Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 07/08/2018 Qui - Dopo il mediocre Mamma o Papà? torna il team formato da Riccardo Milani/Antonio Albenese/Paola Cortellesi. I risultati sono leggermente migliori ma nel complesso comunque e ugualmente insufficienti. Vengono nuovamente affrontati temi legati alla famiglia stavolta prendendo spunto da una specie di Indovina chi viene a cena, ma Come un gatto in tangenziale, film del 2017 del regista romano, e non è un caso che il titolo è un'espressione, utilizzata prevalentemente a Roma e dintorni, per esprimere un parere su una cosa, una situazione che si presume avrà una durata molto breve, come, appunto, un gatto che cammina sulla tangenziale: di vita breve (e giustappunto come il film stesso, vedibile però dimenticabile in fretta), puntando e giocando nuovamente su una dialettica antagonista e sugli stereotipi di genere, dopotutto la storia è quella che attinge dalla classica commedia italiana, ovvero il confronto tra due opposti, due mondi paralleli che si guardano con diffidenza e che non sono destinati a incontrarsi (e non è un caso che abbondino gli stereotipi sulla borghesia d'alto bordo snob e piena di sussiego e sul proletariato ruspante e abituato all'arte d'arrangiarsi), non riesce ancora una volta a centrare il bersaglio. Il film infatti, che racconta di Giovanni, che da sempre a favore dell'uguaglianza e della condivisione, vede vacillare le sue convenzioni quando la figlia (appena tredicenne) decide di fidanzarsi con Alessio, un ragazzo della degradata periferia romana, e che troverà nella madre di lui ragazzo un'insospettabile risorsa per far sì che i due si lascino (i loro mondi sono incompatibili o almeno così sembrerebbe), è, non solo moralmente banale e bigotto, ma anche forzatamente e inutilmente caricaturale. Perché anche se Come un gatto in tangenziale non disdegna la risata (e non manca più di un momento divertente), tuttavia questa è spesso figlia dell'istrionismo dei due attori coinvolti, che non possono però fare tutto da soli.
Difatti il tentativo del regista è quello di cavalcare gli stereotipi per mettere in scena una tematica attuale come l'enorme forbice che c'è tra la periferia (coatta, "multiculturale", criminale) e la borghesia intellettuale. Un film che affronta l'incomunicabilità attraverso l'avvicinarsi di due personaggi distanti, costretti a condividere un'esperienza (il fidanzamento appunto dei rispettivi figli). Tuttavia il tentativo, pur non essendo comunque fallimentare, non sembra pienamente riuscito perché c'è la volontà di estremizzare il tutto, per giocare con i rispettivi comportamenti che non riescono a concepire il compromesso, se non nelle battute conclusive. E allora ecco che si assiste a una ripetitività narrativa e situazionale che non aiuta il film, anzi sembra chiuderlo in un paradosso inconcludente, passando da luoghi comuni (la politica è tutta un "magna-magna") a invettive che condannano il menefreghismo produttivo. E quindi si assiste a un prodotto che delinea, in maniera ironica, le differenze sociali senza però riuscire a far riflettere sul perché i due mondi non possano convivere e aiutarsi l'un l'altro. E perciò nel film e nella sua sceneggiatura, sceneggiatura che nonostante la simpatica comicità di Paola Cortellesi, risulta prevedibile nella risoluzione, inutile in altre soluzioni (le due sorelle cleptomani e un Claudio Amendola simpatico ma che arriva troppo tardi) e scontata dalla partenza (in 2 minuti ha già detto tutto senza nessun prologo o spiegazione alcuna), a restare sono gli sketch comici scontati, sentimenti e moralismi stereotipati, un tocco di politically correct, insomma gli ingredienti di un cinema che non va da nessun parte. Un cinema, un film, con molta apparenza e poca sostanza che scorre lasciando quasi il nulla. Voto: 5,5