Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 23/09/2019 Qui
Tema e genere: Film drammatico ispirato all'omonimo romanzo di James Graham Ballard del 1973, vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes.
Trama: Il regista televisivo James Ballard (James Spader) viene coinvolto in uno spaventoso incidente stradale che rischia di costargli la vita. L'evento, unito all'incontro con Vaughan (Elias Koteas), teorico del legame tra piacere sessuale e morte violenta in auto, è il detonatore che scatena una reazione a catena sempre più estrema.
Recensione: David Cronenberg, da regista alternativo e provocatorio qual è, continua (ma non si è mai fermato) il suo viaggio, attraverso la perversione umana, qui anche grottesca oltre che repellente, ottenendo cosi un film "disturbante" allucinato e visionario, una sorta di pornografico tecnologico, un'esperienza visivo-emotiva estrema. Un connubio malato tra depravazione e sesso, tecnologia e brutalità, violenza e patologia. Un film ascrivibile al genere body horror, in cui attraverso la mutazione fisica del corpo, esplora le reazioni che ciò suscita, immagini forti e sconvolgenti, che mettono a dura prova la sensibilità dello spettatore. In Crash infatti, dalla prima all'ultima scena, quello che viene definito il "comune senso del pudore" viene costantemente messo a dura prova. Tuttavia se le scene di sesso sono il leitmotiv dell'opera, un altro tema affiora con evidenza, quello della morte: il primo incidente del protagonista (che si chiama James Ballard, come lo scrittore dal cui romanzo il film è tratto) costa la vita a un uomo, poi c'è la ricostruzione della morte di James Dean, poi quella di un cascatore che muore allo stesso modo di Jayne Mansfield, e infine la morte della controversa figura di Vaughan. Eros e Thanatos quindi, ma non solo: il terzo argomento sono ovviamente le automobili, il mezzo (è proprio il caso di dirlo) attraverso cui l'erotismo e la morte entrano in contatto (tutte le scene di sesso si svolgono all'interno di automobili, tutte le morti sono causate da incidenti stradali). Pertanto i temi ci sono, un'idea ed un pensiero lo stesso, eppure questo film, un film di non facile approccio, spiegarlo razionalmente è impresa ardua. Poco lineare, morboso come non mai e permeato da un senso di malattia decisamente fuori dal comune. I personaggi, in continua attività sessuale, sono sospesi in un universo psichico che lega appunto l'idea del piacere (e dell'amore) a quella della morte, ma che si protende senza soluzione di continuità tra un oggi meccanico e impersonale e un immediato futuro di mutazioni.
E' insomma un film psicologicamente complesso, anche a tratti ridondante, adatto per lo più ad un pubblico già ferrato sulle ossessioni presenti nei lavori del regista canadese. Alla lunga difatti diventa un po' troppo ripetitivo e, a mio modesto parere, cala notevolmente di tono, ma che riesce ad essere assolutamente magnetico. Paradossale infatti che questo racconto disturbante per tematiche e scene, sia non solo difficile da dimenticare, ma sia anche meritevole di considerazione per le (seppur non necessariamente condivisibili) prese di posizione sulla natura dell'uomo ed il suo destino (se è questo che il film vuole dire). Una cosa però è certa, non è roba che si vede tutti i giorni, e che il "nostro" ha visto tempi migliori.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Ci sono tutti i temi tanto cari al regista canadese (che già di suo non è accessibile a chiunque) con la differenza che stavolta il pedale del perverso è spinto letteralmente ai limiti del mostrabile (complimenti al grande cast per il coraggio, da una Deborah Kara Unger mai più così sexy ad Holly Hunter, dall'altra ed altro a James Spader, quest'ultimo comunque perfetto interprete), nonostante questo, per quanto interessante per ciò che racconta, il film di David Cronenberg (che qui libera le sue ossessioni) risulta apatico e ripetitivo per gran parte della durata: apatico perché impressiona ma non tocca, ripetitivo perché si punta su sequenze quasi tutte uguali che, per quanto estreme, dopo poco tendono al noioso. E però, che film e che coraggio, da premiare.
Aspetto tecnico: Perfette la fotografia di Peter Suschitzky e le musiche di Howard Shore.
Commento Finale: Non esattamente il film da gustare con l'allegra brigata di amici, se servisse scriverlo: piuttosto espressione di un cinema fuori dalle righe, veloce, implacabile e al tempo nichilista, cyberpunk e filosofico. In due parole, David Cronenberg.
Consigliato: Per fan del regista e, quasi certamente, per nessun altro.
Voto: 6
Trama: Il regista televisivo James Ballard (James Spader) viene coinvolto in uno spaventoso incidente stradale che rischia di costargli la vita. L'evento, unito all'incontro con Vaughan (Elias Koteas), teorico del legame tra piacere sessuale e morte violenta in auto, è il detonatore che scatena una reazione a catena sempre più estrema.
Recensione: David Cronenberg, da regista alternativo e provocatorio qual è, continua (ma non si è mai fermato) il suo viaggio, attraverso la perversione umana, qui anche grottesca oltre che repellente, ottenendo cosi un film "disturbante" allucinato e visionario, una sorta di pornografico tecnologico, un'esperienza visivo-emotiva estrema. Un connubio malato tra depravazione e sesso, tecnologia e brutalità, violenza e patologia. Un film ascrivibile al genere body horror, in cui attraverso la mutazione fisica del corpo, esplora le reazioni che ciò suscita, immagini forti e sconvolgenti, che mettono a dura prova la sensibilità dello spettatore. In Crash infatti, dalla prima all'ultima scena, quello che viene definito il "comune senso del pudore" viene costantemente messo a dura prova. Tuttavia se le scene di sesso sono il leitmotiv dell'opera, un altro tema affiora con evidenza, quello della morte: il primo incidente del protagonista (che si chiama James Ballard, come lo scrittore dal cui romanzo il film è tratto) costa la vita a un uomo, poi c'è la ricostruzione della morte di James Dean, poi quella di un cascatore che muore allo stesso modo di Jayne Mansfield, e infine la morte della controversa figura di Vaughan. Eros e Thanatos quindi, ma non solo: il terzo argomento sono ovviamente le automobili, il mezzo (è proprio il caso di dirlo) attraverso cui l'erotismo e la morte entrano in contatto (tutte le scene di sesso si svolgono all'interno di automobili, tutte le morti sono causate da incidenti stradali). Pertanto i temi ci sono, un'idea ed un pensiero lo stesso, eppure questo film, un film di non facile approccio, spiegarlo razionalmente è impresa ardua. Poco lineare, morboso come non mai e permeato da un senso di malattia decisamente fuori dal comune. I personaggi, in continua attività sessuale, sono sospesi in un universo psichico che lega appunto l'idea del piacere (e dell'amore) a quella della morte, ma che si protende senza soluzione di continuità tra un oggi meccanico e impersonale e un immediato futuro di mutazioni.
E' insomma un film psicologicamente complesso, anche a tratti ridondante, adatto per lo più ad un pubblico già ferrato sulle ossessioni presenti nei lavori del regista canadese. Alla lunga difatti diventa un po' troppo ripetitivo e, a mio modesto parere, cala notevolmente di tono, ma che riesce ad essere assolutamente magnetico. Paradossale infatti che questo racconto disturbante per tematiche e scene, sia non solo difficile da dimenticare, ma sia anche meritevole di considerazione per le (seppur non necessariamente condivisibili) prese di posizione sulla natura dell'uomo ed il suo destino (se è questo che il film vuole dire). Una cosa però è certa, non è roba che si vede tutti i giorni, e che il "nostro" ha visto tempi migliori.
Regia/Sceneggiatura/Cast: Ci sono tutti i temi tanto cari al regista canadese (che già di suo non è accessibile a chiunque) con la differenza che stavolta il pedale del perverso è spinto letteralmente ai limiti del mostrabile (complimenti al grande cast per il coraggio, da una Deborah Kara Unger mai più così sexy ad Holly Hunter, dall'altra ed altro a James Spader, quest'ultimo comunque perfetto interprete), nonostante questo, per quanto interessante per ciò che racconta, il film di David Cronenberg (che qui libera le sue ossessioni) risulta apatico e ripetitivo per gran parte della durata: apatico perché impressiona ma non tocca, ripetitivo perché si punta su sequenze quasi tutte uguali che, per quanto estreme, dopo poco tendono al noioso. E però, che film e che coraggio, da premiare.
Aspetto tecnico: Perfette la fotografia di Peter Suschitzky e le musiche di Howard Shore.
Commento Finale: Non esattamente il film da gustare con l'allegra brigata di amici, se servisse scriverlo: piuttosto espressione di un cinema fuori dalle righe, veloce, implacabile e al tempo nichilista, cyberpunk e filosofico. In due parole, David Cronenberg.
Consigliato: Per fan del regista e, quasi certamente, per nessun altro.
Voto: 6
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