Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2021 Qui - Anni dopo il non del tutto convincente Una folle passione, seguito da un intermezzo seriale assai più convincente (The Night Manager), la danese Susanne Bier, già autrice di un'opera premiata con l'Oscar per il miglior film straniero (In un mondo migliore), tornando a prendere le redini di una produzione americana finalmente riesce a non deludere (cosa che farà paradossalmente dopo con The Undoing). Nel complesso è infatti un film godibile, che non ha particolari difetti, ma nemmeno quei pregi che rimangono impressi nella memoria (incisiva ma non troppo invadente la colonna sonora, ben usati senza troppo eccedere gli effetti speciali). Nonostante il mestiere della regista emerga difatti in più tratti e il cast funzioni alla perfezione (oltre a Sandra Bullock è da menzionare anche John Malkovich nel ruolo ormai a lui congeniale ma comunque nuovamente efficace del rude bastardo senza scrupoli), Bird Box emerge come un cocktail pure un po' annacquato di E venne il giorno e A Quiet Place. Tutta la prima parte, pur ripercorrendo schemi già battuti (il/la protagonista che si trova improvvisamente al centro di un'apocalittica furia mortale collettiva e trova riparo assieme a un pugno di superstiti) è trascinante e trova un'inedita energia nell'esposizione violenta e implacabile di un racconto teso e serrato, come più non si potrebbe. Nella seconda metà purtroppo scemano idee e vigore e Bird Box incappa nella ripetitività di schemi e modelli già visti troppe volte. Il film risulta inoltre eccessivamente lungo: venti minuti di meno lo avrebbero reso molto più scorrevole. Sufficiente, senza infamia e senza lode, ma con un finale che più fiacco e telefonato non si potrebbe. Voto: 6
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