sabato 21 dicembre 2019

Bellezze cinematografiche/serialtelevisive edizione 2019

Classifiche pubblicate su Pietro Saba World il 21/12/2019 Qui - Uno dei momenti più attesi dal mio pubblico maschile, e femminile chi lo sa (sono aperto a tutti), è finalmente giunto. E' il momento infatti della mia ode alla bellezza ed alla sensualità. Il Saba Beauty Awards è un premio difatti, anche quest'anno in un'unica versione (sia cinematografica che serialtelevisiva), che appunto premia le più belle donne apparse in tutte le pellicole e serie tv viste durante l'anno. In tal senso, poiché è ovvio che la scelta può essere stata "condizionata" dalle scene particolarmente hot di alcune di queste protagoniste, raccomando ai lettori che se le foto di seni nudi o altro vi infastidiscono e le trovate disdicevoli, di ignorare questo post. Agli altri invece, che apprezzeranno il suddetto post, di non essere volgari e di non esagerare nei commenti. A tutti comunque calma e sangue freddo. Ma prima di cominciare vediamo chi è la madrina di quest'anno, l'anno scorso fu Margot Kidder (la Lois Lane di Superman, qui), oggi ed ora, se non l'avete ancora riconosciuta, è Doris Day, la fidanzata d'America, scomparsa a maggio scorso all'età di 97 anni. Se non sapete chi è (cosa comunque plausibile visto che attiva come attrice dagli anni quaranta ai sessanta) vi invito a rivolgervi a Google. Detto ciò, torniamo a noi, e vediamo chi quest'anno non ci sarà, anche se ne avrebbe avuto tutto il diritto. Sì perché per evitare di vedere sempre le stesse protagoniste, devo rinunciare a qualcuna. E quest'anno in ambito cinematografico devo rinunciare alla bellissima Jennifer Lawrence di Red Sparrow, alla deliziosa Blake Lively di Chiudi gli occhi, alla graziosa Katherine Langford di Tuo, Simon, alla sensualissima Emily Ratajkowski di Come ti divento bella!, alla dolce coppia Shailene Woodley/Brie Larson di The Spectacular Now, alla "Bella" Thorne di Sei ancora qui ed alla selvaggia Miriam Leone di Metti la nonna in freezer, mentre in ambito televisivo al fantastico trio di giovani donzelle Lili Reinhart, Camila Mendes e Madelaine Petsch della seconda stagione di Riverdale.

venerdì 20 dicembre 2019

Le migliori colonne sonore dei film visti nel 2019

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 20/12/2019 Qui - Eccolo qui l'ultimo post cinematografico, quello che chiude (anche se domani ci sarà quello speciale) le classifiche di questo 2019. E non poteva che essere quello relativo all'elemento mancante, dato che in questi giorni ho premiato gli attori/attrici e tutti gli aspetti tecnici, ovvero quello musicale, a chiudere (come già capitato l'anno scorso, qui, e gli anni prima) il tutto. Sì perché l'aspetto musicale, relativo alla migliore colonna sonora originale, alla migliore colonna sonora non originale (ovvero le musiche) ed alla miglior canzone, merita un suo spazio singolo, dopotutto è anche grazie a ciò che il cinema può definirsi cinema.

MIGLIOR CANZONE
3. Non spettacolare come quella del precedente lungometraggio del franchise di The LEGO Movie, ma ugualmente di gran presa
2. E' cantata dalla stessa protagonista del film questa dolcissima melodia, trattasi di Joanna Kulig e del film Cold War, e niente, proprio bella
1. This Is Me ha vinto un Golden Globe, Never Enough è stata molto apprezzata, ma io gli preferisco (anche se tutte e tre sono di gran livello) un'altra,
ossia questa qui, che vince quindi il Saba Cine Awards 2019 per la migliore canzone

MIGLIOR COLONNA SONORA NON ORIGINALE
Prima di cominciare tre meritate menzioni alle musiche elettrizzanti di Deadpool 2, a quelle "contadine" de La truffa dei Logan
e a quelle immortali di Get on Up (il biopic su James Brown)
5. Quella tanto vecchio stile del film 7 sconosciuti a El Royale, ambientato a fine anni '60
4. E' James Brown incredibilmente a dare il via alla soundtrack di BlackKklansman, dove la cultura black, musicalmente parlando, brilla
3. Una strabiliante selezione di musica anni '60 per il più che discreto Green Book (il miglior film secondo l'Academy del 2019)
2. Una selezione davvero interessante (fantastica) all'interno dello spettacolare action fantascientifico pop Ready Player One
1. C'erano dubbi? Personalmente no, perché se ami i Queen non puoi non premiarli, non puoi non farli vincere il Saba Cine Awards 2019 per le musiche,
anche perché Bohemian Rhapsody è un film su di loro, un film emozionante e coinvolgente

MIGLIOR COLONNA SONORA ORIGINALE
Prima di cominciare due meritate menzioni alle rivisitazioni di Michael Giacchino della traccia originale (ma non solo) per Gli Incredibili 2
e di quella di John Carpenter, Cody Carpenter, and Daniel Davies della traccia originale (ma non solo) per Halloween (2018)
5. Max Richter non può mancare, questa volta è per un film non propriamente riuscito, ovvero Maria Regina di Scozia, ma meglio che niente
4. Quarto posto per la ruggente, tecno giappo e quant'altro di Alexandre Desplat per L'isola dei cani
3. Il film lascia a desiderare, ma davvero efficace e bellissima è quella prodotta da Nicholas Britell per Se la strada potesse parlare
2. E' una, ma basta e avanza, perché la main theme di Tre Manifesti ad Ebbing, Missouri è abbastanza, abbastanza stupenda
1. Vince il Saba Cine Awards 2019 per la migliore colonna sonora originale Alexandre Desplat, che ne La forma dell'acqua si supera più del solito,
non gli basta infatti entrare in classifica una sola volta, lui vuole stravincere, e lo fa con delle sonorità,
in particolare quelle che esplodono nel brano primario, semplicemente straordinarie (emozionanti)

giovedì 19 dicembre 2019

Le migliori attrici e i migliori attori, più altri premi, dei film visti nel 2019

Classifiche pubblicate su Pietro Saba World il 19/12/2019 Qui - Se un film è finito nella Top 15 e nella lista dei migliori film del genere ci sarà stato un perché, e la mia risposta a questi perché (almeno per una buona parte di questi perché) ve la do io oggi tramite questo post. Infatti, e in tal senso, non cambia il metodo (e il modo, invariato dallo scorso anno, potete vedere qui) di suddivisione dei premi, le colonne sonore ci saranno domani, e vengono qui e oggi (virtualmente) premiati gli attori e le attrici, con loro (a fine post) tutti i premi tecnici più importanti, che più mi hanno convinto durante l'anno. E siccome sono tanti non perdo tempo e ve li presento. Tuttavia una piccola nota, i link alle recensioni ci saranno in ordine di apparizione.

I MIGLIORI ATTORI
8. Ex aequo in ottava posizione per il trio "violento", a Chris Pine e Ben Foster ci si aggiunga Jeff Bridges che in foto non c'è, di Hell or High Water,
per il figlio di Denzel, John David Washington, strano suprematista bianco in BlacKkKlansman, per il bravo Timothée Chalamet,
Chiamami col tuo nome non mi è piaciuto ma innegabile è il suo talento, per il sensibile Steve Carell di Benvenuti a Marwen,
per l'Adam Driver sobrio di Paterson e quello frizzante di BlacKkKlansman, per l'allunato Ryan Gosling di First Man,
per la coppia Hugh Jackman/Zac Efron di The Greatest Showman, per il sardonico James Franco di The Disaster Artist,
e infine per il virulento Michael Shannon de La forma dell'acqua
7. Denzel Washington è sempre sul pezzo, sia che si tratti di un film drammatico (End of Justice) che un action (The Equalizer 2)

mercoledì 18 dicembre 2019

I migliori film visti genere per genere del 2019

Lista pubblicata su Pietro Saba World il 18/12/2019 Qui - E mi ritrovo anche quest'anno nello stilare questa strana lista di film. Infatti, suddividendo i suddetti per genere ne viene fuori un bel "mappazzone". Qui difatti (come già accaduto precedentemente, qui) vengono escluse, ma dopotutto fare una classifica con 47 titoli quest'anno era impensabile (almeno per me), le prime 15 posizioni in "favore" di altri film dello stesso genere, o anche no. In ogni caso sono anche questi tanto belli da consigliarne, oltre a quelli di ieri, appunto la visione, giacché in considerazione vengono presi film da 7 di voto (che non è poco per i miei standard). E nel dettaglio 32 film per 9 categorie/genere, e a proposito, se il genere documentario non è presente non è poi una sorpresa (dato che non ne ho visto nemmeno uno), fa specie che non appaiano (anche se uno di entrambe è presente nella Top 15) neanche un film romantico/sentimentale che soprattutto di fantascienza, ma a volte dipende anche dalle annate oltre ai film di genere che si producono (che siano questi non un granché). Dimenticavo, nelle didascalie delle immagini troverete i link delle recensioni.

AZIONE + AVVENTURA/FANTASY
Azione: Revenge / American Assassin / Nella tana dei lupi / Fantasy: Ant-Man and the Wasp

martedì 17 dicembre 2019

La Top 15 dei migliori film visti quest'anno (2019)

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 17/12/2019 Qui - Il momento tanto atteso (almeno spero lo sia per chi mi segue) è arrivato. Siamo infatti al momento clou, a quel momento in cui si svela la classifica dei Top film dell'anno. Ebbene questa classifica, colpa forse dei miei giudizi abbastanza critici, ma più che giusti a parer mio, contiene una lista numericamente di pellicole decisamente "light", almeno rispetto alla precedente contenente 28 (consultabile qui), però è inutile girarci intorno, sono solo questi i film (vi basterà cliccare sull'immagine per leggere la mia recensione) che mi hanno davvero entusiasmato e convinto. E quindi, condivisibile o meno, ecco la mia Top 15.

15. Sorprendente horror che crea tensione, angoscia e paura in modo efficacissimo, film non perfetto ma originale e ben interpretato, insolito però convincente e brillante. (7+/10)
14. Film strano eppure stupefacente, l'assurdamente vero processo di creazione di una pellicola "controversa", tutto ben espresso grazie soprattutto a James Franco. (7+/10)

lunedì 16 dicembre 2019

I peggiori film visti dell'anno (2019)

Classifiche pubblicate su Pietro Saba World il 16/12/2019 Qui - Ahimè bisogna partire prima dal basso per arrivare in alto, cominciare dal peggio prima del meglio è quindi così fatto. Infatti mi trovo qui oggi (ma è necessario) a mostrarvi la selezione finale dei peggiori film dell'anno, a consegnare virtualmente alcuni Razzie Awards ai film al di sotto della soglia della mediocrità (ed anche più sotto ancora). Difatti, e come già successo lo scorso anno (qui), dopo le mie personali delusioni, ovvero quei film (non brutti e non del tutto sconsigliati) da cui mi aspettavo tanto e che invece hanno dato poco (e fortunatamente per loro che per gli altri, il 5 e 5,5 sono qui esentati), e dopo una selezione di titoli (divisi in base a generi) decisamente mediocri (dal 4 al 4,5 di voto) sarà il turno dei 7 film più brutti dell'anno, ovvero quei film assolutamente da sconsigliare in toto e da evitare senza problemi, senza aver rimpianti (quelli li ho avuti io avendoli ahimè visti). E insomma e in sostanza, eccoli:

DELUSIONI
Potevano sicuramente fare di più, è l'unica cosa che mi vien da dire, la delusione derivata dal discordante Venom, dall'insipido Maria Maddalena,
dal soltanto estetizzante Il filo nascosto, dal fiacco La prima notte del giudizio, dal sciatto Free Fire, dal soltanto pruriginoso Mektoub,
dal disordinato The Predator, dall'anonimo La ragazza nella nebbia e dalla castroneria di Widows, è stata infatti tanta, peccato.

lunedì 9 dicembre 2019

Movies Vintage Awards 2019

Classifica pubblicata su Pietro Saba World il 09/12/2019 Qui - L'avevo anticipato nel corso della scorsa classifica (qui) che avrei recuperato alcuni film degli anni '80 e '90 quest'anno, e così ho fatto, giustamente quindi non potevo non farne nuovamente una classifica. Una classifica che tuttavia contiene in questo caso due novità, la prima è che ci sono tre eccezioni, ci sono infatti tre film di produzione 2001 mentre avevo detto che la classifica era esclusivamente rivolta a film antecedenti gli anni 2000 (ma mi sembrava corretto fare in questo modo), la seconda è che tre film sono in questa lista pur non avendo una recensione, neanche la vincitrice, solo un commento, mentre nel caso di Flatliners e Predator (tutti comunque avranno un link di riferimento) la recensione è integrata a quella del remake/sequel recensito nell'anno corrente. Ma sia quel che sia, la classifica è fatta, corposa anche questa volta, contenente nuovamente a fine post la lista di alcuni premi (praticamente tutti) tecnici e non tecnici ad attori, registi e tutto il resto, da me assegnati. Non vi resta quindi che scorrere la classifica e (se volete) cliccare sulle immagini per approfondimenti.

18. Poco lineare, morboso come non mai e permeato da un senso di malattia decisamente fuori dal comune, eppure magnetico. (6/10)
17. Di notevole impatto, ambizioso, forse troppo, perché procede per accumulo, ma nel complesso sorprendente. (6+/10)

lunedì 2 dicembre 2019

The Monster (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Se sei stata per anni una madre degenere, alcolista e violenta, hai solo due modi per riconquistare l'amore della tua figlia preadolescente: portarla a Disneyland o salvarla da un mostro bestiale annidato nei boschi. Ed è quello che succede in questo comunque ambivalente horror scritto e diretto da Bryan Bertino, con protagonista Zoe Kazan (The Big Sick) e la quasi esordiente Ella Ballentine.
Trama: Kathy e la figlia Lizzy si perdono nei boschi. Finiscono così per rimanere intrappolate nel bel mezzo di una tremenda foresta. Come se non bastasse, sono inseguite da una terribile creatura che non è né umana né animale. In mezzo all'orrore e al caos primordiale, ridefiniranno il loro rapporto di madre e figlia.
Recensione: Il limite maggiore di The Monster è da ricercarsi in una trama fin troppo asciutta, in un certo qual modo scontata e già vista. C'è una situazione di "prigionia" seppur a cielo aperto, con il classico assedio assicurato da un predatore mostruoso (di cui origine e motivazioni resteranno misteriose) nei confronti di due donne rimaste in panne con l'auto nella solita zona isolatissima. La prima parte si sviluppa molto sull'attesa e l'entrata in scena del mostro non è niente male nonostante questi sembri il fratello anabolizzato di Venom. Vari soccorritori, tra cui poliziotti e meccanici, cadono come mosche fornendo gentilmente l'inevitabile carne da macello (nel trituratore ci finirà anche il povero Scott Speedman). Però il ritmo non manca e le scene d'azione sono tutto sommato ben congegnate. Tuttavia ad elevare dal possibile anonimato il lavoro di Bryan Bertino è il sottotesto inerente il rapporto tra madre e figlia, ovvero le due protagoniste, portato a galla con intelligenti flashback. The Monster senza di esso avrebbe davvero ben poche ragioni d'essere, ed invece il lavoro effettuato su questo aspro conflitto, con annesse aperture amorevoli davvero azzeccate, riesce a fornire la motivazione giusta per accollarsi la visione. L'interazione tra la ragazzina disperata e la madre incapace ed alcolizzata fornisce grande spessore e senso emotivo al tutto, con prese di coscienza bilaterali, dove da una parte il ruolo di madre diventa effettivo e, dall'altra, il sentimento sempre messo in dubbio assume connotati ben definiti. Ciò in cui pecca di più e che non mi permette di essere un tantino più generoso nel votarlo sta nella sua a tratti eccessiva lentezza, soprattutto nella prima parte che ci impiega fin troppo ad entrare nel vivo. Sicuramente per creare maggiore empatia con le due protagoniste e maggiore tensione nello spettatore, però purtroppo un paio di momenti di stanca si fanno sentire condizionandone negativamente la visione e il giudizio. Ma in ogni caso è questo un film, seppur certamente non memorabile per quanto riguarda i meri contenuti horror, tuttavia apprezzabile per la scrittura dei personaggi, da vedere.

Stonehearst Asylum (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Thriller psicologico dalle ambientazioni gotiche che sviscera il tema della pazzia.
Trama: Recentemente laureatosi alla scuola di medicina di Harvard, il giovane medico Edward Newgate (Jim Sturgess) fa il suo apprendistato presso un istituto di igiene mentale. Qui, ha modo di conoscere Eliza Graves (Kate Beckinsale), una delle pazienti. Innamorandosi di lei, si ritroverà coinvolto in una serie di circostanze molto più complicate e pericolose di ciò che sembrano.
Recensione: La storia, come detto, è ambientata in un fittizio manicomio inglese di fine ottocento dove, casualmente, il nostro protagonista si troverà immischiato in strani avvicendamenti, causati a quanto pare dal direttore nel tentativo di mascherare la verità. La trama non è una delle più fresche ed innovative (Shutter Island ad esempio) ma riesce comunque nell'intento di intrattenere e convincere durante l'intera durata. L'opera di Brad Anderson (regista non di primo pelo, ha diretto per esempio il discreto L'uomo senza sonno), basata su di un racconto di Edgar Allan Poe (Il sistema del dott. Catrame e del prof. Piuma), passa dalla parvenza horror al thriller psicologico con la (riuscita) pretesa della denuncia socio-politica, dove i veri pazzi sono coloro che ci governano. Addobbato con tanto di twist finale, questo thriller (perché di questo alla fine parliamo), difficilmente può fare impazzire i non amanti del genere, ma può convincere coloro che amano manicomi, omicidi e le trame assurde (come me). La durata non eccessiva e il cast stellare (quest'ultimo vanta tra gli altri, i nomi di Jim Sturgess e Kate Beckinsale, il primo all'epoca reduce dalla più che discreta interpretazione ne La Migliore Offerta, la seconda eroina romantica di film come Pearl Harbor e The Aviator, ma soprattutto eroina feroce nel mondo di Underworld, ad accompagnarli mostri sacri come Ben Kingsley, che, guarda caso, aveva già interpretato il ruolo del gestore di un manicomio in Shutter Island di Martin Scorsese, nel ruolo di un medico folle e distrutto dai dolori della guerra e Michael Caine, come sempre all'altezza dell'interpretazione breve ma essenziale) fanno di Stonehearst Asylum un buon titolo, nulla di più. Un film interessante e riuscito, non privo di colpi di scena, atmosfera "riuscita" per raccontare una storia sulla follia e sulla mente umana.

This Is Where I Leave You (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Commedia agrodolce basata sul romanzo Portami a casa (This Is Where I Leave You) di Jonathan Tropper, che ha curato anche la sceneggiatura.
Trama: Quando il loro padre muore, quattro fratelli adulti di origini ebree (ognuno schiacciato dalla propria esistenza) sono costretti a tornare alla loro casa di infanzia e a vivere sotto lo stesso tetto per una settimana insieme alla madre e a un assortimento vario di coniugi, ex e occasioni mancate. Confrontando le loro storie e gli status delle loro relazioni, ritroveranno loro stessi in mezzo al caos, all'umorismo, all'angoscia e ai pentimenti, che solo una famiglia può generare.
Recensione: Ricorda in parte e con le dovute proporzioni "Il grande freddo" e altri simili. In America il funerale è un evento celebrato in modo più intenso, più evocativo rispetto alle nostre convenzioni. I parenti più stretti e gli amici più intimi, fanno un discorso in cui si parla del defunto, se ne raccontano gesta, episodi, aneddoti e quant'altro. Poi si fa un pranzo sontuoso che è quasi come quello nuziale. Naturalmente in tali occasioni si possono incontrare e rivedere persone che si sono perse di vista da tempo e qui scattano perversi ed arcani meccanismi. Ci possono essere chiarimenti o al contrario emergono rancori sopiti, possono riproporsi amori mai dimenticati o ci si può accorgere di non amare più, insomma è in qualche modo il momento della verità o la resa dei conti che dir si voglia. Questo film è tutto questo e altro. Questo film sembrerebbe quindi la classica trama vista e rivista che percorre binari ampiamente sfruttati fino allo sfinimento dal cinema. Dov'è la novità allora? Per come viene raccontata la storia, per l'umanità e allo stesso tempo la malinconia che riesce a trasmette, per il modo in cui vengono affrontati i legami tra i personaggi, tutti più o meno disillusi ma allo stesso tempo decisi come non mai a dare sterzate definitive alle loro vite, per la perfetta alternanza tra situazioni comiche ed ironiche ad altre più serie. Ma soprattutto gran parte del merito è del cast corale, perfettamente assortito dove tra tutti spicca la maschera ironica e amara di Jason Bateman. Accanto a lui brilla tutto il resto del cast, da Jane Fonda a Tina Fey, dalla bravura e istrionismo di Adam Driver, alla bellezza candida di Rose Byrne, da Corey Stoll a Timothy Olyphant, da Kathryn Hahn ad Abigail Spencer. Insomma un buon film, che seppur esagera in certe (anche troppe) occasioni, si fa sufficientemente apprezzare.

Mio figlio (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Che cosa fareste se vostro figlio venisse rapito? Come reagireste? Andreste fuori controllo? Sono questi gli interrogativi che ci pone questo thriller di Christian Carion.
Trama: Julien è costantemente in viaggio per lavoro e la sua continua assenza da casa ha finito per rovinare il suo matrimonio. Durante una sosta in Francia, riceve un messaggio dalla turbata ex moglie: Mathys, il loro figlio di sette anni, è scomparso. Julien inizia allora a mettersi sulle tracce del piccolo, disposto a tutto pur di ritrovarlo.
Recensione: Girato in soli sei giorni di riprese e con un piccolo cast, Mio figlio racconta una caccia all'impazzata lungo i paesaggi innevati del Vercos. Un thriller dallo stile asciutto che ci mostra in modo incisivo e reale cosa può succedere nella testa di un uomo a cui scompare improvvisamente il figlio. Questa è infatti la storia di Julien (interpretato benissimo da Guillaume Canet, che è sempre bravo ma che qui è particolarmente ispirato, forse spronato dalla sfida della prova impulsiva richiesta dal regista), un ingegnere che a causa del suo lavoro è sempre in giro per il mondo. Le continue assenze dell'uomo hanno mandato in frantumi il matrimonio con Marie (la bella Mélanie Laurent) che però un giorno lo chiama per informarlo che il loro bambino di sette anni, Mathys, è scomparso. A questo punto il film diventa anche un po' Prisoners di Denis Villeneuve, e il regista con la sua cinepresa si preoccuperà di mettere alla prova la tenuta dei nervi del personaggio principale cercando di capire fino a che punto egli sia disposto a spingersi pur di ritrovare il suo bambino.  Ma a differenza del film con Hugh Jackman e Jake Gyllenhaal l'esplorazione psicologica e l'approfondimento emotivo del protagonista è lasciato spesso e volentieri in secondo piano, non c'è la città e il contesto borghese ma ci sono le Alpi e soprattutto c'è una generale pochezza narrativa che sfida le convenzioni del genere e si fa più esperimento che film d'investigazione. L'obiettivo del film non sembra tanto quello di raccontare una storia coinvolgente e appassionante, quanto quella di vedere cosa è capace di fare un attore di indubbie qualità artistiche senza un copione fra le mani: in questo modo (per certi versi geniale) lo spaesamento di Guillaume Canet, chiamato ad un'improvvisazione continua, rispecchia in pieno quella di Julien, la cui ricerca procede per tentativi, senza un piano ben preciso, spesso estemporanea. C'è una forza brutale nascosta insita in questo padre disperato che l'attore parigino è bravo a nascondere e a mostrare a intermittenza, lavorando di sottrazione, e Christian Carion è bravo a gestire tutto questo talento che lui stesso qui scoperchia, come un vaso di Pandora o un purosangue lasciato a briglia sciolta.

Ogni giorno (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo teen di David Levithan.
Trama: Rhiannon è una timida sedicenne che si innamora di uno spirito misterioso che, chiamato A, cambia corpo ogni giorno. Più il sentimento che provano si fa grande, più Rhiannon e A dovranno fare i conti con cosa significhi amare qualcuno che ogni 24 ora cambia faccia e aspetto, prendendo una decisione che trasformerà le loro esistenze per sempre.
Recensione: Il sottogenere young adult educativo si arricchisce di un nuovo titolo con Ogni giorno, dopo (solo per fare qualche recente esempio) di Prima di domani. E, in comune con Prima di domaniOgni giorno ha un elemento fantasy (allora la morte della protagonista a ogni fine giornata, stavolta il trasferimento ogni maledetto giorno da un corpo all'altro di un'anima in pena) elemento che non viene spiegato e resta come dato di fatto insito al comportamento dei personaggi e non legato a una maledizione che può essere emendata cercando di capire chi ne sia l'artefice. Così, quel che accade in Ogni giorno è che i protagonisti innamorati l'uno dell'altro, nel momento in cui hanno capito e accettato il fatto che il lato maschile è soggetto a tale mutazione quotidiana (visto che si impossessa per 24 ore del corpo di un altro ragazzo o di un'altra ragazza), non cercano di porvi rimedio, di risolvere tale situazione, ma la assecondano, almeno fin quando non si rendono conto che non possono andare avanti a quel modo. Così, al contrario del bel film di Ry Russo-Young, questo film lascia un po' a desiderare. Perché la morale del film è talmente palese e grossolana che va ad inficiare molto il risultato finale, il messaggio è infatti quello "semplice" che ci si dovrebbe innamorare della persona per quello che rappresenta e che ci può dare, non per il suo aspetto fisico (eppure la nostra protagonista non neghi che "aiuti" in certe "faccende"). Certo, non si può non rimanere almeno in parte colpito dall'originalità dello script (anche se è un tema molto caro alla fantascienza e al fantasy quello di incarnarsi in un altro corpo, 10 volte meglio è Your Name.), certo, è un film comunque gradevole e che si lascia vedere, ma entusiasma poco questo Ogni giorno, piuttosto ripetitivo e per nulla originale quando si tratta di esplorare l'universo giovanile post adolescenza. La protagonista non mi convince, i dialoghi si alternano tra il serioso e l'incomprensibile, le vicende che si intrecciano non hanno grande appeal e tutto scivola via senza grande vivacità e, cosa più importante, privo della giusta carica emozionale. E insomma, nonostante un plot potenzialmente interessante, giudico questo film abbastanza ordinario nella sua caratterizzazione. Un film non assolutamente da buttare, ma si poteva fare di più, quantomeno spiegare cosa effettivamente "volasse" tra un corpo ed un altro. A descriverlo sarebbe la versione edulcorata di qualche "exorcism movie", ma non è nulla di orrorifico, anzi, regnano i buoni sentimenti pre-disillusori degli adolescenti. In tal senso, tutto già visto.

The Domestics (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/12/2019 Qui
Tema e genere: Avventura post apocalittica scritta e diretta da Mike P. Nelson.
Trama: In un terrificante mondo post apocalittico abitato da violente gang divise in fazioni, Nina (Kate Bosworth) e Mike (Tyler Hoechlin) viaggiano attraverso il paese, desolato e senza legge, in cerca di salvezza. Dopo il cataclisma pochi sono sopravvissuti, le città sono state abbandonate e i gruppi di superstiti si sono organizzati in bande in lotta tra loro. Ogni fazione rappresenta una specie di "incubo americano" e i loro membri non si fermano davanti a nulla, con il predominio come unico obiettivo. Restare vivi non sarà facile.
RecensioneThe Domestics è sicuramente un thriller old school che si ispira a Mad Max di George Miller e che non esita a rivisitare i topoi narrativi dei viaggi on the road attraverso paesi completamente devastati all'indomani di un collasso sociale (ma anche economico e tecnologico) senza precedenti, tuttavia a me mi è sembrato di vedere un lungo episodio di "The Walking Dead" senza Zombi. Ma sensazioni a parte una cosa è certa, avvolto da un'atmosfera grigia, sporca e decadente, perfettamente coerente con l'immaginario di un mondo disgregato e collassato, il film è un b-movie con le idee chiare e precise che viene ben sviluppato e non tradisce le aspettative: offre intrattenimento puro, scanzonato, a tratti ironico senza addentrarsi (anche se la sensazione di ritrovarsi in una Notte del giudizio c'è) in divagazioni sociopolitiche che non si allineano e non si integrano col racconto in oggetto e col risultato richiesto. Infatti, sorretto da un ritmo incalzante e da una sottile ma costante suspense The Domestics ingrana lentamente le marce per arrivare dopo molteplici colpi di scena ad un roboante ed esplosivo finale. Una resa dei conti molto tesa, tosta e violenta che di certo non lascia l'amaro in bocca ai fan dei momenti più action e splatter. Finale edificante ma assolutamente non banale che simboleggia l'esistenza di una certa stabilità all'interno di un mondo dominato dalla violenza e dal caos. Certo, niente che sia stato già visto, ed inoltre non mancano certamente incongruenze e forzature, annesse a due protagonisti alquanto odiosi, ma è un film che si lascia guardare fino alla fine. Difatti, alcuni momenti costruiti con superficialità, anche nella caratterizzazione di qualche personaggio, non minano una visione comunque lineare e scorrevole, sufficientemente interessante per non annoiarsi e assistere ad alcune scene violente per passare un pomeriggio tranquillo.

Commenti film

In numerosi post, soprattutto mensili, che sia quello dei peggiori che degli altri film del mese, oltre alle recensioni è capitato spesso di inserirci qualche piccolo commento ad alcune visioni effettuate nel mese/periodo in corso. Che siano questi documentari, concerti, spettacoli o film, questo post li raccoglie tutti, e li raccoglierà quando sarà possibile (il post cioè sarà in aggiornamento costante). Inseriti in ordine cronologico, faranno quindi parte dell'elenco dalla A alla Z. Il link sarà uno e uguale per tutti, ma non si abbandona niente e nessuno.

Commento pubblicato su Pietro Saba World il 02/11/2016 Qui - Da dire c'è ben poco, poiché i film in questione non sono quasi per niente eccezionali, tranne probabilmente uno. A cominciare da La grande bellezza in versione integrale (piena di nudi, culi e cazzate varie) che ancora una volta mi ha deluso, perché neanche la mezz'ora in più di pellicola mi ha fatto apprezzare il film, che secondo me è il più confuso, più scollegato e brutto, narrativamente parlando, di sempre, perché visivamente alcune immagini sono stupende. Ma nonostante questa volta qualcosa in più ho capito, alla fine è risultato ancora più noioso della prima volta. Anche se in ogni caso è un film azzeccato ad una giuria non italiana, perché vedere come ci siamo ridotti non è una bella cosa per noi italiani, agli altri probabilmente invece gli sarà piaciuto. E infatti solo all'estero è apprezzato dai più. Altro film visto poi è stata la puntata speciale di Sherlock, andata in onda a fine settembre e disponibile sul sito della Paramount, della serie tv con protagonista Benedict Cumberbatch, che abitualmente non seguo, anche se ho visto qualche puntata. La puntata, anzi, il film è quella del caso de L'abominevole sposa, un caso davvero interessante, inedito ma soprattutto atipico e strano, come il contesto e il luogo in cui si svolge (nella psiche di Holmes cent'anni prima). Un caso che ovviamente sarà risolto da Sherlock, ma non senza particolari difficoltà. E anche se non del tutto la storia mette in soggezione o paura, la qualità di tutti gli elementi e le tecniche, è discreta, persino migliore di un film per il grande schermo. Comunque il migliore di questi che sto descrivendo perché di peggio c'è la 'trilogia' di Jerry & Maya (fratelli o amici non si sa), due piccoli infallibili investigatori che in una fiabesca e assurda cittadina fanno il lavoro della polizia e risolvono i casi, ingegnosi i primi due pessimo il terzo, ma comunque troppo scemi per un pubblico inferiore ai 7 anni. Perché anche se tratti da romanzi per bambini, questi tre film di origine scandinava, probabilmente, sono davvero inguardabili e del tutto inutili, pieni di stereotipi che potrebbero addirittura fare male alla crescita.

venerdì 29 novembre 2019

Molly's Game (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2019 Qui
Tema e genere: Basato sul libro scritto da Molly Bloom (Molly's Game: From Hollywood's Elite to Wall Street's Billionaire Boys Club, My High-Stakes Adventure in the World of Underground Poker), il film (un thriller biografico drammatico) è l'esordio registico dello sceneggiatore Aaron Sorkin (suoi sono i testi di The Social Network e L'arte di vincere, tanto per fare esempi recenti).
Trama: Una donna costretta a cambiare carriera inizia a organizzare partite di poker tra giocatori milionari, ma a un certo punto il gioco le sfugge di mano.
Recensione: Esordio alla regia di Aaron Sorkin, già apprezzatissimo sceneggiatore, dietro, solo per citare l'ultimo in ordine di tempo, allo Steve Jobs di Danny BoyleMolly's Game è un film perfettamente riuscito che contiene tutti i suoi marchi di fabbrica già presenti nelle sceneggiature dirette da altri: poca azione, tanti dialoghi, spesso arguti e taglienti, personaggi ben definiti e caratterizzati (in questo caso interpretati da attori bravissimi). Basato sul libro della stessa protagonista, Molly's Game è un film che ha molto meno a che fare col poker di quanto non ne abbia con la voglia e la capacità di descrivere la vita, fatta di solitudine, di una donna che cerca di realizzarsi in un mondo di uomini, e finisce per rincorrere solo il denaro, diventare schiava della droga e venir abbattuta e abbandonata da quel sistema al quale si era solo illusa di poter sfuggire. Nonostante sia scritto da un uomo, grazie anche al materiale d'origine, il film (che è sì la classica storia americana di ascesa caduta e rinascita, ma non solo) si dimostra insomma in grado di tratteggiare un finissimo ritratto delle tribolazioni a cui va incontro una donna in un mondo, fondamentalmente, maschilista. Una donna (splendidamente interpretata da Jessica Chastain) che vuole essere libera, indipendente, e non soggiogata al potere di un uomo, di cui non crede di aver bisogno per realizzarsi e avere successo (pur esibendo per tutto il film una sfilza di décolleté da far girare la testa). Seppur il film, in alcune sue parti, si possa definire "poco cinematografico", rimane comunque una storia interessante, anche avvincente, raccontata in maniera egregia per mezzo di uno script come al solito iperdialogato ma che riesce ad evitare la saturazione e la noia, mantenendo invece ben alta la tensione per oltre due ore di durata (cosa che si deve, probabilmente, anche al montaggio). Già questo non è cosa da poco. Ma come se non bastasse ad alzare di livello il film sono anche, senz'altro, come già accennato, le eccellenti prove degli attori (non solo Jessica Chastain, che dopo Miss Sloane, tratteggia mirabilmente un nuovo personaggio femminile forte e indipendente, ma anche, almeno, Idris Elba). La costruzione narrativa è solida e non cede quasi mai (salvo, talvolta, nei flashback riguardanti il rapporto col padre, interpretato da Kevin Costner, e in particolare, nell'incontro finale con lo stesso, un po' troppo melenso e strappalacrime), ma, essendo il film basato su una storia vera, anche la lieta fine, altrimenti assolutamente improbabile, un po' inaspettata, non appare troppo forzata. A conti fatti, un buon esordio che suggerisce un nuovo brillante futuro per l'autore in veste di regista-sceneggiatore.

Il viaggio (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2019 Qui
Tema e genere: Film drammatico diretto da Nick Hamm che racconta la genesi dello storico accordo siglato da Ian Paisley e Martin McGuinness che nel 2007 scriverà la parola fine sul sanguinoso conflitto nei territori dell'Irlanda del Nord.
Trama: Nell'ambito di un incontro realmente avvenuto tra l'anziano pastore leader della fazione protestante e quello della parte cattolica, considerato fino a poco prima un vero e proprio terrorista in capo all'IRA, gli sceneggiatori ipotizzano cosa potrebbe essere accaduto tra i due leader se una circostanza fortuita li avesse visti costretti a convivere per qualche tempo in un unico spazio ristretto. Ecco che dunque un abile stratega al soldo del Primo Ministro inglese inscena la necessità di convogliare per il ritorno a casa del leader protestante in un volo organizzato di fortuna a seguito del blocco dei trasporti aerei causa maltempo. E fa sì che il leader cattolico offra un passaggio all'altro suo "nemico" giurato. Nel viaggio lungo un'ora sono riposte tutte le pur flebili speranze per il raggiungimento dell'intesa.
Recensione: Il film è una divertente commedia, non priva di forzature e ingenuità, magari non particolarmente ricca di sfumature, ma che restituisce in modo efficace l'elemento comico che sta al cuore del dramma. Visti da fuori, anche i conflitti peggiori e più insanabili hanno un che di ridicolo, specie se rimangono fondati su barricate mentali le cui radici affondano ormai largamente nel passato. In genere i protagonisti di tali conflitti non sono capaci di guardare al futuro, e mantengono un'ostinazione incomprensibile a tutti quelli che li circondano (nel nostro caso, preoccupati di far parlare Paisley e McGuinness vediamo i governi irlandese e britannico, e i rispettivi primi ministri). C'è comunque un equivoco che occorre sfatare. Leggendo di questo film prima di vederlo, vi farete l'idea che entrambi i protagonisti, in partenza, si rifiutino di dialogare. Non è così: è Paisley che non vuole dialogare. McGuinness, al contrario, è consapevole della necessità di cooperare con l'avversario. E questo non solo è vero storicamente, ma corrisponde anche all'attitudine politica dei rispettivi partiti almeno a partire da fine anni '90. Di conseguenza il film è concentrato in realtà soprattutto sulla figura di Ian Paisley, che è l'autentico protagonista. E l'interpretazione caricaturale che ne dà il grande Timothy Spall è perfetta nel rendere grottesca (oltre che buffa) la sua testardaggine iniziale, ma anche poi verosimile un processo di "conversione" apparentemente quanto mai improbabile. Perciò, seppure lo spettatore sa come andrà a finire, è dal divario fra esito e premesse che scaturisce sin da subito la curiosità con cui si segue il film. Un film non di certo destinato a entrare negli annali del cinema, e avrebbe potuto anche essere un film migliore in altre mani: del resto lo spunto si prestava a rese differenti. La regia di Hamm è piuttosto piatta, manca di personalità, e resta soprattutto al servizio di una sceneggiatura buona, ma non poi così ambiziosa. Sono limiti tuttavia che non si fatica a perdonare, a un'opera che nonostante sia tutta parlata non annoia e che riesce nel suo intento di base, che è far riflettere, divertendo, sulla piccineria umana (da cui nascono le tragedie), e su quanto rimanga, purtroppo, un fatto eccezionale quel gesto di semplice intelligenza che occorre a superare la meschinità individuale in nome del bene comune.

Capitano Koblic (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2019 Qui
Tema e genere: Un thriller drammatico che ha come tema la dittatura argentina tra il 1976 e il 1983.
Trama: Nel 1977, durante la dittatura argentina, un ex pilota della Marina disobbedisce agli ordini e diventa un ricercato. Decide allora di nascondersi in una piccola città del sud, dove la sua presenza catturerà presto l'attenzione di un violento maresciallo senza scrupoli.
Recensione: Il dramma dei desaparecidos è raccontato attraverso una storia a mezza strada tra un noir e un western. Al centro della vicenda un uomo di origine polacche che fugge (giustamente) dall'orrore della dittatura argentina perché rifiutatosi di scaricare persone narcotizzate, ancora vive, in mezzo all'oceano. Ma se il passato potrebbe non fare sconti, anche il presente potrebbe (la meschinità umana, interpretata qui da Oscar Martinez, e non solo, mai svanisce), figuriamoci il futuro. Dopo essersi imposto negli anni Ottanta e Novanta come produttore e sceneggiatore argentino di serie televisive tra i più prolifici, Sebastian Borenzstein si cimenta nella regia cinematografica. Sugli schermi italiani è noto per Cosa piove dal cielo? con cui ottiene il premio Goya, l'equivalente spagnolo degli Oscar. Sullo sfondo di una delle pagine più buie della Storia argentina, Capitano Koblic pur prediligendo la scrittura di genere del noir (anche se in modo leggero), non perde di vista l'importanza della tematica affrontata (anche se tende spesso a divagare dalla suddetta), quella appunto de "I voli della morte". Un crimine di lesa umanità, uno dei modi più aberranti utilizzati per uccidere prigionieri politici e non, come si legge dallo sconcertante incipit del film, un film che, dalla fattura classica, per la scelta di una narrazione lineare, privilegia la caratterizzazione dei personaggi rispetto al ritmo (azzeccata la scelta del cast, in particolare di Ricardo Darìn nei panni della figura positiva del comandante, che rifiuta di aprire il portellone del proprio aereo, prendendosi il tempo di descrivere quel clima di terrore e prevaricazione). Aiuta poi la scelta di un paesaggio desolato e isolato, dove si consumano rapporti di forza sul piano sociale, e quella delle vicende private dei personaggi (la giovane donna, interpretata dalla bella Inma Cuesta, costretta ad accettare una relazione incestuosa), in cui ognuno, a proprio modo, è responsabile del proprio agire. Il risveglio della coscienza di un uomo è il risveglio di una nazione. I personaggi assumono una valenza simbolica e austera in un clima teso e opprimente. Il finale (che offre una speranza alla ribellione) è un lampo di luce. E così il film appassiona (degnamente) ed emoziona (sconcertando a più riprese). Certo, non sempre la sceneggiatura riesce a disegnare personaggi secondari all'altezza, certo, la storia d'amore pare non molto funzionale e persino forzata, certo, si poteva fare meglio, ma film interessante (storicamente e non) è questo.

Lo scandalo Kennedy (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 29/11/2019 Qui
Tema e genere: All'infinita saga cinematografica sui Kennedy si aggiunge un nuovo tassello, diretto da John Curran su sceneggiatura di Taylor Allen e Andrew Logan. Un film che ricostruisce l'episodio che rischiò di compromettere la carriera dell'ultimo rampollo del patriarca Joe, qui mostrato (interpretato da Bruce Dern) anziano e malato, ma ancora cinico e duro.
Trama: La vita e la carriera politica del ventottenne senatore Ted Kennedy deragliano a seguito del discutibile incidente stradale che nel 1969 costa la vita a Mary Jo Kopechne, giovane stratega della sua campagna elettorale.
Recensione: Le storie sui presidenti americani ormai fanno parte di un filone a sé, tanti potrebbero essere gli esempi, sottogruppo del filone è quello sui presidenti mancati, Vice, il presidente occulto che non riuscì a diventare il presidente effettivo, The Front Runner (che però devo ancora vedere), il presidente in pectore che non ottenne la candidatura perché travolto dal gossip, ed ora Lo scandalo Kennedy, che è precedente ad entrambi, e sono tutte particolarmente interessanti da scoprire e vedere (soprattutto se non si conoscono certe storie). Lo è anche questo, che mette al centro della scena il meno immediato nel nostro immaginario: Ted, il fratello superstite, il leone del Senato. Morti John e Bobby, Ted divenne il capofamiglia, pur essendo ancora vivo benché agonizzante il feroce patriarca Joseph. Stimatissimo da tutti, Ted non riuscì a prendere possesso della Casa Bianca perché nel 1969 fu coinvolto in un tragico scandalo che gli stroncò le ambizioni presidenziali. Egli infatti a seguito di un incidente finì in acqua assieme alla passeggera, una giovane stratega che morì, e pensò male di non denunciare subito l'accaduto. La pellicola così, con un taglio semi-documentaristico (perché ovvio che per quanto sia verosimile la ricostruzione, degli eventi, basata su un meticoloso e rigoroso studio di articoli di giornale e trasmissioni dell'epoca, comunque va letta col benefico del dubbio, come in questi casi è doveroso fare), prova a raccontare quel tragico evento, mettendo soprattutto in evidenza la pochezza morale e caratteriale del senatore. Ambizioso come tutti i Kennedy sarebbe probabilmente stato disposto a mentire, pur di non compromettere la sua carriera, se gli eventi non lo avessero sopraffatto e travolto. Subito dopo il fattaccio, Ted si rivolse al padre, cercando conforto e consigli, ma il vecchio patriarca colpito da un ictus e con evidente afasia, riuscì comunque ad esprimergli tutto, il suo disappunto e disprezzo. E insomma ricostruzione di un fatto storico, l'ennesimo che riguarda da vicino la famiglia Kennedy, un fatto che, seppur decisamente sbilanciato sul versante soggettivo-biografico che quello storico-massmediologico, riesce a coinvolgere ed avvincere al punto giusto. Certo, non ci sono guizzi particolari, la storia è lineare, ma questo film, questo Chappaquiddick (titolo originale che si riferisce al paesino marittimo in cui accadde il fattaccio), comunque da vedere, anche solo per recuperare un fatto non noto o dimenticato vista la coincidenza dell'episodio con l'allunaggio (siamo nel luglio 1969), è un film decisamente interessante e riuscito, ciò anche grazie ad interpreti (in origine è un Tv-movie) di buon livello.

giovedì 28 novembre 2019

Most Beautiful Island (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Sospeso tra thriller psicologico, dramma e film di denuncia sociale, Most Beautiful Island racconta la storia di Luciana, una giovane donna spagnola immigrata a New York, con alle spalle un lutto che non ha ancora superato, che si ritrova inavvertitamente protagonista di un crudele gioco in cui vengono messe a rischio delle vite per l'intrattenimento perverso di pochi privilegiati.
Trama: Luciana, una giovane donna immigrata a New York, si sforza di sbarcare il lunario mentre tenta di sfuggire al proprio passato. Come ogni giorno, affronta una serie di problematiche e imprevisti quando, prima che la sua giornata sia finita, un lavoro si trasforma in qualcosa di stranamente ambiguo.
RecensioneMost Beautiful Island segna il claustrofobico esordio alla regia di Ana Asensio e tocca temi forti e delicati come la condizione degli immigrati e lo sfruttamento dei più deboli, tralasciando però qualcosa che andava approfondito. Della storia si è già detto, e comunque il tutto porterà (per colpa della sua amica Olga, Natasha Romanova) ad un luogo in cui la ragazza correrà un insospettabile pericolo. Da qui inizia forse la scena più bella di un film che, comunque, non convince fino in fondo, con la tensione che aumenta esponenzialmente avvicinandosi alla scoperta del reale fine della festa: nessuno dice nulla alla protagonista, mentre le altre donne presenti in questo scantinato newyorkese asettico e spoglio entrano, a turno, in una stanza, con la porta che si richiude alle loro spalle, cui fanno seguito applausi o urla. Luciana cerca di capire cosa c'è in quella borsetta chiusa ermeticamente che le hanno dato, e quel lavoro che le frutterà 2000 dollari rimane misterioso fino a quando non lo dovrà affrontare, senza poter ormai più scappare né tirarsi indietro. Luciana ha con sé un dolore: qualcuno, probabilmente sua figlia, non c'è più, lei non è a New York solo per lavoro, ma per fuggire da un passato che vuole dimenticare e lasciarsi alle spalle. Il film cerca di mettere in scena sia la solitudine di una donna che non sa come sopravvivere in una città sconosciuta dove non ha nessuno, sia l'elaborazione del lutto per aver perso una delle persone più importanti della sua vita. Di questo Luciana si sente responsabile, forse per essere ancora viva mentre sua figlia non lo è più. Tuttavia la questione non è chiara, e sapere qualcosa in più sul passato di Luciana avrebbe arricchito il film e il personaggio: cosa ha perso? E cosa cerca? Troppe le domande che vengono lasciate senza risposta, tra cui quella su cosa l'esordiente (alla regia) Ana Asensio voglia realmente dire. Luciana probabilmente capisce qualcosa di sé nel corso della storia, ma non è chiaro se riesca a trovare quello che cerca o a sentirsi nuovamente viva attraverso quella terribile esperienza, tanto da domandarsi se ciò che cercasse davvero fossero effettivamente quei 2000 dollari. Suspense a parte, il lungometraggio della Asensio ha l'ambizione di dare un senso di amarezza, ma lo fa attraverso l'utilizzo di espedienti banali, per suscitare una reazione forte nello spettatore, che distraggono dalla poca efficacia del film.

Red Joan (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Diretto da Trevor Nunn il film è tratto dal romanzo di Jennie RooneyLa ragazza del KGB, a sua volta ispirato all'incredibile storia vera di Melita Norwood, scoperta colpevole di spionaggio contro l'Inghilterra a più di ottant'anni, e per questo chiamata "nonna spia". La catena di ispirazioni ha quindi prodotto un film che, con una spolverata leggera di thriller, affonda le radici nel genere romantico e sentimentale.
Trama: La storia di Joan Stanley che, nata inglese ma simpatizzante del partito comunista e dell'Unione Sovietica, divenne funzionaria del governo britannico per essere poi reclutata come spia dal KGB a metà degli anni Trenta del Novecento e che riuscì a trasferire segreti militari e politici mantenendo la sua identità segreta per oltre mezzo secolo.
Recensione: L'ambientazione di Red Joan ci riporta al tempo della II guerra mondiale in Inghilterra, con scenari e atmosfere simili a quelle di The Imitation Game. Anche qua al centro della vicenda ci sono un gruppo di scienziati che lavorano a progetti segretissimi: prima per contrastare l'asse tedesco-giapponese, poi per conquistare una supremazia sul blocco dominato dall'Unione Sovietica. Con un gioco di continui flashback il film alterna la cronaca dell'arresto dell'anziana Joan Stanley, con le scene di gioventù, quando la donna prima facente parte di un ristretto gruppo di fisici si fece manipolare da molti e successivamente divenne una spia. I presupposti per un thriller ad alta tensione c'erano quindi tutti, ma la mancanza di verve e l'eccessiva linearità l'hanno affossato. Perché sulla carta Red Joan doveva essere un film tra il dramma sentimentale e la storia concitata di spionaggio ma si è rivelato essere un film già visto e assai noioso. Un po' perché la regia di Trevor Nunn è anonima, un po' perché lo spettatore sa già dove andrà a parare il film. Anche il tema femminista del film è trattato senza verve, così come la sceneggiatura sembra un po' indecisa se presentarci Joan come una vittima delle manipolazioni del belloccio di turno o come una donna indipendente, che rischia tutto perché crede nella pace data dall'equilibrio atomico. Judi Dench, anche se confinata quasi esclusivamente nelle scene al commissariato dopo l'arresto, recita con l'usuale bravura e credibilità, la Cookson dà il meglio di sé nelle scene iniziali, quando si presenta per la ragazza intelligente ma poco avvezza alle cose di mondo, in compenso le scene di flashback risultano presto abbastanza ripetitive e confinate sempre in ambienti ristretti, i personaggi di contorno molto stereotipati e anche le motivazioni di Joan e dei suoi accusatori vengono ripetute senza eccessiva convinzione. Da una storia vera di questo livello, nella quale sono state in gioco milioni di vite umane, sarebbe stato lecito aspettarsi un thriller coi fiocchi, invece così, senza alcuna tensione, né almeno un tentativo di respiro epico (il confronto con altri film di genere, come ad esempio Il ponte delle spie, è impietoso), la montagna partorisce il classico topolino: un raccontino intorno al caminetto, quello messo in scena dal regista Trevor Nunn (più noto per le regie teatrali, e più impegnato con film tv che al cinema), con tazzine e centrini ricamati, nel quale tutto sembra superfluo, a partire (purtroppo) dal talento di Judi Dench.

L'eroe (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: L'opera prima di Cristiano Anania con protagonista Salvatore Esposito, racconta la parabola della debolezza umana divisa tra etica e interesse.
Trama: Giorgio è un mediocre ma ambizioso giornalista trentenne. La sua vita cambia bruscamente quando il direttore del giornale decide di trasferirlo in una redazione di provincia. Proprio quando crede di aver trovato la sua nuova dimensione di vita, il direttore del giornale annuncia a Giorgio il suo licenziamento. Solo lo scioccante rapimento per mano di ignoti del nipote del più importante imprenditore locale restituirà a Giorgio il suo lavoro di corrispondente.
Recensione: Bisogna innanzitutto dire che questo ambizioso giallo dalle tinte noir, non convince propriamente del tutto, e poi bisogna dire che quel non del tutto non basta a salvare il film, come non basta la bravura ed il talento di attore di Salvatore Esposito. Quest'ultimo infatti, che si porta il film sulle spalle, è sicuramente efficace nel disegnare per sottrazione un personaggio alquanto enigmatico, chiuso, però non per questo poco comunicativo o noioso, peccato che il film per quanto permeato di idee ed intenzioni anche interessanti, alla fin fine non dona assolutamente nulla allo spettatore, se non confusione, disagio e perplessità di fronte ad un iter narrativo confuso e ben poco strutturato. Di base il problema più grosso di L'eroe è proprio nel manico, nella regia che appesantisce e soffoca una sceneggiatura di per sé non esattamente raffinata o ben strutturata, piena (per carità) di buone intenzioni che però rimangono tali. I personaggi sono tutti alquanto prevedibili, forzati, le situazioni narrative, i dialoghi appaiono sovente illogici e non approfonditi, la stessa messa in scena di per sé assomiglia a certi prodotti televisivi di scarso valore che ammorbano i nostri palinsesti. Il tutto sicuramente viene poi appesantito da una colonna sonora alquanto roboante e che sa di déjà-vu ogni minuto che passa, vanificando il bel montaggio e la fotografia. Il cast si muove quasi sempre con passo malfermo: d'altronde è difficile, da personaggi così scarni, trarre una qualsivoglia performance che ne esalti un contenuto che, in questo caso, manca già di partenza. Abbiamo la giovane bella ed ingenua (Marta Gastini, non nuova a film mediocri, come Bentornato Presidente), la donna di potere severa e mentitrice (Cristina Donadio, direttamente da Gomorra insieme al protagonista), la madre fragile (la Tiziana, Enrica Guidi de I delitti del BarLume), il meridionale pigro (Fabio Ferrari, storico protagonista de I ragazzi della 3ª C), lo scemo del villaggio (Vincenzo Nemolato), il capo malvagio (il sempre bravo Paolo Sassanelli), i carabinieri altezzosi e inefficienti (uno di questi interpretato da Pino Quartullo). Poco o nulla di nuovo sotto il sole.

Alla fine ci sei tu (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/11/2019 Qui
Tema e genere: Agrodolce commedia romantica sul senso del tempo e della vita.
Trama: La vita di Calvin (un ragazzo ipocondriaco, Asa Butterfield) viene stravolta quando incontra Skye (Maisie Williams) un'adolescente che soffre di una malattia terminale. La sua nuova amica lo assume per aiutarla a completare la sua lista di cose da fare prima di morire, una missione che lo costringerà ad affrontare le sue peggiori paure, e a vivere in maniera nuova l'innamoramento con la bella ma apparentemente instabile Izzy (Nina Dobrev).
RecensioneAlla fine ci sei tu è un film abbastanza intenso, toccante e commovente, da meritare apprezzamenti. Un film che non scivola (quasi) mai in inutili pietismi, evitando (quasi sempre) eccessi d'enfasi e retorica. Una storia quindi emozionante, divertente e commovente al contempo, inno all'amicizia e che celebra il senso profondo della vita. E' soprattutto, infatti, una storia di un'amicizia insolita e poco convenzionale, specie nel modo in cui scaturisce, in un malinteso di fatto e ancor più, si sviluppa, con diversi momenti simpatici, in cui fanno capolino i divertenti confronti-scontri, con i due poliziotti dal cuore tenero. Quanto più la pellicola procede, tanto più il film perde la sua connotazione leggera, collocando sullo sfondo il black humour della prima parte, acquisendo un tono decisamente più drammatico, facendo emergere l'aspetto introspettivo del racconto. Un racconto (di formazione) nel suo complesso godibile, perché discretamente tratteggiato e perciò capace di non annoiare né di lasciarsi andare a buonismi fastidiosi, dal buon impatto emotivo, ben interpretato e ben girato, che ci rammenta, come conti di più la qualità del tempo che abbiamo a disposizione, piuttosto che la sua durata. E quindi qual è il problema del film? E' che di originale ha ben poco, anzi, molte situazioni sembrano ricalcare quel gioiellino che era Quel fantastico peggior anno della mia vita, altre sembrano ricalcare i molti classici film di formazione della cinematografia statunitense degli ultimi anni, altre le classiche commedie romantiche giovanili. Insomma tutto già visto, e in misura forse migliore. Certo, ci sono alcune differenze, ma la base è quella, finale compreso. E così nonostante il film riesca ad intrattenere, e nonostante si lasci vedere, non riesce a distinguersi, risultando così solo un film sì carino ma facilmente (troppo facilmente) dimenticabile.

lunedì 25 novembre 2019

Stalker (1979)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 25/11/2019 Qui
Tema e genere: Film di fantascienza del 1979 diretto da Andrej Tarkovskij, liberamente tratto dal romanzo Picnic sul ciglio della strada (1971) dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij. Come già per Solaris, la pellicola rappresenta una personale interpretazione di Tarkovskij dello scritto originale.
Trama: Un meteorite caduto sulla terra ha prodotto strani fenomeni in una zona, prontamente protetta e recintata dall'esercito. Per entrarci esistono però delle guide clandestine, chiamate "Stalker", capaci di condurre chiunque lo richieda fino alla "camera dei desideri". Uno scrittore, uno scienziato e uno stalker partono verso la misteriosa zona. Ne torneranno profondamente cambiati.
Recensione: Un film di fantascienza che della fantascienza ha tutti i dettagli meno che il ritmo e tanti intermezzi. Più che altro possiamo definirlo un film d'autore, tutto ciò che consegue la categoria penso sia superfluo indicarlo, sostanzialmente si può sintetizzarlo come: non per tutti. In Stalker infatti, Andrej Tarkovskij torna di nuovo ad approfondire le tematiche fondamentali che hanno caratterizzato tutta la sua opera. Il proseguo difatti, più che di fantascienza, lo si può definire thriller, thriller dell'anima: il ricco e superficiale scrittore, il semplice scienziato, il cupo, insondabile, imperscrutabile stalker. Tre personalità opposte messe di fronte, tutti contro tutti. Pian piano tutto verrà fuori, una matriosca di rivelazioni, rivelazioni personali, sul mondo, sulla loro situazione, sul terrore del voler sapere a tutti i costi. Quando tutto sarà finito poi, niente sarà più come prima. Insomma non siamo di fronte ad un film semplice da vedere: la pellicola (presentata al Festival di Cannes nel 1980) dura quasi tre ore, imbottite di lentissime carrellate, dettate da un gusto per l'immagine che si può definire di stampo poetico, che va oltre la storia che il film racconta. E quindi è difficile valutare un film come Stalker. Siamo in presenza di un film che è manifesto della concezione filosofica e religiosa del regista, dove i limiti umani vengono indagati a partire dai propri desideri più nascosti e più intimi. Il viaggio è un viaggio interiore e solo i veri puri possono comprendere il dono della Zona. La metafora si fa film e il contenuto lo travalica, Stalker è troppo un film che vuole dire e perde in parte la sua essenza cinematografica. Trakovskij ci porta in questo viaggio ma non gli interessa il viaggio è troppo impegnato sui dialoghi, sulle sensazioni e alla fine si disinteressa della storia che racconta. E' una scelta perfettamente voluta ma che trasforma la pellicola in un trattato filosofico e qualsiasi interesse cinematografico viene sacrificato sull'altare del contenuto. In Solaris (simile ma diverso, però solo per la concezione più fantascientifica) era presente la forza del cinema, Stalker invece è un film asciutto, minimale, concentrato sui suoi dialoghi e costruito su una lentezza che definire estenuante è un eufemismo. Il film avrebbe potuto concedere qualcosa di più al racconto cinematografico senza far perdere di incisività alla metafora e al messaggio filosofico, rendendo tutto più interessante e coinvolgente. Anche perché il film riesce a trasmettere anche una certa tensione, e questo è un dato notevole considerando che non si tratta di un horror e quindi non ci si aspetta certo di vedere la testa di qualcuno tranciata improvvisamente di netto. Eppure i tempi troppo dilatati, il significato che si riflette prepotentemente nella (bellissima) fotografia ma che non sorregge l'intera vicenda in quanto essenzialmente sprovvista di una benché minima trama, impediscono al film di decollare verso l'empireo dell'arte più bella. Un film che non mi ha convinto, quindi. Non basta girare un film dall'acuto significato esistenziale, con la classe del regista di talento, perché lo "spettacolo" funzioni. Tuttavia, un film da vedere, da riflettere, e seppur lo reputi lungi dal potersi annoverare fra i capolavori (almeno tra i miei), non gli si può negare il valore (e probabilmente i nobili intenti).