Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/09/2019 Qui
Tema e genere: Film drammatico biografico incentrato sulla vita del rapper statunitense Tupac Shakur, scomparso (assassinato) nel 1996.
Tema e genere: Film drammatico biografico incentrato sulla vita del rapper statunitense Tupac Shakur, scomparso (assassinato) nel 1996.
Trama: Tupac Shakur da adolescente frequenta il liceo prima di prendere la decisione di lasciare la vita a un vicolo cieco con sua madre e abbracciare la thug life californiana. Conquistato il successo come rapper, da vero poeta coltiva il sogno di cambiare il mondo e di fare la differenza ma finirà coinvolto nella letale guerra di bande della East Coast.
Recensione: Produzione cinematografica sofferta e stentata fin dalle origini, il biopic sulla leggenda del rap Tupac Shakur nasce nel 2011, in previsione del ventennale dalla morte dell'artista, che sarebbe stato celebrato cinque anni dopo. Supervisionato dalla madre Afeni Shakur, che avrebbe dovuto tutelare l'immagine del figlio, il progetto paga sin da subito una serie di problematiche finanziarie e divergenze creative, che portano Antoine Fuqua (dopo la morte di Afeni nel 2016) ad abbandonare la regia, affidata poi a Benny Boom, fino ad allora regista di videoclip e con pochissima esperienza su lungometraggi alle spalle (e in parte si vede e conta). Ebbene, All Eyez on Me (che ruba il nome al titolo del suo quarto album) comincia e lascia ben sperare, ma purtroppo andando avanti qualcosa s'incrina. La narrazione infatti, parte direttamente dalla nascita travagliata dell'artista e ci accompagna fino alla sua misteriosa morte: figlio di un'attivista delle Black Panther ed educato in nome di quella giustizia sociale e anti-razziale che sarà poi protagonista delle sue rime, Tupac occupa la scena per ben 139 minuti di film senza però mai dominarla, proponendo allo spettatore una serie di sviluppi narrativi che non diventano mai emotivi per il protagonista e che si susseguono sullo schermo restando però fine a se stessi. Finisce in prigione più di una volta, e proprio da una prigione il film ci viene raccontato. Un giornalista va a trovare l'artista per intervistarlo, per capire quello che ci chiediamo tutti noi guardando la pellicola: Chi è Tupac? La cornice del racconto autobiografico, di Tupac che spiega Tupac, è però l'unico spiraglio di luce dell'intero lungometraggio. Il solo momento del film in cui si tenta di dare una interpretazione su quello che Shakur ha tentato di fare con la sua musica, con le sue parole. Il resto di All Eyez on Me purtroppo si perde in scene ultrasoniche, in cui l'azione avviene ad alta velocità, senza che venga spiegato allo spettatore cosa stia succedendo. Al contrario, forse, di molte persone che hanno guardato o guarderanno il film, io non sapevo quasi niente di Tupac Shakur, e ciò che volevo era sapere cosa rese il rapper una leggenda, per quale motivo milioni di fan di tutte le nazionalità, età e credenze religiose e politiche, venerano Tupac come se fosse stato Dio in terra, o almeno Gesù Cristo (con tanto di ipotesi di resurrezione). Con mia grande delusione, però, dopo più di due ore di film dedicate a questo interessante e complesso personaggio, non ho avuto nessuna risposta. Il film preferisce regalare tre, quattro, cinque interi minuti ad una performance dell'artista, mostrando il suo successo patinato in tutto il suo splendore, infilando qua e là qualche scena violenta per far vedere la cruda realtà in cui Tupac viveva, da cui non si sarebbe mai potuto liberare. Invece di spiegare i meccanismi di un sistema marcio e corrotto dalla criminalità, dal pericolo a cui ogni rapper andava incontro in quel periodo in certi quartieri californiani, invece di gettare una luce sulla figura del rapper gangster che ha segnato un'epoca e dato vita ad un genere musicale.
All Eyez on Me dà per scontato che il telespettatore sappia già tutte queste cose, e quello che vuole vedere è un'incredibile gemello di Tupac cantare a squarciagola sopra un palco, senza maglietta, applaudito da una folla di fan in visibilio. A differenza di Straight Outta Compton che è riuscito a restituire un'immagine veritiera ed accurata della scena musicale californiana, dell'importanza dei testi di quelle canzoni, della forza di quel tipo di musica e della crudeltà di quello stile di vita, rendendo gli artisti che ne hanno fatto parte dei protagonisti di cui vorresti sapere di più, di cui sei felice di aver scoperto la storia, grazie ad una regia intelligente e ad uno stile chiaro e diretto. Invece di sfruttare la brillante interpretazione di Demetrius Shipp Jr. (qui nel suo primo importante ruolo sul grande schermo), appiattisce tutto sotto il peso di qualche video musicale di troppo, evitando di curare i dialoghi che invece di dire qualcosa, era meglio non dicessero nulla, e svilisce un fiero Tupac Shakur, che ha modo di spiegarsi solamente dalla sua cella grazie a quel giornalista, l'unico interessato a sapere cosa avesse quel ragazzo da dire. Gli eventi cardine che avrebbero meritato approfondimento sono stati affrettati e forzati (gli stessi cambi di tensione e rapporti vengono messi in scena con superficialità), ed è curioso che nelle due ore abbondanti di film si abbia una così pervadente impressione di incompletezza, che è la sensazione più sgradevole che si possa provare dopo un film che era presumibilmente tanto atteso soprattutto dai fan del rap. Persino i personaggi più importanti vengono banalizzati, definiti in relazione all'evento che li coinvolge nella vita del rapper senza mai trovare però un vero approfondimento neanche in quelle tematiche che avrebbero potuto dare una svolta al film: il valore dell'amicizia, della vita e della famiglia, la lealtà al proprio lavoro e l'amore per la cultura afroamericana restano solo uno scarso e poco gustoso contorno. Insufficiente per dipingere una figura che coinvolga empaticamente lo spettatore, il film spreca un'occasione d'oro, gettando superficialmente su schermo la storia di un personaggio fondamentale per la storia del rap degli anni '80 e '90 e che tanto invece avrebbe potuto offrire al mondo della settima arte. Quando una figura così mitica come quella del defunto rapper americano debutta su grande schermo, non servono altri grandi motivi per vederlo, pochi controllano chi cura i comparti tecnici, gli attori in azione o le menti dietro la sceneggiatura. L'abissale differenza tra Straight Outta Compton e il biopic sulla vita di 2Pac è proprio questa: al termine del primo, a prescindere dal gusto o dal feeling con la musica rap, ti resta un film con la F maiuscola, uno sceneggiato di livello, interpretazioni sensibili, personaggi strutturati e atmosfere sempre on fleek. Il secondo risulta veramente difficoltoso da apprezzare a cervello acceso, se si è cultori della settima arte, poiché sul finire dei titoli di coda resta poco altro che la storia in sé, ben nota a molti. Intrattiene? Assolutamente sì, e francamente era difficile rendere noioso il contesto sociale e artistico della città losangelina nei 90's, tra spari, ghetto, risse, tribunali e sesso ogni tot lo spettatore avrà di che divertirsi durante la proiezione. Era il film che ci si aspettava in generale ma soprattutto sulla vita del rapper americano? Decisamente no, ed è un peccato.
All Eyez on Me dà per scontato che il telespettatore sappia già tutte queste cose, e quello che vuole vedere è un'incredibile gemello di Tupac cantare a squarciagola sopra un palco, senza maglietta, applaudito da una folla di fan in visibilio. A differenza di Straight Outta Compton che è riuscito a restituire un'immagine veritiera ed accurata della scena musicale californiana, dell'importanza dei testi di quelle canzoni, della forza di quel tipo di musica e della crudeltà di quello stile di vita, rendendo gli artisti che ne hanno fatto parte dei protagonisti di cui vorresti sapere di più, di cui sei felice di aver scoperto la storia, grazie ad una regia intelligente e ad uno stile chiaro e diretto. Invece di sfruttare la brillante interpretazione di Demetrius Shipp Jr. (qui nel suo primo importante ruolo sul grande schermo), appiattisce tutto sotto il peso di qualche video musicale di troppo, evitando di curare i dialoghi che invece di dire qualcosa, era meglio non dicessero nulla, e svilisce un fiero Tupac Shakur, che ha modo di spiegarsi solamente dalla sua cella grazie a quel giornalista, l'unico interessato a sapere cosa avesse quel ragazzo da dire. Gli eventi cardine che avrebbero meritato approfondimento sono stati affrettati e forzati (gli stessi cambi di tensione e rapporti vengono messi in scena con superficialità), ed è curioso che nelle due ore abbondanti di film si abbia una così pervadente impressione di incompletezza, che è la sensazione più sgradevole che si possa provare dopo un film che era presumibilmente tanto atteso soprattutto dai fan del rap. Persino i personaggi più importanti vengono banalizzati, definiti in relazione all'evento che li coinvolge nella vita del rapper senza mai trovare però un vero approfondimento neanche in quelle tematiche che avrebbero potuto dare una svolta al film: il valore dell'amicizia, della vita e della famiglia, la lealtà al proprio lavoro e l'amore per la cultura afroamericana restano solo uno scarso e poco gustoso contorno. Insufficiente per dipingere una figura che coinvolga empaticamente lo spettatore, il film spreca un'occasione d'oro, gettando superficialmente su schermo la storia di un personaggio fondamentale per la storia del rap degli anni '80 e '90 e che tanto invece avrebbe potuto offrire al mondo della settima arte. Quando una figura così mitica come quella del defunto rapper americano debutta su grande schermo, non servono altri grandi motivi per vederlo, pochi controllano chi cura i comparti tecnici, gli attori in azione o le menti dietro la sceneggiatura. L'abissale differenza tra Straight Outta Compton e il biopic sulla vita di 2Pac è proprio questa: al termine del primo, a prescindere dal gusto o dal feeling con la musica rap, ti resta un film con la F maiuscola, uno sceneggiato di livello, interpretazioni sensibili, personaggi strutturati e atmosfere sempre on fleek. Il secondo risulta veramente difficoltoso da apprezzare a cervello acceso, se si è cultori della settima arte, poiché sul finire dei titoli di coda resta poco altro che la storia in sé, ben nota a molti. Intrattiene? Assolutamente sì, e francamente era difficile rendere noioso il contesto sociale e artistico della città losangelina nei 90's, tra spari, ghetto, risse, tribunali e sesso ogni tot lo spettatore avrà di che divertirsi durante la proiezione. Era il film che ci si aspettava in generale ma soprattutto sulla vita del rapper americano? Decisamente no, ed è un peccato.
Regia/Aspetto tecnico: Lo stile videoclipparo del regista si percepisce fin da subito, ma in questo caso non è un aspetto necessariamente negativo, né qualcosa che ho disprezzato. Ciò che veramente non convince è la scelta di soffermarsi troppo a lungo su alcuni aspetti decisamente secondari della vita di Tupac, tralasciando o evitando di approfondire i momenti più significativi della sua carriera musicale. È più una pagina di Wikipedia recitata su schermo che una storia, quella che Benny Boom tenta di mettere in scena, peraltro affetta da una serie di difetti tecnici di regia che vanno oltre il suo stile e di scrittura (come potete leggere sotto), nonché di confezione (a salvarsi solo le musiche, ma è vincere a mani basse), che rendono il film incredibilmente piatto e privo di ritmo.
Sceneggiatura: Il soggetto del film meritava maggior approfondimento psicologico, e qui c'è una vera e propria morìa a livello di sceneggiatura, che nei biopic è fondamentale, poiché siamo tutti bravi a leggere la storia di un rapper su Wikipedia. Il plus è dato dalla definizione caratteriale dei personaggi, lo spessore dei dialoghi (veramente scialbi, talvolta irritanti nella loro banalità e nei grotteschi cliché utilizzati) e la modalità narrativa. Di queste tre caratteristiche possiamo salvare solo l'ultima: a convincere maggiormente è proprio lo sviluppare la trama attraverso un'intervista, una conversazione tra un giornalista e 2Pac.
Cast: Demetrius Shipp Jr. è praticamente la manna caduta dal cielo per il casting, perché è esattamente identico al defunto rapper, fa davvero impressione. Peccato che non basti, come non basta l'impegno profuso da Danai Gurira su tutti, ma anche dagli altri (c'è anche Lauren Cohan).
Commento Finale: Questo primo tentativo di portare sul grande schermo la storia di uno dei più grandi, talentuosi e controversi rapper di tutti i tempi purtroppo è un esperimento riuscito a metà. Se da una parte, infatti, la scelta dell'attore protagonista si rivela azzeccata al 100%, e la sua interpretazione non fa rimpiangere le aspettative, dall'altra è tutto il contorno a soffrire di una cura per i dettagli non sufficiente, e di una mancanza di profondità in alcuni aspetti che invece erano fondamentali per ricreare un ritratto il più fedele possibile all'originale. E sì che giusto un paio di anni prima era uscito il ben più tosto Straight Outta Compton, quindi qualche ispirazione su quali tasti toccare la si poteva prendere, invece niente, per ora ci dobbiamo accontentare di questa piatta versione, nella speranza che un giorno qualcuno decida seriamente di rimboccarsi le maniche e dare il giusto tributo a questa intramontabile icona.
Consigliato: E' evidente che tralasci parecchie cose, che la confezione lasci a desiderare, tuttavia se consigliabile è questo film per chi non conosce assolutamente nulla su questo artista leggendario, potrebbe non esserlo per chi già lo conosce, e quindi sta a ognuno di voi capire il valore d'interesse e decidere se vederlo o meno, sempre tenendo in considerazione la non eccellente qualità.
Voto: 5
Nessun commento:
Posta un commento