venerdì 9 aprile 2021

The Elephant Man (1980)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/04/2021 Qui - Una delle storie più tristi mai portate sul grande schermo, con il giovane David Lynch bravissimo nel non farsi prendere eccessivamente la mano dal melodramma. E con The Elephant Man, a 35 anni egli firma il suo capolavoro (assoluto), un'opera imperniata sul contrasto tra il bene e il male, un apologo (tratto da una storia vera, quella di Joseph Merrick, ragazzo orribilmente deforme dell'Inghilterra vittoriana e del medico che se lo prese a cuore) sul diritto a una vita normale anche per gli ultimi (un personaggio simile a Quasimodo de "Il gobbo di Notre Dame", tanto per farvi un'idea se non avete ancora visto il film). Girato in un bianco e nero che conferisce al film tinte gotiche, The Elephant Man riesce a rimanere sobriamente in equilibrio rispetto a qualsiasi tentazione buonista e a reggere egregiamente il peso degli anni, nonostante qualche allettamento didascalico sulla brutalità del volgo, l'ipocrisia dell'aristocrazia londinese, la rettitudine degli esclusi e via psicologizzando. David Lynch ha saputo così trarre da questa storia la sua pellicola più poetica e struggente, fatta di uno sguardo umanissimo e partecipe da una parte (il medico magistralmente interpretato da Anthony Hopkins) contrapposto alla diffidenza e allo scherno della gente comune dall'altra. Il lento inserimento del reietto John (altrettanto magistralmente interpretato, e da John Hurt) all'interno della vita sociale londinese (fatta di piccoli passi e scoperte quotidiane) colpisce nel segno ed emoziona per il suo carico di grande umanità (si veda, ad esempio, il commovente incontro tra il protagonista e la Signora Kendal, nonché il primo, vero passo di Merrick verso un'esistenza "normale"). Il finale, così dolce e carico di significato, è la perfetta conclusione di un ciclo che si chiude, lasciando nel pubblico una sensazione allo stesso tempo di malinconia e tenerezza, di compassione ed empatia. Ma il film funziona proprio in virtù di questa compiutezza, che lo rende un capolavoro inestimabile. L'andamento lento della vicenda può far storcere il naso a qualcuno o sbadigliare qualcun altro ma non toglie nulla alla portata dell'opera. Un'opera (seppur "sfortunata", ricevette 8 candidature all'Oscar, ma chiuse la serata di gala a mani vuote) davvero da non perdere e da vedersi almeno una volta nella vita, per riflettere e poi commuoversi. Voto: 8

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