sabato 9 marzo 2019

Jason Bourne (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 02/05/2017 Qui - Per chi scrive, Jason Bourne, film del 2016 di Paul Greengrass e nuovo capitolo dell'agente segreto creato dall'abile "penna" di Robert Ludlum, aggiunge poco o nulla alla serie, anzi, è il meno avvincente dei capitoli della serie, buon ritmo, vero, ma scene d'azione confuse più che coinvolgenti. Perché noi tutti ricordiamo (e anche il protagonista finalmente), ogni capitolo della storia/esistenza "bourniana", d'altronde la saga della spia senza memoria divenuta preda numero uno dell'Agenzia ha segnato una parte fondamentale del cinema d'azione degli ultimi quindici anni, e di conseguenza dell'immaginario collettivo, dentro il quale sono confluiti realismo spinto e paranoie globali, e questo anche dimenticando l'apocrifo The Bourne Legacy, così brutto e sbagliato, un intruso, altro che eredità, arriva però fuori tempo massimo. Jason Bourne infatti, è sì tornato, ma ha impiegato molto tempo (forse troppo), anche se la saga è ancora viva e frizzante e vive di quelle che sono le sue caratteristiche, per questo nonostante parecchi problemi è un film abbastanza bello. In più sembra finalmente chiudersi un cerchio e concludere la saga, poiché questa è una resa dei conti. Una resa dove viene spiegato tutto, perché lui diventa quello che è, e perché lo hanno usato. Tutti i conti in sospeso insomma vengono (apparentemente) chiusi. Lui che vive ormai di combattimenti clandestini in giro per l'Europa dell'Est, fino a quando una giovane hacker lo contatta perché è venuta in possesso di informazioni preziose sul suo passato, ma l'incontro tra i due attira subito le attenzioni dei vertici della CIA, determinati a eliminare entrambi. E mentre cercherà di ricostruire il tassello mancante nella ricostruzione delle sue origini, dovrà cercare di sopravvivere a tutto e tutti.
Come detto, il film seppur interessante (e salvabile in ogni caso), sembra però un autentico déjà-vu, anche se l'intuizione alla base della ripartenza (desiderata un po' da tutti, studios, autori, attore, pubblico) era semplice (e giusta), riappropriarsi dell'eredità, della propria identità. Come? Attraverso un altrettanto semplice disegno di "ricalco". Ma fatto come miglior ingegno comanda, da mani e menti che hanno familiarità, padronanza, paternità con il soggetto. In fondo Jason Bourne (nome, cognome, Matt Damon) altro non è che una rielaborazione/rivisitazione/rilettura degli episodi 2 e (soprattutto) 3. Un'operazione (intelligente e inevitabilmente limitata) di riscrittura di ogni componente essenziale, struttura e impostazione narrativa, composizione dei personaggi (dal nuovo bastardissimo capo della CIA interpretato da Tommy Lee Jones, al capo della Divisione Cyber interpretato da un'ambigua Alicia Vikander il cui ruolo evoca prima quello di "Nicky Parsons", qui nuovamente interpretata seppur per breve tempo da Julia Stiles, e poi quello di "Pamela Landy"), configurazione estetico-visiva, presenza/enfasi registica e di montaggio, partitura sonora, lettura critica delle psicosi odierne (a partire dall'eterno scontro privacy vs. sicurezza). Frammenti conosciuti e validi di una costruzione filmica con la quale identificarsi, riconoscersi e riconoscere valori, dispositivi, codici già immagazzinati nel proprio archivio mnemonico personale.
Vedere l'ipercinetica sequenza (lunga, articolata, complessa) ambientata in un'Atene sconvolta da noti avvenimenti, tra esplosioni, fughe e inseguimenti a rotta di collo, scene di massa e caos, equivale alla catarsi di quando si ripercorrono importanti luoghi familiari. Una sequenza che è il pulsante motore action del film, e la firma, quella di Paul Greengrass (e dei sodali direttore della fotografia e responsabile del montaggio). Riprese frenetiche, convulse, concitate, stordenti, dal flusso interrotto e dal respiro a mille, con la camera a mano armata di tutte le ossessioni del regista. Ritorni e ricordi disseminati lungo la solida linea narrativa e attorno all'area dei contenuti (sempre nella sotto-dimensione del déjà-vu, con i dovuti accorgimenti del caso e aggiornamenti, si accenna a Snowden, si insinua il ruolo prepotente dei social media), tra eventi traumatici, "asset" spietati con la faccia cattivissima di un Vincent Cassel impeccabile, rivelazioni dal passato, sporchi giochi di ruolo all'interno dell'Intelligence e altri spettacolari azzanni action quali la sequenza a Las Vegas (l'unica cosa che comunque stona un po') e il corpo a corpo finale, l'organismo bourniano (ri)vive e riaccende le proprie memorie, connettendosi con sé stesso e con lo spettatore. Come e persino nella scena finale, un passo avanti, lo stupore nello sguardo dell'altra. Poiché è sempre Jason Bourne a condurre le danze, spiare, controllare.
Veniamo infatti caricati di una dose di adrenalina pura, senza quasi poter riprendere fiato. Intrattenimento superlativo insomma, come nella tradizione, dato che nel complesso il film mi è volato via, è stato appassionante, bello, ho fatto il tifo per Jason dall'inizio alla fine ed il finale è giusto, che dimostra ancora una volta che lui è il numero uno. Finalmente un eroe umano e non di plastica. Tutto realizzato senza l'overdose di effetti speciali a cui ormai siamo assuefatti. Se c'è un inseguimento in auto o moto nel centro delle città, potete star certi che è stato effettivamente girato proprio lì. Se vediamo saltare in aria negozi, palazzi, andare a fuoco strade e distruggere decine di auto, siamo abbastanza sicuri che sia proprio accaduto, ovviamente senza vittime. Matt Damon riduce al minimo indispensabile il ricorso a stuntman per il suo personaggio e questo ce lo rende ancora più simpatico. Lui che interpreta, con gli occhi tristi del personaggio, Jason Bourne splendidamente. Un super sicario triste. Un personaggio poetico. Personaggio (ovviamente interpretato in modo perfetto da Matt Damon) che si è evoluto nel corso delle quattro pellicole, rimanendo fedele a un ritratto molto convincente e ben strutturato, fino dagli esordi con al fianco la bravissima Franka Potente.
Ma come detto all'inizio non tutto funziona al meglio, il film difatti è abitato non da personaggi ma da "tipi" (anche se tutti supportano la trama), al bravissimo seppur monolitico ed inespressivo Damon, si aggiungono infatti semplicemente "le facce" da duri di Tommy Lee Jones e Vincent Cassel, funzionali sicuramente, ma non regalano alcuna possibile sorpresa. In più, il beneamato regista (e la produzione), che comunque dirige con sapienza l'intera macchina alternando sapientemente momenti di spy story a momenti decisamente più adrenalinici facendoci vivere l'azione praticamente in presa diretta con una camera sempre vicinissima all'azione, compiono però l'azzardo di affidare un ruolo chiave alla Vikander, brava (e bellissima) altrove ma qui fuori parte ed incolore. Da segnalare invece un ottimo Riz Ahmed, prima ancora di diventarlo in The Night Of. Il film perciò tecnicamente non si discute, e ci mancherebbe, ma purtroppo questo quarto (quinto) capitolo non è coinvolgente come gli altri. Restano molte belle le location, i riferimenti all'attualità (dalla crisi greca al mondo all'hackeraggio dei dati) e ovviamente i fastosi inseguimenti in auto, in cui si raggiunge il culmine con la scena del blindato quando attraversa a tutta velocità il centro congestionato di Las Vegas, che in ogni caso passa un pochino il segno a onore del vero. Ma il giudizio finale è di minestra riscaldata, forzatamente modernizzata, che punta tutto sulle sequenze action senza riuscire a convincere appieno. Peccato, perché si poteva e doveva fare di più, anche se resta questo e la saga, una delle migliori del nuovo millennio. Voto: 6,5