Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/08/2015 Qui - Per un agente della Cia colpito da una malattia incurabile può essere più facile sopravvivere a combattimenti corpo a corpo e rocamboleschi inseguimenti per le vie di Parigi, che relazionarsi a una figlia adolescente arrabbiata e con l'abitudine di telefonargli nei momenti più improbabili. E' la scoperta che fa Kevin Costner nel thriller action condito da momenti di commedia 3 Days to kill diretto da McG e scritto da Luc Besson (anche coproduttore). Luc Besson da sceneggiatore rimescola thriller e dinamiche familiari, il regista McG invece (nome d'arte di Joseph McGinty Nichol), ha detto sì a 3 days to kill solo e propriamente per il coinvolgimento di Besson, suo grande fan. Nel film (del 2014), Costner è Ethan Renner, agente della Cia che dopo aver scoperto di avere una malattia incurabile decide di andare a Parigi per provare a riconciliarsi con l'ex moglie Catherine (Connie Nielsen) e la figlia, ormai adolescente Zooey (Hailee Steinfeld), che non vede da anni. Trovare un dialogo con l'imprevedibile sedicenne che non perdona al padre la lunga assenza, si rivela più difficile del previsto e le cose si complicano quando arriva Vivi (Amber Heard, in un look tra femme fatale e Bond Girl), 'collega' della Cia, giovane e ambiziosa, che concilia tacchi a spillo e vestiti sexy alla risolutezza di una killer. La donna offre a Ethan una cura sperimentale per la sua malattia, ma in cambio gli chiede aiuto per catturare un pericoloso mercante d'armi, Wolf.
Sulla carta Three Days to Kill qualche motivo di interesse lo aveva: la curiosità di verificare le doti di action hero di Kevin Costner, in una versione matura e contemporanea. Fatta salva l'apertura, però, con una sparatoria ben coordinata (notevole lo scontro a fuoco attraverso il pavimento dell'hotel), il senso generale di Three Days to Kill si smarrisce subito, scisso tra la volontà di girare un film d'azione, la parodia dello stesso o una sentimentale "ultima missione" di un uomo che ha sbagliato tutte le priorità della vita e cerca goffamente di rimediare. Dominato dalla prevedibilità in tutte le sue forme, dal colpo di tosse di Kevin Costner che significa da subito malattia terminale incipiente al rapporto pervaso di sensi di colpa e grande affetto con la figlia Zooey. Nella sua confusa sceneggiatura, il film non riesce ad amalgamare gli stili, finendo per creare imbarazzanti contrasti. Le connotazioni etniche poi, finiscono per sembrare un insulto all'intelligenza (il turco e l'italiano visti solo attraverso gli stereotipi più comuni, musiche e spaghetti), così come le scene di tortura inframmezzate da intermezzi ironici, che risultano pretestuose e innocue. Una narrativa esile che provoca fatalmente effetti sgradevoli. Nonostante Luc Besson (grande regista), il film risulta in alcuni casi noioso e stucchevole, troppi sentimentalismi per un film d'azione, e troppa verve comica che si frappone al film con argomento serio in sottofondo (un tumore mortale). Un punto a favore del film è che le scene d'azione appagano in parte il film ma gli attori secondari non incidono e i cattivi non fanno paura, non riuscendo a creare nessun vero pericolo per lui e la sua famiglia quasi ignara di tutto fino alla fine (soprattutto la figlia). Giudizio più negativo che positivo, ma tant'è, molto meglio di tanti altri film del suo genere (anche se non si è capito qual è il suo). Voto: 5,5
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