Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/05/2022 Qui - Conoscere l'opera dello scrittore russo Anton Pavlovic Chekov (Zio
Vanja) avrebbe certamente aiutato ad apprezzare (nel mio caso ancora di
più) Drive my car del giapponese Hamaguchi Ryusuke, che comunque sa
accendere la sfera emotiva con discreta sensibilità, senza mai cercare
sentimentalismi d'accatto che sarebbero anche fin troppo facili per un
film del genere. Un film seppur volutamente arido nella rappresentazione
dei sentimenti, e con alcune digressioni superflue, riflessivo e
malinconico ma anche rasserenante grazie al calore d'un abbraccio. Drive
my car (adattamento cinematografico dell'omonimo racconto di Haruki Murakami) inizia con un lunghissimo prologo, quasi quaranta minuti,
dopo i quali partono i titoli di testa. E' importante perché il film è
tutto un gioco di rimandi in cui il teatro è anche rappresentazione del
reale. Due esistenze alle prese con i propri rimorsi, di una moglie e di
una madre che forse potevano essere salvate. L'auto diventa il luogo
comune dove le riflessioni dell'attore/regista condivide il suo sguardo
con la sua autista, entrambi con un passato che li tiene prigionieri del
proprio dolore. Personalmente non lo avrei portato avanti per 3 ore,
poiché i concetti
espressi potevano essere spiegati in modo più dinamico e più fluido. A
parte questo piccolo appunto sulla durata, devo riconoscere però a Drive
my car una certa capacità di rendersi appetibile, coinvolgendo lo
spettatore con una storia ben calibrata tra sentimenti e rimpianto
esistenziale, tra orgoglio e amoralità, espressi in maniera sobria,
malinconica e allo stesso tempo con serena accettazione. Buona la regia e
la prova del cast (in cui posso solo "riconoscere" il Masaki Okada di Confessions, altro buonissimo lungometraggio), abili nel mettere gli accenti giusti in una storia
garbata e intima. Sicuramente non capolavoro, ma un film ben fatto, che l'Oscar ha meritato. Voto: 7
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