Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/09/2019 Qui
Tema e genere: Liberamente tratto dal racconto Un cavaliere bianco scritto da Marco Mancassola, Sicilian Ghost Story è basato sulle vicende legate alla sparizione e all'omicidio di Giuseppe Di Matteo. Ed è un dramma thriller a tinte fiabesche che romanza in chiave "originale" la suddetta vicenda.
Tema e genere: Liberamente tratto dal racconto Un cavaliere bianco scritto da Marco Mancassola, Sicilian Ghost Story è basato sulle vicende legate alla sparizione e all'omicidio di Giuseppe Di Matteo. Ed è un dramma thriller a tinte fiabesche che romanza in chiave "originale" la suddetta vicenda.
Trama: Quando il ragazzo di cui è innamorata sparisce, la tredicenne Luna fa di tutto per ritrovarlo e per scuotere dall'apatia chi le sta intorno. Ma non basterà purtroppo, lei sì prenderà coscienza, ma lui sarà barbaramente ucciso.
Recensione: E' un titolo indovinato e promettente Sicilian Ghost Story, che bendispone e incuriosisce lasciando immaginare una rielaborazione libera e propositiva di temi ultranoti legati alla realtà isolana. Uno dei punti di pregio del film sta effettivamente nell'idea di allargare le maglie del racconto di una vicenda reale e drammatica per seminarvi aperture oniriche, suggestioni indotte dalla presenza forte dell'elemento naturale, segni e presagi che sembrano provenire dal profondo della terra. L'altra nota di merito sta nel riportare alla memoria, perseverando con la questione "criminalità organizzata", per mantenere consapevolezza e attenzione su una delle peggiori piaghe del nostro paese. L'impressione post-visione però è che intenzioni e risultato effettivo non collimino perfettamente e che, al netto degli onori per aver parlato di mafia e aver centrato tecnicamente alcune belle (ma in fondo inerti) scene d'ambiente naturale, si tratti di un esito in verità piuttosto semplice, moderatamente originale e che fatica a sostenere il peso di una sceneggiatura decisamente prolissa, soprattutto in dirittura d'arrivo quando sembra non trovare mai la scena conclusiva. Il film infatti, presentato in anteprima al 70° Festival del Cinema di Cannes, secondo film diretto dai registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza dopo Salvo, è un'opera ambiziosa, forse troppo, dato che questo dramma thriller a tinte fiabesche, dove realtà e fantasia si muovono nel mezzo del racconto, lascia abbastanza perplessi. Perché se all'inizio questo contrasto sorprendentemente funziona, contrasto tra magia e realtà e, soprattutto, tra sogni e verità, con l'andare avanti nella vicenda, il suddetto perde progressivamente il fascino che si era costruito all'inizio: l'immaginario, in equilibrio tra il fantastico e il reale, guarda al cinema di Matteo Garrone ma Sicilian Ghost Story si addentra anche in simbolismi e metafore troppo forzate. Questo lirismo viene poco supportato dalla scrittura, a tratti un po' didascalica, compromettendo anche la fascinosa messa in scena. Così, il film si trasforma da una suggestiva narrazione sui sogni e sull'amore come armi per sfuggire alla realtà, a un più prevedibile racconto di formazione. Un racconto neanche così tanto emozionante. Il punto di vista è quello di Luna, una ragazzina di 13 anni che non accetta la scomparsa del suo primo amore, sequestrato per ritorsione poiché figlio di un collaboratore di giustizia. Tenendo conto di questa premessa si può ritenere accettabile, fino ad un certo punto, che il film stesso rinunci ad alcuni gradi di complessità per procedere in modo limitatamente codificato e poco stratificato. Accogliendo questa logica risultano però incongruenti la sicurezza e la saccenza dimostrate dalla protagonista, i dialoghi taglienti e sentenziosi tra ragazzi, così come è accettabile che una (poco più che) bambina impartisca lezioni di responsabilità civile all'insegnante e al (povero) carabiniere solo a patto di concepire il tutto come uno strumento con finalità principalmente educative. Anche la difficile scelta di riferire per immagini il sequestro dal suo interno rivela indecisione su quale livello di realtà trasmettere allo spettatore e finisce per rimanere sospesa tra trucco invadente, dettagli lugubri e inserimenti ridondanti (il carceriere psicolabile, nota grottesca) senza in realtà riuscire a incidere sulla tensione drammatica. E insomma non sapendo su che puntare, tra realtà ed immaginazione, il film punta su di un cavallo sbagliato, centrando pochissimo il bersaglio. Difatti tutto resta nel limbo, e quello che si trova è l'ombra di un film riuscito, di un film spesso noioso e soffocante.
Regia: Era difficile parlare di mafia senza parlarne, parlare della Sicilia senza citarla. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza ci provano e ci riescono a metà, scivolando talvolta nel non detto, nel sogno, nelle meravigliose immagini che scorrono imperterrite. Forse, ma non lo sappiamo, qualche parola di più ci avrebbe fatto capire meglio questo dramma. Perché così tutto rimane offuscato.
Regia: Era difficile parlare di mafia senza parlarne, parlare della Sicilia senza citarla. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza ci provano e ci riescono a metà, scivolando talvolta nel non detto, nel sogno, nelle meravigliose immagini che scorrono imperterrite. Forse, ma non lo sappiamo, qualche parola di più ci avrebbe fatto capire meglio questo dramma. Perché così tutto rimane offuscato.
Sceneggiatura: Nel film vengono rappresentati principalmente il dolore e la disperazione di una compagna di classe del ragazzino rapito, da lei intensamente amato come avviene quasi nel corso di tutte le prime "cotte" amorose, la quale, non rassegnandosi alla cruda realtà, cerca in tutti i modi di scoprire ed invitare la Polizia a fare delle indagini più approfondite su degli individui del paese da lei ritenuti coinvolti nel rapimento. Purtroppo non si risolverà nulla ed il ragazzo verrà comunque barbaramente ucciso. Di questo triste avvenimento i due registi Fabio Grassadonia e Antonio Piazza raccontano gli sviluppi, cercandone però di cogliere il lato più "poetico", rappresentando la passione sincera ed ancora innocente della ragazzina per il giovane compagno di classe. Mai decisione fu sbagliata, perché se la dimensione reale del rapimento e indagini (nessuna) risulta vera ed opprimente, l'altra, tra sogni e quant'altro, è poco digeribile. E non mi spiego quindi come sia riuscito questo film a vincere il David di Donatello per la migliore sceneggiatura adattata.
Aspetto tecnico: Belle le location, scorci della bella Sicilia, bella la fotografia, le immagini sono comunque suggestive, interessante la colonna sonora. Tuttavia dopo un po' il tutto comincia a stancare, e si rivelano riuscite ma fino ad un certo punto.
Cast: Si rivela felice la scelta di Julia Jedlikowska che presta il giovane volto alla coraggiosa protagonista, più insondabili paiono invece le ragioni che hanno portato alla selezione di Gaetano Fernandez per la parte di Giuseppe. Tra i personaggi di contorno colpiscono in negativo la "svizzera" Sabine Timoteo e Vincenzo Amato. Comunque troppo urlate certe interpretazioni, altre praticamente silenziose, anche troppo.
Commento Finale: L'assassinio di Giuseppe Di Matteo è stato uno dei tanti atti crudeli della mafia e questo film rende onore alla sua memoria. Lo fa costruendo una (irreale sembrerebbe, anzi, sicuramente lo è) storia d'amore su una trama già nota di cui conosciamo il tragico finale. Una storia di amore che vira nella pazzia, nella disperazione di una ragazza, Luna, che ha sentito il cuore battere più forte per un compagno di classe, per poi vederlo portare via senza speranza di rivederlo. Una storia d'amore tuttavia asettica, strana e senza senso, come in parte è questo film.
Consigliato: Nonostante tutto è questo un film che vale molto la pena di vedere in ogni caso, dopotutto il mio è un giudizio opinabile, tuttavia bisogna tener conto che le due ore potrebbero risultare assai snervanti.
Voto: 5,5
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