Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/03/2017 Qui - Basato su un romanzo dello scrittore ceco di origini ebraiche Arnošt Lustig ("Una ragazza da Anversa"), nominato per il Premio Pullitzer, che riuscì a sfuggire alla persecuzione nazista saltando dal treno che nel 1945 lo stava portando a Dachau, Colette (Colette: un amore più forte di tutto) film di produzione Slovacchia-Repubblica Ceca del 2013 (andato in onda il 24 gennaio scorso su Rete4), diretto dal regista Milan Cieslar, è un delicato seppur leggermente artificioso e abbastanza inusuale racconto drammatico romantico. Il film infatti, racconta la storia di due ebrei costretti a subire qualsiasi tipo di tortura fisica e psicologica internati nel campo di concentramento di Auschwitz. Due giovani amanti, Vili (Jirí Mádl) e Colette, e la loro lotta per sopravvivere alla fabbrica di morte in cui sono prigionieri. L'orrore di un luogo così tremendo difatti si contrappone al loro amore che riesce a tenere accesa la fiamma della speranza e a dare una forza inaspettata ai due ormai stremati. Comunque insolito è questo film, non nella storia, anche se qui molto sembra non combaciare, ma soprattutto nella cifra stilistica, dato che abbastanza strano è l'inizio, poiché il punto di vista della narrazione che si vede nel film, non è come spesso capita, quello dei due protagonisti. La storia infatti è narrata da Vili Feld da vecchio, ma nel 1973 in una NY stile hippy troppo artigianale. Qui in occasione e dopo un incontro con la suocera di suo figlio che sta per sposarsi, con cui sembra esserci un certo legame, l'uomo ricorda degli eventi che ha vissuto in un campo di prigionia nazista, durante la Seconda guerra mondiale, con il nazismo che portava ovunque terrore e distruzione.
Ovvero e soprattutto la storia (un po' presa per i capelli senza una vera attrazione o coinvolgimento emotivo, il loro e di chi vede il film) di lui che conosce lei, finite nelle mire di un sadico ed egocentrico nonché viscido ufficiale (Eric Bouwer) per la sua bellezza (d'altronde la bella Clémence Thioly non passa inosservata), che, collocati in zone del campo diverse, cercano tutti modi per stare insieme e viversi la loro storia d'amore. Una storia d'amore che incontra ovviamente moltissimi ostacoli, la fame, il duro lavoro da portare avanti, gli incubi, la morte e la realtà di un mondo caduto nel baratro dell'umanità. Ma mai come in questo caso la speranza è sempre l'ultima a morire, e per alcune circostanze si ritroveranno ad avere una chance per fuggire. Colette, nonostante la fama e i meriti dell'autore e la veridicità delle situazioni descritte, in sé non aggiunge molto a quanto già si sa sull'Olocausto, questo perché ci si sofferma troppo sulla storia d'amore, comunque romanzato, anche troppo, dato che addirittura la parte più importante di un film del genere, ovvero denuncia o almeno scuotere le coscienze, funziona male. A volte infatti si ha la sensazione di poca serietà e di esser difronte ad un film erotico che un film drammatico. Infine a volte, per colpa di una regia, fotografia e scenografia di bassa qualità, sembra di assistere e di vivere in una cartolina con una patinatura irritante e deficitaria. Difatti, e nonostante l'importantissimo tema o la giustificabile importanza, questo è uno dei film sulla Shoah più brutto da me visto, non basta la nuova e innovativa, seppur non originale messa in scena o sceneggiatura, a dare lustro ad un film neanche sufficiente. Peccato perché pareva essere un buon film, e invece, scialbo e noioso. Voto: 5,5
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