mercoledì 28 aprile 2021

I vincitori e le mie considerazioni su i Premi Oscar 2021

Post pubblicato su Pietro Saba World il 28/04/2021 Qui - Il rischio c'è stato, ma alla fine la Cerimonia c'è stata, seppur ristretta, gli Oscar assegnati, seppur sparpagliati, e il Cinema ha vinto, o no? Comincio il mio discorso comunque dicendovi che questa sarà l'ultima volta che farò questo tradizionale post sugli annuali Oscar, non sono un giornalista e neanche un critico (professionista) ma solo un appassionato (come spesso ribadito), e quindi mi pare un tantino illogico perseverare ancora nell'esprimere pareri in merito, anche perché anche quest'anno pochissimi (5) i film visti (ma paradossalmente più delle altre volte, Qui l'ultima) tali da poter (non solo) obbiettivamente giudicare il tutto (ho evitato pure di fare pronostici, che tanto ne azzecco pochi), e non è una questione di mancanza di tempo se non ho visto più film, eppure la possibilità c'era con le piattaforme streaming che hanno sopperito alla chiusura dei cinema (luogo che tra l'altro non frequento più da 15 anni), ma averle tutte non è (stato) possibile. E poiché ci sono molti altri blogger (e simili) più esperti di me (basta girare tra i blog di cinema), lascio a loro questo compito (in)grato. Nel frattempo la mia posso ancora dire (anche se arrivo un po' tardi), e tornando al discorso iniziale, tornando nel merito dei Premi (la lista dei nominati la trovate due righe più giù, in arancione i vincitori) e se il cinema esce (in tutti i sensi) vincitore (ma uscirà/cadrà sempre in piedi com'è ovvio che sia), una cosa balza immediatamente all'occhio, lungi da me dire se immeritatamente o meno (quando li vedrò forse capirò), ma pare strano (forse è solo una combinazione) che alcuni abbiano vinto a discapito di altri (strana anche la scaletta della serata cerimoniale), perché a vincere sono stati (prevalentemente) il politicamente corretto e i poteri forti. Vincono le donne, i neri e gli asiatici, vince Netflix e pure la Disney, perde l'Italia, non è un complotto ma poco ci manca. Comunque al di là ciò il vincitore materiale della 93a edizione degli Oscar (a proposito quest'anno il numero da 24 si è ridotto a 23, l'inutile montaggio sonoro, che sempre sonoro è, è stato infatti ritirato) è stato Nomadland, favorita della vigilia, che si porta a casa 3 statuette, miglior film, regia (della cinese Chloé Zhao) ed attrice protagonista (a Frances McDormand gli basta fare un film ogni tanto che qualcosa vince sicuro, dispiace per Carey Mulligan, tanto bella quanto brava), il vincitore morale è invece Anthony Hopkins, che si porta a casa l'Oscar per l'attore protagonista (con The Father che vince anche l'Oscar per la sceneggiatura non originale) battendo pure lo sfortunato Chadwick Boseman (una statuetta postuma solo per cortesia non avrebbe avuto senso dare). Lui che a casa tranquillamente stava e che da casa calorosamente ringrazia, il giorno dopo, un mito! Al contrario i grandi sconfitti parecchi, in primis The Trial of the Chicago 7, nessun premio a fronte di 6 candidature, News of the World nessuno a fronte di 4 candidature e One Night in Miami nessuno a fronte di 3 candidature (senza dimenticare Borat ed Emma che si erano fermate a due). Perdono anche Mank, Minari e Promising Young Woman, in confronto alle candidature almeno (rispettivamente 10, 6 e 5), perché un premio o più di uno (massimo due), al contrario degli altri sconfitti (materiali) essi vincono. E vediamo insomma la lista completa dei vincitori e dei candidati annessi, concluderò il mio discorso dopo.

mercoledì 14 aprile 2021

Creepshow (1982)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Nel suo genere, ovvero nel mondo degli horror a episodi, questo film rappresenta uno dei livelli più alti in assoluto. Uno dei cult degli inossidabili anni '80. Citato sempre più spesso ed omaggiato una volta sì ed una volta no, Creepshow è un divertente film a episodi ispirato ai vecchi fumetti horror della EC Comics. Un gustoso mix condito da una forte vena grottesca e da humour nero come la pece. Le due menti sono Stephen King, autore dei cinque racconti horror (in uno recita pure), e George A. Romero, regista della relativa trasposizione cinematografica, che formano una coppia formidabile, e hanno abbastanza libertà nel confezionare un film intelligente che prima ti spaventa, poi allenta la tensione fino a farti sorridere con dei finali comici fino al paradosso (una pellicola briosa, dai colori accesi e non priva di alcune gustose invenzioni visive). Come spesso capita la qualità è variabile, i primi due non sono male, ma sono i più deboli, mentre gli altri tre sono davvero notevoli (il terzo punta sul sadico, mentre il quarto sullo splatter e il quinto sulla claustrofobia e il disgusto). La regia, gli effetti speciali, la fotografia e le interpretazioni sopra le righe degli attori, sono esplicitamente "fumettistiche". Attori del calibro di Leslie NielsenTed DansonAdrienne Barbeau ed Ed Harris li interpretano con convinzione ed auto-ironia, diretti, con mano felice, dal regista de La città verrà distrutta all'alba. Si tratta di intrattenimento puro, un film che si fa vedere ma che non è certo memorabile, anche se ha un paio di momenti particolarmente riusciti, ed un eccellente interpretazione di Leslie Nielsen in un ruolo inusuale, per lui. La prima volta che l'ho visto da bambino sono rimasto traumatizzato dall'ultima storia (quella degli scarafaggi). L'ho rivista oggi e mi ha traumatizzato di nuovo. A mio parere è la migliore del film: il contrasto tra l'appartamento totalmente bianco e lindo che sembra impenetrabile e questi scarafaggi enormi è veramente d'effetto. Nel complesso un piccolo cult che si lascia sempre vedere più che volentieri. Voto: 7

L'impero dei cadaveri (2015)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - La Londra vittoriana è sempre stato un terreno fertilissimo per storie cupe e macabre ma anche per distopici e retro-futuristici deliri steampunk (vedasi Steamboy). Questo cartone animato prodotto dai Wit Studio (basato dall'omonimo romanzo di Project Itoh) non solo riunisce entrambi gli stilemi ma fa interagire anche famosi personaggi letterari e storici e così qui abbiamo una allucinante ed allucinata vicenda che mette insieme il Dottor Watson, gli zombie ed il mito di Frankenstein tra azione estrema, drammaticità, fantascienza ed immancabili temi sociali. Ovviamente, trattandosi di un film giapponese, non mancano introspezioni psicologiche e riflessioni filosofiche sulla vita (e in questo caso sulla morte) e sull'esistenza. Alla fine sono temi già visti ma qui sono stati sapientemente incrociati in maniera alquanto originale e l'animazione quasi perfetta è un piacere per l'occhio. Il difetto è però l'eccessiva lunghezza che in alcuni punti rende la sceneggiatura difficile da seguire bene, senza contare che alcuni passaggi sono oscuri di per sè, infatti, alcuni personaggi, protagonista compreso, risultano insufficientemente caratterizzati e, soprattutto nella parte centrale, il racconto diventa dispersivo. Personalmente parlando, non sono stato coinvolto più di tanto, ma lo promuovo lo stesso, nel complesso difatti, il film si dimostra essere sufficientemente apprezzabile. Voto: 6,5

Climax (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Un film sicuramente non facile da digerire, Gaspar Noè punta tutta sulla tecnica e l'estetica a scapito della trama, praticamente inesistente (ma al contrario di Love va dritto all'obiettivo per quanto "solo" sensorialmente e nichilisticamente). Il film infatti (strutturato in maniera volutamente atipica, inizia con i titoli di coda e verso metà film ci sono i titoli di testa), è così suddiviso: l'80% della durata comprende urla e deliri di gente drogata (e sballata già di suo), nel restante 20% si vedono balli sfrenati e musica a palla. Il regista conferma di non conoscere mezze misure, o lo si ama o lo si odia (ma io ancora preferisco rimanere nel limbo), e ancora una volta gira una storia frenetica, quasi allucinata, che ci mette di fronte alle debolezze umane e alla cattiveria gratuita di cui siamo capaci (a volte), offrendo una storia abbastanza interessante (un viaggio lisergico basato su una storia realmente accaduta in Francia) ma piuttosto caotica, in corso d'opera, dove i continui cambi di ritmo non sempre risultano azzeccati. L'ultima parte è quella più statica e le scelte registiche appaiono piuttosto fredde e fastidiose. Difficile seguire i continui cambi di prospettiva delle inquadrature (marchio di fabbrica di Gaspar Noé), che vuole accentuare con questo sistema il senso di angoscia e la follia dei suoi personaggi (interpretati tutti ed efficacemente da un cast non professionista, a parte Sofia Boutella). Visione comunque sufficiente anche se non si comprende il motivo per cui catalogarlo come horror (non ci sono scene davvero forti). Voto: 6

The Boy - La maledizione di Brahms (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Il primo The Boy mi aveva piacevolmente colpito per via di una sceneggiatura fuorviante che non lasciava presagire il colpo di scena. Questo The Boy 2 è il seguito inutile che non ha senso di esistere. Abbiamo tanti film sui bambolotti demoniaci, e questo sequel si accomoda sul treno di questo filone di pellicole. Con la differenza che qui la costruzione dei personaggi è forzata e stupida (non si riesce a comprendere poi la scelta di una famiglia, traumatizzata per aver subito una rapina violenta in casa, di trasferirsi in una villa isolata in mezzo a un bosco), i dialoghi sono banali, i cliché commerciali dell'horror non mancano (il bambolotto non inquieta più ormai, l'effetto la seconda volta svanisce). Infatti mentre il primo iniziava lasciando intendere elementi sovrannaturali (presenze o una bambola alla Annabelle) ma poi virava su imprevedibili soluzioni molto "materiali" (rivelando un'egregia personalità), stavolta la regia (dello stesso William Brent Bell) fa un lungo passo indietro virando verso i prototipi sovrannaturali e demoniaci (la bambola di cui sopra). Il risultato non è male ma delude per il retromarcia rispetto al miglior predecessore. Bella la location (e bravi gli attori, in particolar modo Katie Holmes e Ralph Ineson) ma troppo poco per salvare questo horror, un horror che si guarda e si dimentica presto. Voto: 5

Jackals - La setta degli sciacalli (2017)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - A volte sono i dettagli a fare la differenza tra un voto positivo e uno negativo, se Jackals infatti (diretto da Kevin Greutert, non proprio un regista di primo pelo) fosse stato curato maggiormente nei particolari, narrativamente parlando, si sarebbe potuto sorvolare sulla mancanza di originalità e sulla flebile caratterizzazione dei personaggi, invece ci sono dei momenti che inficiano la storia alla base, e anche durante il suo evolversi, che non possono sfuggire allo spettatore, anche a quello meno pignolo, e che non consentono di arrivare a una valutazione positiva, nonostante una certa atmosfera tensiva che riesce a ricreare, che però non viene sfruttata come si dovrebbe. Il cast non se la cava male, un paio di interpreti possiedono un pedigree rispettabile (su tutti Deborah Kara Unger), la regia appare capace e il ritmo tutto sommato tiene botta fino alla fine, ma sono i dettagli a fare la differenza (maledetti, piccoli, fottuti dettagli). Nonostante tutto il film non è pessimo e una visione disinteressata può anche meritarsela. C'è ben di peggio, in giro. Voto: 5,5

Come to Daddy (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Spassoso mix tra commedia e thriller/noir che parte da un presupposto tutto sommato originale (dove un "ricongiungimento" familiare porterà a galla diversi e inquietanti segreti e sorprendenti colpi di scena), molto buona la narrazione, abile nel far crescere la curiosità per una vicenda all'inizio difficilmente prevedibile, anche grazie alle prove di un cast ben scelto, con un Elijah Wood sempre più propenso a ruoli fuori dall'ordinario (perfettamente a suo agio nel ruolo dell'ingenuo figliolo, dallo sguardo sognante e indifeso del Frodo che interpretò nel Signore degli Anelli, che torna a casa dal padre, speranzoso di poter riallacciare un rapporto perduto fin dalla prima infanzia). Non mancano le parti più propriamente Pulp, quasi tarantiniane nel loro mix tra violenza grafica e umorismo nero (Ant Timpson si diverte a confezionare un mix di situazioni e stilemi paradossali, senza timore di incappare nel nonsense). Nel complesso una bella sorpresa che risulta intrigante e molto accattivante, nonché ben girato e fotografato. Suggestiva la location del film, quasi tutto girato in una casa palafitta affacciata a strapiombo sul mare, che di notte si illumina come un disco volante degli anni '60 (come commenta Norval alias Elijah Wood in una delle prime scene), un film seppur non originalissimo (in cui la tensione tende comunque e purtroppo a calare più volte) interessante e godibile fino in fondo. Voto: 6,5

La notte ha divorato il mondo (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Prendendo spunto dal classico romanzo di Richard Matheson "Io sono leggenda" nonché dallo Zombi Romeriano, il francese Dominique Rocher realizza l'ennesima variante sull'apocalisse zombi, mettendo in scena un ragazzo rimasto isolato in uno stabile. Bandendo quasi del tutto le scene splatter, egli si concentra sul protagonista (un Anders Danielsen Lie non sempre efficace) e le sue reazioni alla solitudine (alcune, bisogna dirlo, di imbarazzante stupidità), ne risulta un film quasi autoriale, con pochissimi dialoghi e alcuni accenni sia ironici che malinconici, fondamentalmente riuscito ma che sconta una certa lentezza (tutto fila via silenziosamente e quasi senza colpo ferire, fino a un gesto francamente assurdo del protagonista, che scatena un po' d'azione, con la "complicità" di Golshifteh Farahani, ma ormai siamo quasi ai titoli di coda e tanto fa) e un finale aperto deludente. Un film insomma solo sufficiente, giusto per gli appassionati del genere, come me, che prova a fare qualcosa di diverso ma finisce per non inventare davvero nulla di nuovo. Voto: 6

Borat - Seguito di film cinema (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Torna il folle personaggio kazaco, protagonista di un film datato 2006, un film che sinceramente mi disse davvero poco all'epoca, anche perché la comicità del personaggio troppo surreale per i miei gusti, lo stesso con questo sequel, in cui a tratti si ride senza capire bene il perché. Il bersaglio stavolta è l'America Trumpiana (il protagonista deve consegnare un dono del presidente del Kazakistan al vicepresidente USA), ancora sotto forma di un finto documentario ma senza aggiornare il tipo di comicità che è sempre quella politicamente scorretta, misogina molto volgare e quasi mai realmente divertente. Sacha Baron Cohen tuttavia, si rivela dissacratore come sempre, gioca su ironie e situazioni forzate per farci riflettere, e ci riesce anche con questo film (dove la realtà supera, in parte, la comicità di Borat), e qui sta la sufficienza del voto che ho attribuito. Per il resto sono scarse le battute (alle volte un po' disgustose e poco divertenti) e le scene provocatorie/imbarazzanti (che a me non sempre piacciono, non così esplicite almeno). Se vale la pena vederlo? Direi di sì, ma se avete apprezzato e avete riso col primo Borat e con il Dittatore, non aspettatevi altrettanto da questo film, un film di cui due candidature agli Oscar mi sembrano esagerate, anche se nota di merito proprio per l'interpretazione della figlia di Borat: la brava e coraggiosa Maria Bakalova, che ne ha ricevuta una. Voto: 6

I See You (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - La cara vecchia provincia americana con i suoi piccoli orrori indicibili, come quelli qui presentati, storia di una famiglia già sull'orlo di una crisi di nervi e ora alle prese con qualcosa di soprannaturale, o forse no. Script intelligente questo, capace di incuriosire e riuscire a distruggere in un amen con convinzione tutto ciò che è stato mostrato solo qualche decina di minuti prima. Thriller psicologico e horror si fondono alla sotto-trama dell'indagine poliziesca per una lettura a più strati che interessa e alza notevolmente l'asticella delle aspettative grazie a un buon numero di specchietti per le allodole piazzati ad hoc. Parte in modo prevedibile ma cresce piano e con costanza ed esce alla distanza, fino ad ingranare poi la quinta nella seconda parte che diventa tesissima (in questo senso le musiche incalzanti aiutano non poco a incrementare l'intensità dei momenti di tensione). Il grande pregio del film di Adam Randall è infatti quello di mischiare con oculatezza le proprie carte, facendo virare il canovaccio narrativo in direzioni opposte e complementari quando meno ce lo si aspetterebbe (abbastanza inquietante è il fenomeno del froggy). E dalla crisalide di un thrillerino senza nerbo sboccia così progressivamente un noir crudo e polifonico, uno dei thriller più avvincenti degli ultimi anni. Dove il film (ambientato in un contesto lussuoso e sinistro nel contempo) mostra qualche debolezza è nella scelta degli interpreti, tutti piuttosto incolori, a partire da una quasi irriconoscibile (letteralmente) Helen Hunt. Ci sono inoltre alcuni punti non chiari, ed anche se non si riesce a "legare" del tutto coi protagonisti, resta tuttavia solida la struttura e la riuscita della pellicola, una pellicola intelligente e sorprendente. Voto: 7

Quella notte a Miami... (2020)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Film di grande impegno che stenta però a decollare. Regina King, che esordisce su grande schermo, non dico giocando sul sicuro, ma quasi (di certo giocando sul "politicamente corretto", e non è un caso che siano poi arrivate tre nomination agli Oscar 2021), mette in scena un incontro tra 4 figure storiche (ma anche pop) della cultura nera americana, un incontro a metà tra realtà e immaginazione. E' un incontro in cui tutti hanno qualcosa che vogliono o dovrebbero cambiare. Una sorta (ma lo è per davvero, scritta da Kemp Powers nel 2013) di pièce teatrale molto verbosa, in cui si mettono principalmente contro le due visioni del mondo rappresentate da Malcolm X e Sam Cooke. Così Cassius Clay diventa solo un enorme MacGuffin e Jim Brown un personaggio completamente di contorno (e la sua scena iniziale leggermente poco credibile). Ecco il film con l'incipit che ha e con questo contesto storico-politico-culturale avrebbe dovuto sfondare. Invece un ritmo non azzeccatissimo e una sceneggiatura un po' vacillante rischiano di rovinare un prodotto comunque godibile. Un prodotto che sfrutta al massimo (forse troppo) la base teatrale del testo, che si affida molto (e bene sì) agli attori (tutti e quattro i protagonisti sono infatti molto bravi, direi che il migliore è Eli Goree, un, futuro, Muhammad Alì dalla spiccata somiglianza fisica e ben caratterizzato nelle spacconate che nascondono un fondo di insicurezza da ragazzino catapultato in cima al mondo), che non risulta affatto pesante, ma che non rimane impresso. Voto: 6+

Il principe cerca figlio (2021)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Ce n'era bisogno? Per quello che ho visto, francamente no. In cosa funzionava soprattutto Il principe cerca moglie? Innanzitutto nel contrasto della maestosità esibita di Zamunda e la sboccataggine del Queen's. Inoltre dietro la macchina da presa c'era un certo John Landis e non un Craig Brewer qualunque. Il contrasto creava le gag ed erano veramente efficaci. Nel principe cerca figlio, non c'è contrasto, non ci sono gag veramente divertenti, visto che il Queens rimane in disparte e tutta la vicenda è ambientata a Zamunda. Il film quindi pigia soprattutto sull'effetto nostalgico nel riproporre certi personaggi, ma non raggiungendo i livelli del precedente (a dirla tutta non proprio eccezionali, però che spasso era). Ovviamente il solito "pippone" antipatriarcale ce lo devi mettere di default nei lavori attuali, per cui, anche sotto questo aspetto è stato timbrato il cartellino e nulla di più. L'aggiunta di Wesley Snipes non serve a granché e probabilmente si doveva insistere di più su questo personaggio che era l'unica vera novità del film. La verve comica di Eddie Murphy non è più quella di 30 anni fa e si vede. Ribadisco che non c'era bisogno di questo sequel (decisamente sbagliato, e sotto tutti i punti di vista), che a dirla tutta sembra più un remake, che a dirla tutta sembra una copia sbiadita di Black Panther. Voto: 4

Kristy (2014)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - Essenziale e lineare "Kristy" si segnala come un buon intrattenimento, un home invasion su scala ampliata con il college a sostituire la consueta abitazione. I grandi spazi e la varietà di ambienti vengono ben sfruttati da Oliver Blackburn, offrendo un'ideale messa in scena per la caccia organizzata da un gruppo di giovani incappucciati e mascherati nei confronti di una studentessa rimasta sola (guardiani a parte, ovviamente liquidati senza troppi affanni) nell'imponente complesso. Il confronto avviene sostanzialmente tra due donne: la protagonista decisa a non lasciarsi sopraffare tanto facilmente e la sua antagonista, leader del gruppo e unica a non avere il viso nascosto. Il confronto tra l'angelica (sempre meravigliosa) Haley Bennett (quella di Swallow) e la luciferina Ashley Greene finisce pari e patta almeno a livello di doti recitative, entrambe convincenti con la vittima designata descritta magari velocemente ma con intelligenza, tanto da permettere allo spettatore di entrare in buona sintonia con la giovane. I primi minuti in questo senso sono fondamentali, culminanti in quel senso di libertà che la protagonista prova in solitaria danzando tra i corridoi del dormitorio, nuotando nella piscina o ammirando il cielo sdraiata nel campo di football, del tutto ignara riguardo l'incombente minaccia. Per la protagonista sarà una notte di terrore ma soprattutto di battaglia, potenziale ennesima vittima di quella che apparirebbe come una setta satanista. A dispetto di altri film appartenenti al filone è riscontrabile un accenno di chiarimenti, sinceramente non proprio indispensabili. Comunque sia utili per spiegare, forzando un poco, la ragione per la quale ogni vittima della gang viene chiamata Kristy, in quello che è un rimando religioso di natura etimologica. Nulla di eclatante, una pellicola onesta e priva di fronzoli capace di alimentare una certa tensione senza mai annoiare. Voto: 6,5

Sound of Metal (2019)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 14/04/2021 Qui - E' la storia di un batterista metal alle prese con un'improvvisa sordità che gli cambierà la vita. Uno strano piccolo film, scarno e coinvolgente. Una piacevole sorpresa. Scritto da Derek Cianfrance e diretto dall'esordiente Darius MarderSound of Metal è una parabola esistenzialista interamente arpeggiata sui chiaroscuri degli stati d'animo del protagonista. A qualche eccesso di dilatazione temporale fa da contrappeso un impeccabile lavoro sul suono, che restituisce pienamente la condizione di disagio di Ruben. Interessante e riuscito è infatti il tentativo di conciliare sensazioni soggettive con l'esigenza di renderle condivisibili al pubblico attraverso tecniche sonore di distorsione e sovrapposizione, un "incubo" anche per noi. Lontano da sentimentalismi, colpisce per la sua veridicità. Il regista dirige difatti un'opera prima scevra da cliché ma ricca di amore per un racconto trattato con una delicatezza unica. La presa di coscienza non è un percorso semplice e così non deve sembrare. Il dramma del protagonista, un ex tossicodipendente di buon cuore, viene analizzato senza sconti e senza patetismi, frugando fra le sue paturnie e le sue speranze di riscatto. Alla fine, a trionfare, sarà una più serena accettazione della vita con le sue svolte e i suoi cambiamenti. Il tutto narrato in modo scarno, diretto e coinvolgente. E' candidato ai Premi Oscar 2021 in sei categorie (un po' troppo parrebbero), tra cui Miglior Film, Migliore Sceneggiatura, Miglior Sonoro (l'unico che meriterebbe indubbiamente) e Miglior Attore, il protagonista Riz Ahmed in effetti è bravissimo e regge sulle sue spalle gran parte della riuscita del film (ma non sono da meno gli altri attori coinvolti in prima persona), un film forse superficiale ma bello. Voto: 7+

venerdì 9 aprile 2021

Una storia vera (1999)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/04/2021 Qui - David Lynch riesce a rendere appassionante perfino la (vera) storia di un 73enne che attraversa 400 km con un tagliaerba per ritrovare il fratello reduce da un infarto (ad interpretarlo Harry Dean Stanton, come si vede nella "geniale" chiosa finale). Sembra una trama debole e banale, ma mai considerazione potrebbe essere più sbagliata. Il regista ci accompagna in questo viaggio così semplice, ma anche così emozionante. Notevole la fotografia che riprende paesaggi maestosi e soprattutto calzanti le musiche del fido scudiero Angelo Badalamenti, forse l'elemento decisivo che innalza il film. La storia non è altro che la narrazione di un vecchio nelle fase ultima della sua vita. Il viaggio intrapreso da lui diventa metafora di un percorso interiore che viene completato. Non vale la pena serbare rancore per sempre e sarebbe bello se prima della fine ognuno di noi riuscisse a dare una seconda possibilità a dolorosi ricordi che col tempo abbiamo "dimenticato" oppure rimosso per orgoglio o testardaggine. Il tutto accompagnato con una nostalgica e malinconica riflessione sull'anzianità. Tantissimi i personaggi che Alvin Straight incontrerà sulla sua strada, dispensando consigli e ricordando il suo passato, dialoghi forse retorici che tuttavia, nell'atmosfera del film, si dimostrano d'impatto (l'opera riesce anche a strappare qualche risata, rendendo tutto più scorrevole). Insomma un bel film, in cui troviamo un David Lynch sicuramente meno impegnato e meno complesso (tanto da non apparire questo come un lavoro del regista) all'insegna di una storia leggera, ma che colpisce nel profondo per la sua semplicità e la sua dolcezza. Complimenti davvero, a Lui che riesce a rendere interessante una storia che più semplice non si può, un merito che comunque è da dividere equamente con Richard Farnsworth che nell'ultimo ruolo della sua vita regala un'interpretazione pazzesca (merita tuttavia una nota positiva anche la bravissima Sissy Spacek, qui particolarmente espressiva, e riesce a dare proprio l'idea di una donna ingenua, e forse leggermente disturbata, ma di buon cuore ed amorevole verso il proprio padre, nell'interpretazione di Carrie era praticamente inarrivabile, ma anche qua offre una performance di livello). Commovente e malinconico al punto giusto, a mio avviso rimane comunque lontano dall'essere un capolavoro. Voto: 7,5

Strade perdute (1997)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/04/2021 Qui - Un film, un viaggio, è difficile trovare una spiegazione al film, insieme a Inland Empire il film più difficile a mio avviso (anche se, sempre viaggio all'interno dell'animo umano si tratta), è un insieme di vari generi, sembra un noir, ma poi sfocia nel thriller, nell'horror, nel dramma, nell'erotico, è difficile trovare un genere a Strade perdute. Una cosa tuttavia è certa, che la pellicola sia a tutti gli effetti una triste e pessimista panoramica ricca di metafore sulla condizione umana e sulla sua impossibilità di realizzare i propri sogni, la propria felicità e le proprie aspirazioni, di un'umanità costretta così a rifugiarsi nei suoi oscuri meandri mentali, lì dove alberga l'inconfessabile follia. Tutto questo viene raccontato da David Lynch nel suo stile, metafisico, totalmente irrazionale, un incubo ad occhi aperti (un viaggio all'interno dell'animo umano in cui sogno, desiderio e realtà, ma soprattutto il tempo, si avvinghiano in una matassa assurda e inestricabile, dando vita ad uno spettacolo in cui nulla è certo, nulla è davvero reale, nulla si può toccare), facendo sì di Strade perdute il suo film più cattivo. La scenografia e la fotografia sono la man forte del film, alcune scene con la sintonia tra i colori e le immagini buie rendono il tutto ancora più inquietante e pauroso, notevole anche la colonna sonora, soprattutto quella iniziale, di qualità anche gli effetti speciali. Per gli attori Bill Pullman come protagonista è stato azzeccato, il suo modo d'interpretare e il modo di porsi è perfetto per questo genere di film, sensualissima la Patricia Arquette, veramente bella e provocante (da far girare letteralmente la testa), inquietante come pochi Robert Blake nella parte dell'uomo misterioso. Da sottolineare la presenza di Robert Loggia (ha già lavorato con Pullman in Independence Day) attore di discreto carisma e presenza. Non perfetto, ma gran bel film, né più né meno. Voto: 7

The Elephant Man (1980)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/04/2021 Qui - Una delle storie più tristi mai portate sul grande schermo, con il giovane David Lynch bravissimo nel non farsi prendere eccessivamente la mano dal melodramma. E con The Elephant Man, a 35 anni egli firma il suo capolavoro (assoluto), un'opera imperniata sul contrasto tra il bene e il male, un apologo (tratto da una storia vera, quella di Joseph Merrick, ragazzo orribilmente deforme dell'Inghilterra vittoriana e del medico che se lo prese a cuore) sul diritto a una vita normale anche per gli ultimi (un personaggio simile a Quasimodo de "Il gobbo di Notre Dame", tanto per farvi un'idea se non avete ancora visto il film). Girato in un bianco e nero che conferisce al film tinte gotiche, The Elephant Man riesce a rimanere sobriamente in equilibrio rispetto a qualsiasi tentazione buonista e a reggere egregiamente il peso degli anni, nonostante qualche allettamento didascalico sulla brutalità del volgo, l'ipocrisia dell'aristocrazia londinese, la rettitudine degli esclusi e via psicologizzando. David Lynch ha saputo così trarre da questa storia la sua pellicola più poetica e struggente, fatta di uno sguardo umanissimo e partecipe da una parte (il medico magistralmente interpretato da Anthony Hopkins) contrapposto alla diffidenza e allo scherno della gente comune dall'altra. Il lento inserimento del reietto John (altrettanto magistralmente interpretato, e da John Hurt) all'interno della vita sociale londinese (fatta di piccoli passi e scoperte quotidiane) colpisce nel segno ed emoziona per il suo carico di grande umanità (si veda, ad esempio, il commovente incontro tra il protagonista e la Signora Kendal, nonché il primo, vero passo di Merrick verso un'esistenza "normale"). Il finale, così dolce e carico di significato, è la perfetta conclusione di un ciclo che si chiude, lasciando nel pubblico una sensazione allo stesso tempo di malinconia e tenerezza, di compassione ed empatia. Ma il film funziona proprio in virtù di questa compiutezza, che lo rende un capolavoro inestimabile. L'andamento lento della vicenda può far storcere il naso a qualcuno o sbadigliare qualcun altro ma non toglie nulla alla portata dell'opera. Un'opera (seppur "sfortunata", ricevette 8 candidature all'Oscar, ma chiuse la serata di gala a mani vuote) davvero da non perdere e da vedersi almeno una volta nella vita, per riflettere e poi commuoversi. Voto: 8

David Lynch Filmography - Parte 2

Post pubblicato su Pietro Saba World il 09/04/2021 Qui - Dopo aver visto e in un certo senso rivisto (sicuro ora infatti di aver già visto qualcosa un po' qui e un po' là ma nella loro completezza solo ora) gli ultimi tre film mancanti della filmografia di David Lynch, e ricordo che la prima parte inerente alla suddetta filmografia la trovate Qui, non ho più parole per descrivere il mio rapporto con un regista come Lui, un regista capace di cambiare registro e sorprendere positivamente, non cambiarlo affatto e sorprendere nuovamente. Continua a mettermi costantemente in crisi, anche quando il suo lato onirico e visionario (innegabilmente affascinante ma terribilmente astruso) rimane confinato, ma indubbiamente un regista da cui rimanerne attratto. Potrebbe forse mai entrare nella decade dei miei registi preferiti, ma un posto l'avrà sempre nei miei pensieri e nei miei ricordi, ricorderò difatti con piacere della visione di tutti i suoi film, uno più particolare dell'altro, attendendo chissà nuovi memorabilia.