Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 24/09/2019 Qui
Tema e genere: Dramma biografico che racconta gli ultimi e tormentati anni di Vincent Van Gogh, dalla burrascosa amicizia con Paul Gauguin, fino al colpo di pistola che lo uccise a soli 37 anni.
Tema e genere: Dramma biografico che racconta gli ultimi e tormentati anni di Vincent Van Gogh, dalla burrascosa amicizia con Paul Gauguin, fino al colpo di pistola che lo uccise a soli 37 anni.
Trama: Uno sguardo al periodo che Vincent Van Gogh ha passato nella regione di Arles tra il febbraio del 1888 e il maggio del 1889.
Recensione: Dopo decine di adattamenti e opere originali dedicategli (l'ultimo bellissimo Loving Vincent, troppo particolare, per tecnica ed inventiva, per essere dimenticato), arriva Julian Schnabel con il suo Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità a parlare ancora una volta di Vincent Van Gogh. Presentato alla 75ma Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia, il film si focalizza sugli ultimi anni di vita dell'artista, tormentato da grosse difficoltà economiche e da una crisi esistenziale che lo ha portato al crollo delle sue condizioni psichiche e al ricovero presso l'ospedale psichiatrico di Saint Remy. Per parlare di un personaggio-simbolo della cultura occidentale su cui tutto sembra esser stato detto, il regista lavora per ellissi e sottrazioni, contestualizzando la figura tormentata di Vincent quasi esclusivamente attraverso la sua arte. Il film privilegia infatti la materia pittorica in quanto tale piuttosto che la componente biografica, scommettendo sulla composizione di immagini e paesaggi, sono i luoghi, i colori e i dipinti a parlare, ancor più del protagonista e del suo viaggio "sulla soglia dell'eternità", come recita il titolo della pellicola tratto da un suo dipinto. Schnabel conosce bene la materia che sta trattando (oltre che regista è lui stesso un pittore) e vuole omaggiare l'artista imitandone lo stile pittorico: colori saturi, scene di paesaggi sconfinati e inquadrature in soggettiva sembrano volerci calare nei panni dell'ultimo Van Gogh, solo e discriminato da quella società borghese che non lo ha mai del tutto compreso. Le immagini si susseguono dunque in una continua frizione tra la realtà interiorizzata dall'artista e una concretezza superficiale e immediata alla quale il suo genio non ha mai saputo adeguarsi. La sua sensibilità dolce e tormentata è tradotta dalle parole delle lettere realmente indirizzate ad amici e parenti, che qui fungono da voce narrante e guida attraverso gli stati d'animo del protagonista, più didascalici sono invece i dialoghi tra i personaggi, che in una sceneggiatura volutamente elementare si perdono in spiegazioni un po' artificiose e ridondanti sul valore della pittura. Con la sua interpretazione Willem Dafoe si è guadagnato a Venezia la Coppa Volpi (ed una candidatura agli Oscar), ma Rupert Friend nei panni del fratello Theo e Oscar Isaac in quelli di Gauguin non sono certo da meno, purtroppo in più di un'occasione la cura del versante estetico si scontra con la fragilità di una controparte narrativa eccessivamente piatta e lineare, che talvolta rende il film faticoso e non sempre ha la forza per arrivare al cuore dello spettatore. Il tentativo di Schnabel, non del tutto esaustivo, è comunque coraggioso e merita di essere ricordato anche soltanto per aver concretizzato quel dramma esistenziale (centrale nella vita di Van Gogh) che raramente è stato affrontato con tale consapevolezza sul grande schermo.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Evidente figlio del cinema di Terrence Malick (che non è propriamente una cosa buona), il film (sicuramente ben fotografato) assume tratti crepuscolari ed estatici, onirici e acquosi, partendo da questa grande idea idiosincratica (enfatizzando la pacatezza in modo quasi agiografico in relazione ad eventi drammatici), e dà il meglio di se quando deve mostrare (bellissimi i paesaggi e l'idea di far vedere allo spettatore con l'occhio del pittore, anche se ciò comporta un effetto "ubriacatura" continuo, e non mirato ad alcune sequenze, che dà un certo fastidio), un po' meno quando si trova a dover raccontare e/o a spiegare: la parte drammatica infatti non riesce mai a lasciare il segno, colpa soprattutto dei dialoghi non proprio brillanti della sceneggiatura (scritta a quattro mani da Jean-Claude Carrière e lo stesso regista) cui però le interpretazioni degli attori (da segnalare anche Mads Mikkelsen nel ruolo di un prete) riescono quasi sempre a sopperire. Nel complesso perciò, anche se vedo l'interprete principale centrato e bravissimo (come sempre), il giudizio sul film per me è sufficiente, per non essere riuscito a coinvolgere appieno chi lo guarda.
Regia/Sceneggiatura/Aspetto tecnico/Cast: Evidente figlio del cinema di Terrence Malick (che non è propriamente una cosa buona), il film (sicuramente ben fotografato) assume tratti crepuscolari ed estatici, onirici e acquosi, partendo da questa grande idea idiosincratica (enfatizzando la pacatezza in modo quasi agiografico in relazione ad eventi drammatici), e dà il meglio di se quando deve mostrare (bellissimi i paesaggi e l'idea di far vedere allo spettatore con l'occhio del pittore, anche se ciò comporta un effetto "ubriacatura" continuo, e non mirato ad alcune sequenze, che dà un certo fastidio), un po' meno quando si trova a dover raccontare e/o a spiegare: la parte drammatica infatti non riesce mai a lasciare il segno, colpa soprattutto dei dialoghi non proprio brillanti della sceneggiatura (scritta a quattro mani da Jean-Claude Carrière e lo stesso regista) cui però le interpretazioni degli attori (da segnalare anche Mads Mikkelsen nel ruolo di un prete) riescono quasi sempre a sopperire. Nel complesso perciò, anche se vedo l'interprete principale centrato e bravissimo (come sempre), il giudizio sul film per me è sufficiente, per non essere riuscito a coinvolgere appieno chi lo guarda.
Commento Finale: Ci sono diversi momenti interessanti in Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità, sebbene non abbia dalla sua parte una sceneggiatura solida. Eppure il film ha il merito di farci scoprire il lato più intimo dell'artista al riparo da qualsiasi rappresentazione troppo "ufficiale". Il lavoro di Julian Schnabel colpisce ed emoziona per quasi tutta la sua durata, se non fosse per una chiusura un po' troppo frettolosa. Tuttavia non lascia un'impronta indelebile nello spettatore. Questo è forse l'effetto di un'esperienza più sensoriale che narrativa, in cui il regista riprende l'approccio già impiegato nel ben più riuscito Lo scafandro e la farfalla (sicuramente il suo miglior film). Contrariamente a quest'ultimo, Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità non è però un lavoro a 360° sul suo personaggio. Sorprendentemente il regista, pur scegliendo un materiale sulle sue corde, si perde in un massacrante misticismo dell'arte e della vita dell'artista olandese. Tutti questi difetti non vengono però percepiti molto durante la visione del film, forse complice l'indiscutibile presenza scenica del suo attore protagonista, che da solo vale tutto il film, un buon film, ma non eccezionale.
Consigliato: Non è un brutto film, anzi, ma la visione non è proprio leggera, quindi attenzione.
Voto: 6+
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