Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 13/04/2017 Qui - Ambientato nell'America post-depressione, Race: il colore della vittoria (Race) è la storia di James Cleveland "Jesse" Owens e il percorso che lo ha portato a vincere quattro medaglie d'oro nelle Olimpiadi a Berlino nel 1936. Ma il film, del 2016 diretto da Stephen Hopkins, non è soltanto un biopic sulla vita di questo immenso campione, è la storia di un uomo che sfidando i pregiudizi e mille difficoltà ha realizzato un sogno impossibile. Quello di un ragazzo di colore che, con la sua forza di volontà e il dono della velocità, ha incantato il mondo intero, ha contrastato le ideologie folli naziste ed è diventato leggenda. Una storia incredibile la sua, lui che esordisce nello sport agonistico nel 1935 battendo quattro record mondiali in quattro specialità diverse, venendo così convocato per rappresentare gli Stati Uniti ai Giochi Olimpici, ponendosi così in una posizione scomoda tra la comunità degli afroamericani che gli chiede di non prender parte alla nazionale e il suo sogno di poter correre alle Olimpiadi. Nel film infatti (che si gioca su vari livelli, facendo così arrivare chiari e tondi i messaggi che deve fare arrivare senza strafare) sono due le storie che scorrono parallele, quella dell'atleta e della preparazione per le qualificazioni e quella più politica che vede il Comitato Olimpico Americano chiamato a prendere una decisione importante, boicottare o meno le Olimpiadi di Berlino in segno di protesta contro Hitler. Qualcosa di paradossale se si pensa a quello che succedeva in America in quel periodo, coloro che infatti protestano fuori dal comitato olimpico americano per boicottare i giochi nazisti sono gli stessi che non esitano a prendersela con le persone di colore riservando a loro un trattamento terribile e autobus e ingressi diversi persino in teatro (molto bella ed eloquente la scena finale). Race difatti mostra appieno l'insensatezza delle leggi razziali e di quanto fossero radicate nel senso comune americano, dipingendo uno stato che inorridisce e mette ai voti il boicottaggio dei Giochi Olimpici per le leggi razziali di Hitler mentre il proprio statuto presenta leggi che distinguono i propri cittadini dal colore della pelle.
Allo stesso tempo il film rende la sontuosità dei giochi organizzati da Joseph Goebbels per cercare di purificare l'immagine del regime e per fare trionfare la razza ariana specialmente nei confronti degli odiati ebrei. La pellicola inoltre ci mostra un qualcosa che purtroppo molto spesso accade, ovvero le oscure trame di potere, soldi e sport che finiscono per intrappolare chi dello sport è il massimo rappresentante ed è qui il caso del personaggio interpretato da un seppur bravissimo Jeremy Irons, anche se, se le Olimpiadi del 1936 si sono disputate lo si deve soprattutto alla mediazione, più o meno lecita di quest'uomo, l'immobiliarista Avery Brundage, che riuscì a convincere il CIO Americano dell'importanza di partecipare mettendo da parte la politica per l'esclusivo interesse dello spirito sportivo. Ma se questo film funziona lo si deve soprattutto al film stesso, non esente da retorica, tutt'altro, ma che mostra quale sia la differenza fra una retorica volta all'esaltazione di valori positivi e quella, di regime, intesa alla negazione dei medesimi. Il film infatti è spettacoloso sia per regia che per (soprattutto) sceneggiatura e devo dire che non me l'aspettavo affatto, avendo già visto vari film di Stephen Hopkins che ricordo come regista di sequel di film horror di seconda fascia (Nightmare 5 e Predator 2) oltre che di pellicole modaiole come Lost in Space.
E invece mi sono visto un film che ha una sceneggiatura favolosa, che non strumentalizza troppo i successi di Owens e che oltre a evidenziare la follia nazista mette sotto la luce dei riflettori (come detto) anche l'atteggiamento razziale degli americani. Oltre alla storia di Owens, viene poi trattata molto bene la genesi e lo svolgimento delle Olimpiadi del '36, ovviamente la minaccia del boicottaggio americano, ma anche i rastrellamenti e la manipolazione massmediatica dei nazisti (nella persona di Goebbels) capaci di organizzare una sfarzosa edizione esaltata dall'essere la prima trasmessa dalle televisioni (interessante ruolo della famosa regista pupilla del Fuhrer, Carice Van Houten de "Game of Thrones" costretta a duellare con l'ostracismo di Goebbels interessato solo ai successi nazisti). Scenografie notevoli, ottima regia specie per il ritmo (da urlo il piano sequenza in cui Owens fa l'ingresso nello stadio di Berlino). Cast artistico non stellare, ma funzionale (mostruoso l'attore che interpreta Goebbels, il migliore del cast per come trasmette l'apatia e la freddezza di questo uomo malvagio).
Il confronto poi e il gioco di inquadrature tra Jesse Owens e Goebbles riesce a trasmettere pathos e adrenalina, il generale tedesco crede di essere il vincitore dei giochi, ma in realtà a batterlo è il ragazzo con la divisa americana. Non c'è pericolo di spoilerare perché qualunque amante dello sport sa le imprese di Jesse Owens e non si può non parlare dello straordinario gesto di sportività di Carl Luz Long che aiutò il rivale americano scatenando poi le ire del regime (arruolato nell'esercito tedesco e spedito al fronte come punizione, morì in Sicilia durante l'invasione degli alleati nel 1943). La loro amicizia oltre ogni confine è l'ennesima storia nella storia nella vita di questo straordinario atleta, unico nella storia. Una storia che è giusto ed importante le generazioni più giovani conoscano, per capire cosa è stato, cosa può essere, lo Sport, cosa è stata la Storia. E' giusto ed importante che conoscano chi è stato Jesse Owens. Lui che dopo aver portato a casa quattro medaglie d'oro e vedersi rifiutata la consueta stretta di mano del Presidente del Paese ospitante (Hiltler chi sennò), non sarà neanche ricevuto dall'allora presidente Roosevelt. Per ricevere un qualche riconoscimento l'atleta dovrà aspettare il 1976, quando verrà invitato alla Casa Bianca dal presidente Gerald Ford e riceverà la Medaglia Presidenziale della Libertà, il massimo titolo per un civile americano.
Ma il film è davvero bello e meritevole anche grazie a Stephan James (Selma), che non solo riesce ad interpretare benissimo le imprese sportive di Jesse Owens, riuscendo dopo una lunga preparazione a simularne lo stile e rendendo realistiche le gare, ma anche e soprattutto il Jesse più privato, prima padre affettuoso, poi compagno pentito e infine icona alla lotta razziale. Il plauso maggiore però va all'eccezionale interpretazione di Jason Sudeikis nei panni dello storico coach de "Il Figlio del Vento" Larry Snyder. Il film è infatti anche il racconto della loro straordinaria amicizia in nome di una medaglia d'oro che Larry ha buttato via, ma che non vuole veder sfuggire a quello che forse resta ancora oggi il più grande atleta della storia delle Olimpiadi. Il film per questo è incredibile perché riesce a fare politica con lo sport, due cose che probabilmente e sinceramente non dovrebbero mai mischiarsi, ma lo fa con delicatezza mettendo le due cose su due diversi binari e senza mai dare l'impressione di mischiarle. Comunque prima di essere un film contro il razzismo (perché lo è) questo è un film sui sogni di un ragazzo diventato leggenda e i sogni non hanno colore. A tal proposito, una delle parti più interessanti sono quelle delle gare olimpiche, con l'ausilio di un doppiatore d'eccezione come Federico Buffa.
Tutto in due ore, due ore che raccontano, senza fare sconti agli Stati Uniti, la storia di un giovane ragazzo afroamericano selezionato per rappresentare la propria nazione, grazie al suo talento e alla dedizione, ai Giochi Olimpici organizzati da Hitler per dimostrare la superiorità della razza ariana e che, sbeffeggiando ogni manifesto politico, si porta a casa quattro medaglie d'oro, scrivendo così un pezzo di storia. Una storia vera (anche se a tratti leggermente romanzata) dove gli attori sono bravi e danno un'ottima prova di recitazione, gli ambienti sono ricostruiti fedelmente e soprattutto la suspense durante le gare rimane sempre a galla e non ti lascia fino alla vittoria. Dato che questo è un film davvero appassionante, descriverei cosi infatti la visione di questa pellicola che dall'inizio alla fine non perde mai mordente e anzi ti trascina verso l'Olimpiade del '36 quasi senza accorgertene. In più il film ha dialoghi e immagini che colpiscono nel segno anche se effettivamente niente di particolarmente sorprendente, ma Race resta comunque un film più che valido. Non un capolavoro, ma un ottimo film da vedere e consigliare, da mostrare anche nelle scuole medie e superiori per sottolineare, dato che non fa mai male, la vera essenza dello sport quale dimensione (dovrebbe valere anche per tutto il resto) dove le diverse origini e le diverse etnie servono, al massimo, a delineare le varie squadre chiamate a confrontarsi su un campo di gara nel reciproco rispetto e con la dovuta spinta morale volta si alla vittoria e all'esaltazione, ma sempre nel rispetto delle regole e dei valori etici. Dunque le Olimpiadi come occasione, specie per quei tempi, di incontro di diverse culture e di scambio di valori, opinioni e tecniche tra persone che hanno interessi e passioni coincidenti e mai quale campo di battaglia o vetrina finalizzata alla sopraffazione politica e culturale (come invece succederà anche in piena guerra fredda). Per questo e pertanto mi è piaciuto davvero tanto. Voto: 7,5