Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 17/02/2021 Qui - Bong Joon-ho, dopo le Memories, torna ad indagare nelle piaghe della società sud coreana. E alza il tiro regalandoci un dramma struggente e malinconico, disperato e pungente, poetico e riflessivo, dove l'amore incondizionato di una madre (del resto, cosa non si fa per i figli?) sarà il motore di una vicenda che porta con se tanta amarezza e pessimismo. Intimista nel tratteggiare i caratteri, ma anche grezzo e diretto quando le dinamiche lo necessitano. La fotografia plumbea e slavata (indovinatissima) non fa altro che accentuare l'opprimente senso di smarrimento. Come al solito il regista coreano è infatti interessato a scandagliare l'animo dei suoi protagonisti, e lo fa mantenendo sempre un perfetto equilibrio tra cinema di autore e cinema di genere. Questa è forse la sua opera più nera: nel meccanismo dell'indagine ricorda molto da vicino proprio le Memories, anche se, qui è tutto meno ritmato e un po' più legnoso nello svolgimento. La periferia, il microcosmo familiare, la commedia, il dramma, il giallo e il thriller sono come al solito le sue linee guida predilette. Qualcosa a livello di intreccio non mi ha pienamente convinto, l'ingresso in scena di uno dei personaggi chiave è forzato e frettoloso, così come l'indagine stessa della madre disperata. Dettagli che rovinano di poco il mio giudizio complessivo, anche perché Mother rimane comunque un altro tassello importante nella filmografia del regista coreano. Tecnicamente è un lavoro immenso, la regia è sempre quella di un grandissimo esteta, già detto della fotografia, il cast è di livello con in testa la performance sofferta di Kim Hye-ja, performance che tocca l'apice in un finale bellissimo dove è rinchiusa tutta la riflessione su amore e verità alla base dell'intera pellicola. Una pellicola che pur non raggiungendo i livelli di Memorie di un assassino e Parasite, sa rendersi memorabile agli occhi dello spettatore. Voto: 7
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