Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/02/2022 Qui - È stata la mano
di dio, del (presunto) dio del pallone, Maradona, a
salvare la vita di quello che sarebbe diventato uno dei registi italiani
più osannati e premiati (il che giustifica la scelta italiana per gli
Oscar 2022, candidatura prontamente ricevuta, chissà che vinca, ma spero
di no): Paolo Sorrentino, che nella finzione diventa
Fabio Schisa. Già, perché in quel giorno del 1987
(quando i suoi genitori andarono in Abruzzo, dove morirono asfissiati
dal monossido di carbonio emesso da una stufa) lui doveva assolutamente
recarsi allo stadio per veder giocare l'idolo della sua città. Ed è
proprio di questo che parla il film del regista partenopeo targato
Netflix, un'opera tra sogno e realtà. Peccato che a un film sulla carta
così intimo e personale, diviso tra i toni da commedia della prima parte
e quelli sepolcrali della seconda, manchi la "mano" di Sorrentino, non
bastando quella di dio. Non c'è quasi traccia delle sue invenzioni
spiazzanti, dell'uso straniante della musica, dei dialoghi sopraffini di
altre ben migliori sue opere. È stata la mano di Dio è un modesto romanzo
di formazione che certamente avrà avuto un valore
catartico per il regista, ma che non riesce a coinvolgere, nonostante la
parata di figurine grottesche disseminate qua e la, i tributi a Fellini
e ad Antonio Capuano e la ripresa di una Napoli notturna e tutt'altro
che da cartolina. Un po' riuscito, un po' noioso: sopravvalutato. Voto: 6
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