Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 09/09/2021 Qui - Pollice "medio" per il secondo horror padano di Pupi Avati, dopo il folgorante esordio de La casa dalle finestre che ridono. Quasi impossibile evitare il paragone: Zeder è molto probabilmente una spanna sotto al precedente lavoro, ma mantiene lo stesso fascino per quanto riguarda le originali ambientazioni per degli horror e la trama intrigante, tuttavia pagando pegno anche stavolta per la lentezza. Se infatti da una parte rimangono intatte l'atmosfera e il senso di angoscia, dall'altra vengono meno la solidità della trama (poco più che un canovaccio) e la lucida analisi dei personaggi. Le invitanti premesse vengono difatti vanificate da uno sviluppo narrativo alquanto "scontato", e i pochi momenti degni di menzione (l'incipit, il risveglio di don Luigi Costa) vengono penalizzati da un incedere eccessivamente lento e farraginoso. I protagonisti poi, sempre appesi sul filo di una "perversa" ambiguità, avrebbero potuto ricevere un trattamento migliore in sede di sceneggiatura (stavolta Maurizio Costanzo non "morde"), risultando a volte bidimensionali e alquanto stereotipati. Il bravo Gabriele Lavia interpreta Stefano, giovane scrittore bolognese incuriosito dalla traccia lasciata sulla bobina della macchina da scrivere regalatagli dalla moglie, vi si parla di un fantomatico terreno K, in grado di ridare la vita alle persone che vi sono sepolte, terreno riconducibile ad una zona di necropoli di Rimini dove una società francese sta costruendo un albergo. Esattamente come il restauratore de La casa dalle finestre che ridono, Stefano si appassiona fin troppo alla vicenda, scoprendo verità nascoste dietro una torbidezza d'animo generale e mettendo a repentaglio la vita propria e della moglie. Gli effetti speciali e orrorifici sono quasi del tutto assenti, Zeder è senz'altro un buon film che punta sulle atmosfere e sulla tensione in crescendo, regalando anche qualche discreto momento di spavento. Tuttavia nella "metaforica" massa Zeder non brilla certamente, ma si mantiene vivo a spallate. Ultime note, musiche efficaci ma un po' invadenti di Riz Ortolani, curiose analogie col libro (successivo) di Stephen King "Pet Sematary" da cui verrà tratto nell'89 il buonissimo film omonimo. Voto: 6
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