mercoledì 18 settembre 2019

A Private War (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/09/2019 Qui
Tema e genere: Adattamento cinematografico dell'articolo Marie Colvin's Private War, uscito nel 2012 su Vanity Fair, scritto da Marie Brenner.
Trama: Vita e morte di Marie Colvin, giornalista americana dell'inglese Sunday Times specializzata nel coprire i conflitti più sanguinosi (anche se spesso dimenticati) del mondo.
RecensioneA Private War, come anticipato, costituisce l'autobiografia della statunitense Marie Colvin che esercitò la professione di reporter di guerra per il quotidiano Sunday Times dal 1985 sino però al 2012, anno della sua morte ad Homs, in Siria, nel corso di un bombardamento aereo. E la pellicola ovviamente presenta la figura di questa abile e coraggiosa donna, donna che rischiò la propria vita molteplici volte nel corso della sua carriera di inviata speciale: sempre presente nei luoghi in cui si verificavano scontri bellici, quali quelli in Sri Lanka, Cecenia, Iraq, Afghanistan, ed ultimo in Siria, ella dimostrò di avere coraggio battendosi e denunciando in prima persona con i suoi articoli le crudeltà, le violenze, ed i raggiri politici a discapito delle popolazioni inermi, vittime innocenti di guerre cruente ed inammissibili. Insignita di molti riconoscimenti per il suo operato e famosa per indossare costantemente una benda "da pirata" sull'occhio sinistro perso durante un attacco in Sri Lanka, in quest'opera cinematografica ella viene presentata non solo dal punto di vista professionale, ma anche da quello della propria vita privata. Lo spettatore, così, viene ad apprendere della sua relazione sentimentale (poi terminata) con un collega giornalista/scrittore, dei suoi svariati incontri occasionali dovuti al suo continuo viaggiare e mai risiedere a lungo in un luogo, la sua collaborazione, ma soprattutto la sua profonda amicizia, con il britannico fotografo freelance Paul Conroy, incontrato "casualmente" in Afghanistan, il suo desiderio, purtroppo per lei mai realizzato, di diventare madre e la sua propensione a bere talvolta qualche bicchiere di troppo. Insomma, A Private War, come biopic, risulta, dunque, una pellicola completa e non soltanto meramente biografica, forse, probabilmente anche un poco romanzata da parte del suo regista Matthew Heineman, ma assai interessante per le molteplici sfaccettature che egli presenta sullo schermo di questo affascinante ed intelligente personaggio femminile (simile ma diverso da una delle più importanti figure del ruolo, Martha Gellhorn), dal cui ritratto emerge soprattutto che, accanto alla natura ed al carattere forte e coraggioso, esisteva anche una parte profondamente umana e quanto mai reale di donna provvista di debolezze, d'inquietudini e di saltuari scatti d'ira, una donna dalla vita complessa e a tratti contraddittoria, ma realmente mossa dal desiderio di servire la verità e, in questo, cercare di cambiare le cose. È davvero "privata" la guerra di Marie, perché è una guerra anche con se stessa.
L'attrice Rosamund Pike, nel ruolo di Marie Colvin, si dimostra molto credibile ed anche gli attori che ruotano intorno a lei in ruoli più o meno secondari (Stanley Tucci, Jamie Dornan, Greg Wise, Tom Hollander), contribuendo così tutti all'unisono alla riuscita della pellicola e, pertanto, a destarne l'interesse oltre che una giusta dose di riflessione da parte dello spettatore. Perché pur nell'imperfezione di un film non sempre risolto, A Private War ha il merito di ricordare il valore di chi rischia la vita non tanto per uno scoop o per la fama, ma per aprire gli occhi a noi che, sepolti dalla valanga delle notizie, rischiamo di perdere la capacità di condividere le sofferenze altrui. Eppure qualcosa manca, quel qualcosa che però non toglie tuttavia valore a questo film, un film da vedere.
RegiaMatthew Heineman, autore di numerosi documentari, compie un lavoro sicuramente ammirevole e di buona fattura, ma il risultato sembra esser mancante di quel qualcosa in più che avrebbe sicuramente innalzato il livello del film. Nel suo racconto, infatti, egli sembra troppo ancorato alle sue opere precedenti. L'attività da reporter di Marie è raccontata in modo asettico, quasi impersonale e questo rende il racconto macchinoso, lento e poco fluido in alcuni passaggi. Il film sembra voglia fare luce sul vero giornalismo, su quale debba essere l'etica professionale e morale da seguire per chiunque voglia intraprendere seriamente tale professione. Questo eccessivo e retorico realismo fa venir meno l'essenza stessa di un'opera cinematografica. Siamo molto distanti dal crudo realismo di Kathryn Bigelow che, nei suoi ultimi tre film (l'ultimo è stato Detroit), ha creato un genere cinematografico perfetto, una giusta commistione tra il documentario e il racconto cinematografico.
Sceneggiatura: Costretta a coprire quattordici anni di storia in meno di due ore, tende alla schematizzazione e non sempre riesce a conferire peso a tutti i personaggi di contorno: chi se la passa peggio è Stanley Tucci, il cui uomo d'affari Tony Shaw (di cui la protagonista si innamora) è in relazione all'importanza il più debole del lotto. Ma nel complesso, e nonostante alcuni problemini, qualitativamente intensa.
Aspetto tecnico: Indubbiamente la confezione tecnica è di qualità, anche se nessun tecnicismo prevale, né la fotografia, né la colonna sonora.
Cast: Senz'alcun dubbio, il vero punto di forza del film è la protagonista Rosamund Pike, invecchiata per l'occasione. Le rughe sono accentuate, i capelli mai pettinati. Da femme fatale in Gone Girl - L'amore bugiardo, a giornalista d'assalto. Lei, reginetta di bellezza ai tempi di James Bond (La morte può attendere) ultimamente sceglie personaggi che la costringono a imbruttirsi, come la madre rimasta sola di Hostiles. Qui trasmette la stessa sensazione di solitudine, con la benda su un occhio e la penna nella mano destra. Il suo corpo muta, mantiene un fisico snello, ma sul viso si vedono i segni di una vita di eccessi. Per far rinascere Marie Colvin deve nascondere la vera Rosamund Pike. E lei ci riesce, con dedizione, fatica, e grande forza d'animo. Nonostante la presenza di un cast di ottimo livello (da segnalare l'ennesima buona interpretazione di Jamie Dornan, che finalmente s'è messo alle spalle la saga delle sfumature), è un one woman show quello cui si assiste.
Commento Finale: L'opera di Matthew Heineman è di buona fattura, ma manca di quel quid che nell'ultimo decennio ha reso grande Kathryn Bigelow e i suoi film. Il regista spesso risulta ancorato ad un racconto documentaristico e retorico, soprattutto nei passaggi che raccontano le missioni di Marie, e questo rende il tutto poco fluido e macchinoso. La ciliegina sulla torta, però, è rappresentata dalla performance regalata da una straordinaria Rosamund Pike. L'attrice britannica si è totalmente spogliata dagli abiti della bella eroina romantica o dell'affascinante dark lady per sporcarsi le mani, vestendo alla perfezione, senza mai eccedere in manierismi, gli abiti di una donna divenuta simbolo di coraggio e verità.
Consigliato: Non proprio un bellissimo film, non esattamente per tutti i gusti, ma A Private War è un film da non perdere.
Voto: 6+

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