e da detonatore dell'evolversi degli eventi, il tutto, senza il ricorso a un episodio-cornice, al contrario di ciò che accade invece di frequente (ma non sempre) in produzioni di questo tipo. La ghignante voce off di un DJ radiofonico (fornita dal folletto Larry Fessenden, qui in versione esclusivamente acustica) è la persistente compagna di viaggio dei viaggiatori dispersi e scandisce l'inizio dei primi tre episodi, la metà del quarto, la metà e la fine del quinto (che poi è il ritorno circolare dell'inizio), con la voce del DJ a fungere da traghettatore acusmatico dal regno dei vivi a quello delle anime sospese, oltre che da coro delle vicende narrate. Va da sé che non tutto procede in modo coerente e convincente, con molti salti tematici e qualche eccesso gore di troppo ma il registro è insolitamente uniforme per una antologia di cinque episodi scritti e diretti da quattro mani diverse, ed i personaggi hanno caratterizzazioni più che adeguate nonostante il cast di semi-sconosciuti che lo popola. Un'antologia che parte in media res, un continuo mostrato che annienta qualsiasi tipo di spiegone, le domande rimangono più in vista delle risposte ma c'è una grande costruzione sulfurea, sporca e con una propria mitologia che viene sfiorata quanto basta per saziare la curiosità anche se tutto rimane sospeso.
E in tal senso vediamo nel dettaglio gli episodi. L'azione si svolge in uno dei tanti territori desertici che punteggiano il confine tra Stati Uniti e Messico, in cui può accadere di tutto come dimostrato già da innumerevoli horror. Cinque sono i capitoli attraverso cui la storia (o le storie) si dipana: The Way Out, dei Radio Silence: due uomini in viaggio arrivano in un'area di servizio abitata da mostri che ricordano i Dissennatori di Harry Potter (qui capiamo che uno dei due è alla ricerca della figlia, che vede sfuggirgli e non riesce mai a raggiungere). Siren di Roxanne Benjamin: le componenti di una band musicale rimaste in panne con il loro furgone vengono soccorse e ospitate a casa di una premurosa coppia di anziani che si riveleranno tutt'altro (solo una delle giovani riesce a fuggire, ma la sua corsa è breve perché viene investita da un automobilista che chiama il 911, peccato che a rispondergli sia una psicopatica). The Accident di David Bruckner: dopo aver investito una ragazza (la ragazza di prima), l'uomo la porta in ospedale, ma quando arriva lì lo trova completamente deserto. Jailbreak di Patrick Horvath (quasi certamente il peggior episodio perché alquanto sconnesso e senza logica alcuna), in un losco bar nei pressi dell'ospedale, troviamo alcuni loschi individui consumare il proprio drink, quando improvvisamente un uomo armato irrompe nel locale, minacciando i presenti di aiutarli a trovare la sorella scomparsa anni prima. Danny viene accontentato, ma quello che trova non è certo quello che si aspettava. The Way In (una famiglia viene assalita da un gruppo di tre uomini mascherati decisi a vendicare un torto commesso) dei Radio Silence: il cerchio si chiude. Scopriamo infatti che si tratta dei due tizi visti all'inizio (dei tre uno viene ucciso dalle bestie che sembrano altresì, come paragone, venir fuori direttamente dai racconti di Lovecraft) e il loop temporale di Southbound si perpetua in ciò che ha tutta l'aria di essere quindi una perpetua rappresentazione infernale.
E quindi nel suo insieme Southbound: Autostrada per l'inferno appare come un vero concentrato di tutte le tematiche care e ricorrenti nell'horror moderno e non, riuscendo a coprire sfumature di sottogeneri differenti. Il registro dell'opera è bilanciato in maniera equilibrata, un mix che racchiude tensione, splatter, mistero, soprannaturale, azione, sadismo e malessere esistenziale (l'impressione infatti è un po' quella di essere stati catapultati all'interno di un fumetto dello Zio Tibia, dove gore, grottesco e suspense trovano il giusto equilibrio). Un film che, nonostante la narrazione frammentaria, appare sufficientemente solido e scorrevole, diretto con criterio e discretamente interpretato nonostante nel cast non vi siano nomi di spicco. Ma il maggior pregio di Southbound: Autostrada per l'inferno, uno di quegli horror che hanno poche pretese, ma che riescono a soddisfare l'appassionato di un certo cinema con un horror puro e diretto, è, una volta tanto, quello di non nascondersi dietro il facile escamotage del found footage raccontando le sue vicende con uno stile di regia classico. E' per questo che il film è sicuramente è una delle migliori antologie di genere in cui ci si possa imbattere nel mare di prodotti similari che negli ultimi anni stanno affollando il panorama, anche se come più volte ripetuto, in quest'horror sporco e cattivo, che offre un'ora e mezza di buon intrattenimento e anche qualcosa in più (il finale e il modo in cui si ricollegano i vari episodi è originale e simpatico), non tutto è perfetto. Southbound è difatti un'operazione particolare, in cui tuttavia si poteva fare decisamente meglio di così perché deboluccio in alcuni momenti, maledettamente interessante in altri (dei cinque episodi il migliore è il terzo, quello dell'uomo che investe la ragazza in mezzo alla strada e viene convinto da una voce femminile al cellulare a praticarle, tra le altre cose, un massaggio cardiaco sottopelle...da brivido, ma col sorriso sulla bocca) il film intrattiene solo quel minimo necessario per risultare un lavoro abbastanza apprezzabile e diverso dal solito, ma nulla più. Eppure questo film, pur con qualche difetto, è consigliato all'amante dell'horror poiché complessivamente riuscito. Voto: 6+
Non a caso il film si snoda lungo il filo conduttore della spettrale morale di un senso di colpa che perseguita tutti i protagonisti e nell'unità di luogo e di tempo di un teatro dell'azione che finisce per precipitarli nell'incubo ad occhi aperti di un loop spazio temporale che si conclude proprio laddove era incominciato, intrappolandoli per sempre nella gabbia per topi di una dimensione dell'esistenza in cui il libero arbitrio è solo la triste illusione di povere anime condannate alla dannazione eterna. Southbound dopotutto risulta costituito peculiarmente da ritorni e reiterazioni di sentimenti, di elementi tematici e narrativi di raccordo, di ammiccamenti cinefili, mentre il paesaggio desolato funge da catalizzatore delle paure dei personaggi e da detonatore dell'evolversi degli eventi, il tutto, senza il ricorso a un episodio-cornice, al contrario di ciò che accade invece di frequente (ma non sempre) in produzioni di questo tipo. La ghignante voce off di un DJ radiofonico (fornita dal folletto Larry Fessenden, qui in versione esclusivamente acustica) è la persistente compagna di viaggio dei viaggiatori dispersi e scandisce l'inizio dei primi tre episodi, la metà del quarto, la metà e la fine del quinto (che poi è il ritorno circolare dell'inizio), con la voce del DJ a fungere da traghettatore acusmatico dal regno dei vivi a quello delle anime sospese, oltre che da coro delle vicende narrate. Va da sé che non tutto procede in modo coerente e convincente, con molti salti tematici e qualche eccesso gore di troppo ma il registro è insolitamente uniforme per una antologia di cinque episodi scritti e diretti da quattro mani diverse, ed i personaggi hanno caratterizzazioni più che adeguate nonostante il cast di semi-sconosciuti che lo popola. Un'antologia che parte in media res, un continuo mostrato che annienta qualsiasi tipo di spiegone, le domande rimangono più in vista delle risposte ma c'è una grande costruzione sulfurea, sporca e con una propria mitologia che viene sfiorata quanto basta per saziare la curiosità anche se tutto rimane sospeso.
E in tal senso vediamo nel dettaglio gli episodi. L'azione si svolge in uno dei tanti territori desertici che punteggiano il confine tra Stati Uniti e Messico, in cui può accadere di tutto come dimostrato già da innumerevoli horror. Cinque sono i capitoli attraverso cui la storia (o le storie) si dipana: The Way Out, dei Radio Silence: due uomini in viaggio arrivano in un'area di servizio abitata da mostri che ricordano i Dissennatori di Harry Potter (qui capiamo che uno dei due è alla ricerca della figlia, che vede sfuggirgli e non riesce mai a raggiungere). Siren di Roxanne Benjamin: le componenti di una band musicale rimaste in panne con il loro furgone vengono soccorse e ospitate a casa di una premurosa coppia di anziani che si riveleranno tutt'altro (solo una delle giovani riesce a fuggire, ma la sua corsa è breve perché viene investita da un automobilista che chiama il 911, peccato che a rispondergli sia una psicopatica). The Accident di David Bruckner: dopo aver investito una ragazza (la ragazza di prima), l'uomo la porta in ospedale, ma quando arriva lì lo trova completamente deserto. Jailbreak di Patrick Horvath (quasi certamente il peggior episodio perché alquanto sconnesso e senza logica alcuna), in un losco bar nei pressi dell'ospedale, troviamo alcuni loschi individui consumare il proprio drink, quando improvvisamente un uomo armato irrompe nel locale, minacciando i presenti di aiutarli a trovare la sorella scomparsa anni prima. Danny viene accontentato, ma quello che trova non è certo quello che si aspettava. The Way In (una famiglia viene assalita da un gruppo di tre uomini mascherati decisi a vendicare un torto commesso) dei Radio Silence: il cerchio si chiude. Scopriamo infatti che si tratta dei due tizi visti all'inizio (dei tre uno viene ucciso dalle bestie che sembrano altresì, come paragone, venir fuori direttamente dai racconti di Lovecraft) e il loop temporale di Southbound si perpetua in ciò che ha tutta l'aria di essere quindi una perpetua rappresentazione infernale.
E quindi nel suo insieme Southbound: Autostrada per l'inferno appare come un vero concentrato di tutte le tematiche care e ricorrenti nell'horror moderno e non, riuscendo a coprire sfumature di sottogeneri differenti. Il registro dell'opera è bilanciato in maniera equilibrata, un mix che racchiude tensione, splatter, mistero, soprannaturale, azione, sadismo e malessere esistenziale (l'impressione infatti è un po' quella di essere stati catapultati all'interno di un fumetto dello Zio Tibia, dove gore, grottesco e suspense trovano il giusto equilibrio). Un film che, nonostante la narrazione frammentaria, appare sufficientemente solido e scorrevole, diretto con criterio e discretamente interpretato nonostante nel cast non vi siano nomi di spicco. Ma il maggior pregio di Southbound: Autostrada per l'inferno, uno di quegli horror che hanno poche pretese, ma che riescono a soddisfare l'appassionato di un certo cinema con un horror puro e diretto, è, una volta tanto, quello di non nascondersi dietro il facile escamotage del found footage raccontando le sue vicende con uno stile di regia classico. E' per questo che il film è sicuramente è una delle migliori antologie di genere in cui ci si possa imbattere nel mare di prodotti similari che negli ultimi anni stanno affollando il panorama, anche se come più volte ripetuto, in quest'horror sporco e cattivo, che offre un'ora e mezza di buon intrattenimento e anche qualcosa in più (il finale e il modo in cui si ricollegano i vari episodi è originale e simpatico), non tutto è perfetto. Southbound è difatti un'operazione particolare, in cui tuttavia si poteva fare decisamente meglio di così perché deboluccio in alcuni momenti, maledettamente interessante in altri (dei cinque episodi il migliore è il terzo, quello dell'uomo che investe la ragazza in mezzo alla strada e viene convinto da una voce femminile al cellulare a praticarle, tra le altre cose, un massaggio cardiaco sottopelle...da brivido, ma col sorriso sulla bocca) il film intrattiene solo quel minimo necessario per risultare un lavoro abbastanza apprezzabile e diverso dal solito, ma nulla più. Eppure questo film, pur con qualche difetto, è consigliato all'amante dell'horror poiché complessivamente riuscito. Voto: 6+