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mercoledì 30 ottobre 2019

Io, Dio e Bin Laden (2016)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/10/2019 Qui
Tema e genere: Frizzante commedia sulla vera storia di un vagabondo un po' pazzo.
Trama: La storia vera di Gary Faulkner, un ex detenuto disoccupato, che armato solamente di una spada comprata su un canale televisivo, si recò in Pakistan undici volte allo scopo di catturare Osama Bin Laden, spinto dalla convinzione che Dio in persona glielo avesse chiesto.
Recensione: Partendo dall'assunto che la storia, come si vede dai titoli di coda, è tragicomicamente vera (ma ormai lo si capisce sin dall'inizio: più certe storie sono assurde e meno sono frutto di immaginazione) la vicenda di Gary Faulkner potrebbe essere liquidata come quella di uno dei tanti pazzi che abitano il pianeta. Il mix con la comicità demenziale di Larry Charles (quello di Borat e Il dittatore: ma qui meno esplosivo, senza il "suo" Sacha Baron Cohen) riesce però a rendere interessante una vicenda altrimenti solo da brevi in cronaca. In particolare, Nicolas Cage (dopo anni di b movie uno peggio dell'altro) usa un piccolo film (peraltro sfortunato: negli Usa è uscito direttamente in home video: ormai di Bin Laden non si interessa più nessuno) per costruirsi un personaggio memorabile, survoltato e folle e certo più grande del film che lo ospita, che fa rimpiangere le tante occasioni perse da questo nipote di Francis Ford Coppola dalla abbondante filmografia ma anche dal talento discontinuo. Se si ride meno di quanto si dovrebbe (pur se le continue irruzioni di Dio, interpretato da Russell Brand, altro comico attivo nel demenziale), e se le "gesta" di Gary sono un po' troppo ripetitive, sorprende la tenerezza che si insinua nella storia, grazie al suo rapporto con l'amica Marci Mitchell (Wendi McLendon-Covey), anche lei alla deriva dopo una vita di sconfitte, con un amore che sembra non decollare mai per le scempiaggini del protagonista. Che però, miracolosamente, fa breccia nel suo cuore e in quello di una bambina che non parla, piccolo segno di una realtà che non è solo riducibile all'aneddoto scherzoso sull'uomo che voleva catturare Osama Bin Laden.

mercoledì 28 agosto 2019

Piccoli brividi 2 - I fantasmi di Halloween (2018)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 27/08/2019 Qui
Tema e genere: Secondo capitolo della saga di film tratta dai libri horror per ragazzi di R. L. Stine.
Trama: Il giorno di Halloween due ragazzi scoprono un libro chiuso, lo aprono e appare loro un pupazzo da ventriloquo parlante. Sarà l'inizio di molti guai.
Recensione: Dopo il primo riuscitissimo capitolo (qui), mi aspettavo davvero molto da questo specie di sequel, specie perché la connessione con la pellicola precedente è molto flebile, rasentando l'inutilità ai fini della trama, tanto da sembrare quasi un spin-off (e in verità lo è, perché ambientato in un periodo preciso, Halloween). Purtroppo, però, devo ammettere che le mie attese sono state deluse per un buon 50%. Vuoi per l'assenza dei protagonisti "originali", vuoi perché la brillante e coinvolgente sceneggiatura del primo film qui lascia spazio a un tranquillo teen movie che sguazza nella comfort zone dei cliché. Un teeen movie in cui, come detto, non compaiono i protagonisti del primo film, con la sola eccezione di una fugace comparsata di Jack Black, qui relegato ad un numero di battute inferiore a quello di Arnold Schwarzenegger nel primo Terminator. I tre nuovi protagonisti, però, hanno un volto ben noto: Sam è interpretato da Caleel Harris, nel cast di Castle Rock e nella nuova serie Netflix When They See Us, Sonny ha invece il volto di Jeremy Ray Taylor, il Ben del terrificante IT di Andrés Muschietti, mentre Sarah vede in scena Madison Iseman, che proprio con Jack Black ha interpretato il riuscito sequel di Jumanji. I tre giovani attori funzionano molto bene assieme sullo schermo: anche se non sono aiutati da dialoghi particolarmente brillanti, è comunque un piacere vederli muoversi in un'interpretazione mai sopra le righe. Apprezzabile anche la resa degli effetti speciali e degli effetti visivi e belli i riferimenti alla cultura nerd, sparsi ovunque e sempre gustosissimi: da Street Fighter a Rocket League. Non male neanche la regia firmata da Ari Sandel (che può vantare nel suo palmarès un Oscar come miglior corto del 2005), egli infatti fa il compitino giusto, seguendo l'azione senza particolari voli pindarici e regalando qualche piccolo (davvero) brivido sparso qui e là. Ma c'è un ma. La cosa che davvero non va è la sceneggiatura. Siamo infatti davanti ad un teen movie annacquato, con dinamiche già viste, colpi di scena telefonati e soluzioni trite e ritrite. I bulli di quartiere sono decisamente spuntati, molto lontani dai terribili ragazzi selvaggi di IT o di Forrest Gump, il plot amoroso di Sarah si risolve in una manciata di minuti con tutto il "cucuzzaro": speranza, delusione, ripresa, lo stesso Slappy, i cui poteri sono diventati addirittura magici, alla fin fine è poco più che un fantoccio facilmente gestibile ad aggirabile. In nessun momento del film c'è sensazione di pathos, di ansia o tensione per i protagonisti: c'è qualche piccolo Jumpscare, ma niente che possa davvero impressionare, neanche un pubblico di ragazzini, per cui, de facto, il film è pensato. Tutto si svolge in modo decisamente lineare: da azione nasce azione, contro azione, e risoluzione. Chi dovrebbe non credere ai propri occhi, ci crede dopo due minuti, chi doveva mietere vittime, non le miete, chi doveva terrorizzare fa prevalentemente divertire, anzi, talvolta mancano direttamente dei pezzi, come se intere sequenze fossero state tagliate senza preoccuparsi troppo che la resa finale resti zoppicante. Il "terribile" aiutante alla Igor di Frankenstein Junior, sembra la brutta copia di Zio Tibia ma non spaventa per niente. Il diabolico piano di Slappy viene sventato senza nemmeno versare una goccia di sudore e, a ben pensarci, con il libro originale in mano Sarah avrebbe potuto chiudere la partita a metà del film.

domenica 13 gennaio 2019

Che cosa aspettarsi quando si aspetta (2012)

Recensione pubblicata su Pietro Saba World il 30/07/2016 Qui - Che cosa aspettarsi quando si aspetta (What to Expect When You're Expecting) è un commedia corale (del 2012) sulle gioie e i dolori della gravidanza, della maternità e della paternità. Il film (andato in onda il 9 luglio in prima visione su Canale5), diretto da Kirk Jones, è ispirato ad un famoso manuale anglosassone dall'omonimo titolo, che presenta una serie di situazioni più o meno approfondite (una guida per futuri genitori, che dà informazioni sulla gravidanza ai futuri genitori dal concepimento fino al post partum), con la costante del sentimento e dell'ironia. Il film (non proprio adatto a tutti, dato che anche se simpatico l'argomento è indubbiamente specifico), che vanta un cast stellare, tra gli altri, Elizabeth Banks, Cameron Diaz, Anna Kendrick, Chris Rock, Brooklyn Decker, Jennifer Lopez, Rodrigo Santoro, Chace Crawford e Matthew Morrison, segue le vicende di cinque coppie alle prese con le gioie e le problematiche della gravidanza (se ancora non l'avevate capito) e dei timori nel diventare genitori. C'è chi adotta, chi partorisce e chi perde un bambino e per ogni donna che soffre o gioisce c'è un uomo a volte confuso o smemorato, perplesso ma volenteroso. Il film comunque tratta più punti, grazie soprattutto alle varie e diverse vite di ogni coppia, le gioie e i dolori dettati da una gravidanza, le difficoltà di prepararsi ad un evento che cambia inevitabilmente la vita, gli scontri tra idee contrastanti, il tema dell'adozione in modo piuttosto approfondito e l'aborto, inteso solo come naturale e non artificiale. Le vicende, sebbene abbiano in comune tutte la gravidanza, hanno 5 diversi sviluppi non proprio tanto realistici, anzi, la sceneggiatura tratteggia in maniera superficiale personaggi e situazioni, e peggio ancora non tralascia di cospargere molte scene di pesante retorica buonista. Le differenti problematiche riguardanti il periodo della gravidanza vengono raccontate in maniera piuttosto banale, sia nei pochissimi momenti seri sia quando si vorrebbe cercare di far ridere. Le vicende riguardanti le varie coppie poi sono legate da un filo narrativo sottilissimo, non tutte le storie difatti appaiono appassionanti o ben strutturate, il sentimentalismo nel finale prevale, e anche se in alcuni momenti si riesce a sorridere un po' grazie ad alcune battute al vetriolo affidate soprattutto al cast maschile, non tutto convince. La sensazione sgradevole è che si sia adoperata la tematica per costruire una serie di situazioni e scenette da commedia senza avere un quadro totale di cosa si stava realizzando.