Titolo Originale: Foxtrot
Anno e Nazione: Israele, Germania, Francia 2017
Genere: Drammatico
Regia: Samuel Maoz
Sceneggiatura: Samuel Maoz
Cast: Lior Ashkenazi, Sarah Adler, Yonaton Shiray
Shira Haas, Yehuda Almagor, Ilia Grosz
Shira Haas, Yehuda Almagor, Ilia Grosz
Durata: 108 minuti
Gran Premio della Giuria a Venezia 2017 alla pellicola di Samuel Maoz.
Tre ufficiali dell'esercito comunicano a una coppia di coniugi la morte del figlio. Ma le notizie non sono finite qui.
Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/03/2020 Qui - Era il 2009 quando Lebanon di Samuel Maoz vinse alla Mostra internazionale cinematografica di Venezia il Leone d'Oro. Nel 2017 il regista israeliano ha presentato alla 74ª edizione del medesimo Festival il suo nuovo lungometraggio, Foxtrot, conquistando stavolta Leone d'Argento. Una storia che sembra ripetersi per il regista che fa della guerra la sua tematica imprescindibile. Nella prima pellicola racconta lo scontro dell'esercito israeliano in Libano del 1982, restituendolo allo spettatore con uno sguardo ferito dalla sua personale esperienza che lo vede partecipe a soli 20 anni dell'invasione del Libano da parte di Israele (qui i protagonisti sono rinchiusi in un claustrofobico carro armato). In Foxtrot la stessa "prigionia" è resa dalle scelte stilistiche del regista e dagli stessi spazi dove il protagonista Jonathan e gli altri soldati vivono. Un container, che di giorno in giorno sprofonda sempre più nel fango, è la loro momentanea dimora nel mezzo del deserto. Il film tuttavia è soprattutto un film, diviso in tre chiarissimi atti (che presenta tre episodi della vita di una famiglia israeliana a Tel Haviv), intenso ed emotivamente impegnativo che parla della casualità delle vite e delle morti e dell'ineluttabilità del fato. Il trotto della volpe, "Foxtrot" appunto, è il ballo che con quattro semplici passi stabilisce l'inizio di una danza che si conclude sempre nel punto di partenza. La danza del destino non dimentica, così come le nostre vite non ci permettono di lasciare indietro i luoghi e le esperienze da dove siamo partiti. E sarà uno scambio di persona giudice del destino del soldato protagonista, della sua famiglia che coinvolta in un macroscopico equivoco reagirà in maniera brutale, praticamente beffarda, beffarda come la vita. Malgrado però il film (selezionato per rappresentare Israele agli Oscar 2018) sia un film sufficientemente riuscito, non colpisce quanto probabilmente ci si aspettava. Ho apprezzato meno la seconda parte, un po' per la sua lentezza e un po' per l'assurdità di alcuni dialoghi, anche il finale, annunciato probabilmente dal titolo, non mi ha impressionato più di tanto, forse perché non mi è venuto facile empatizzare con il protagonista (comunque ben interpretato da il Lior Ashkenazi di 7 giorni a Entebbe). E comunque lento ed ellittico sì, ma di notevole suggestione, promosso. Voto: 6
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