Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 16/07/2021 Qui - Quando Martin Scorsese non è impegnato a dire cavolate, ma a lavorare, nel 90% dei casi ne uscirà sempre qualcosa di notevole, è il caso di questo film, che conferma, come se fosse ancora necessario, il talento immenso di un grande regista. Lui che torna nuovamente a rappresentarci un mondo criminale che ci fa sentire ed immaginare atmosfere che non vorremmo mai veramente conoscere, ma che al "cinema" ci attraggono come una calamita. Sappiamo che al di qua dello schermo, non ci fanno troppo male. Quelle storie accadono in America, ma quei personaggi provengono da diverse nazioni lontane e conservano radici a cui rimangono saldamente legati, con propri codici e consolidate ritualità (anche ambiguamente). Una storia di mafia che egli ha raccontato più volte sullo schermo eppure The Irishman l'ho percepito in maniera diversa dagli altri. E' un film cupo, quasi funereo, dai toni crepuscolari e disillusi di un uomo, apice di un triangolo fra il mondo criminale della mafia e il mondo corrotto del sindacato. Frank Sheeran è solo un meccanismo di un sistema perverso, dalle regole fuorilegge applicate con orrenda disinvoltura. Non ci sono esplosioni di violenza incontrollata, quanto la freddezza di un burocrate del crimine, escluso a sua volta dalla propria famiglia che gradualmente scompare dal film per fare ogni tanto capolino nello sguardo muto ma accusatorio della figlia (brava Anna Paquin, dice in tutto due battute nell'intero film, ma quel volto accusatorio nei confronti del padre dice più di mille parole). Passato e presente che si confondono in linee narrative apparentemente differenti e distinte, ma accomunate da una colpa che non darà redenzione e lascerà Sheeran solo e vecchio in un ospizio in compagnia del proprio rimorso verso una scelta che in fondo non ha mai avuto. La fine cinematografica della mafia nella ricostruzione dell'uccisione della discussa e discutibile figura di Jimmy Hoffa. Al di là della stranezza di vedere attori anziani ringiovaniti digitalmente (le cui movenze riflettono tuttavia l'effettiva età, un errore che pesa ai fini del giudizio complessivo e finale), tre ore e mezzo di durata e non sentirle minimamente, ma essere impaziente di proseguire con la visione per vedere come va a finire. Eccellente opera (la critica l'ha celebrata come un nuovo capolavoro, per quanto poi agli Oscar, pure ottenendo 10 nomination, non abbia vinto neanche una statuetta, e in alcuni casi anche giustamente, per quanto la querelle Netflix sì o no abbia probabilmente influito) con i grandi vecchi del cinema americano capaci di un'ultima epocale interpretazione. Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci e gli altri riprendono i panni ricoperti nei grandi film degli anni '70 e '80, lasciandoci immagini di epica decadenza. Per quello che è un grande omaggio al suo cinema e non solo suo. E per quanto non sarà forse ricordato come l'apice della carriera di Martin Scorsese, questo film ne è il punto di arrivo, è la chiusura di un cerchio di pellicola lungo mezzo secolo. Non ai livelli del suo Quei bravi ragazzi o del non suo capolavoro C'era una volta in America, ma ottimo affresco d'epoca e tematiche senza tempo. Voto: 8
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