Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 28/02/2022 Qui - Uno
di quei film giustamente entrati nella storia del cinema, è infatti un
lavoro che lascia (ancora) sbigottiti, dotato di una potenza
contenutistico/visiva che scaturisce in maniera dirompente non solo
dall'intrigante svolgimento degli accadimenti, ma anche dell'encomiabile
lavoro fatto in sede di regia, luci e musiche. Un film magnifico con
il quale (il grande maestro, eccellentissimo guru) Akira Kurosawa affrontò il tema della verità e dell'esperienza
visiva di ogni singolo individuo che può essere il più delle volte
soggettiva causa svariate motivazioni, tra le quali: vanità, codardia,
meschinità o più semplicemente (seguendo un pensiero pessimistico)
perché radicata inesorabilmente nella natura umana (da qui l'effetto Rashomon). Il regista analizza
attraverso una storia "aperta", interpretabile come meglio si crede,
quanto possa essere riveduta, corretta, modificata insomma contaminata
un'immagine ed il relativo messaggio che trasporta. Rashomon è anche come una rappresentazione della falsità dell'uomo, spesso bugiardo
non solo con gli altri ma anche con se stesso, il regista però nel
finale lascia un barlume di speranza abbandonando l'evidente pessimismo
del resto dell'opera, facendo intuire che in mezzo alla massa ci si può
ancora imbattere nell'uomo sincero e generoso determinato al
raggiungimento del bene anche a costo di perdere la ragione. Il film
(capolavoro senza se e senza ma) venne premiato con il Leone d'oro a Venezia (e vinse anche
l'Oscar) e cominciò a sdoganare in Europa il fino ad allora misterioso
cinema orientale. Voto: 9
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